Come riflessione per l'Avvento, pubblichiamo dalle Catechesi di san Cirillo di Gerusalemme (+386) un estratto sull'esempio della vita interiore del profeta e re Davide, il quale dopo aver peccato seppe redimersi con una adeguata penitenza.
La potenza divina si dimostrò più grande dell’enormità del peccato di tutto un popolo che si era fabbricato il vitello. Il Signore non cessò di essere misericordioso di fronte a tanto; gli uomini rinnegarono Dio, ma Dio non rinnegò se stesso . Dissero: «Ecco i tuoi dèi, o Israele», e il Dio d’Israele non smentì il suo stile ma lo salvò. Non fu soltanto il popolo a peccare, ma anche il sommo sacerdote Aronne. Lo dice infatti Mosè: «Il Signore si adirò anche contro Aronne». Poi aggiunge: «Io allora pregai per lui, e il Signore gli perdonò» . Ora, se Mosè pregando per il sommo sacerdote riuscì a piegare il Signore, non riuscirà Gesù a placare il Padre, quando egli il suo Unigenito prega per noi? Inoltre, se Dio non interdisse il sommo sacerdozio ad Aronne dopo la sua caduta, impedirà l’accesso alla salvezza a te che ti sei convertito dal paganesimo? Convertiti anche tu come quelli, o uomo, e non ti sarà negata la grazia. D’ora in poi, piuttosto, ognuno abbia comportamenti irreprensibili. Dio è veramente misericordioso. Della divina misericordia nessun uomo al mondo potrà mai dire abbastanza, anche se tutte le lingue degli uomini insieme si accordassero a celebrarne le lodi. Noi infatti ne parliamo limitatamente, affidandoci a quello che della sua misericordia verso gli uomini attesta la Scrittura, ma non sappiamo quanta Dio ne abbia usata con gli angeli, poiché solo Gesù che ci purifica delle nostre colpe è senza macchia: delle macchie Dio trova e compatisce anche
gli angeli.
Passerò adesso, se credi, a qualche altro esempio che fa al nostro caso. Partiamo da quello di Davide, tipo della santità penitente. Grave fu il peccato che commise! Passeggiando in terrazza dopo il riposo pomeridiano, sul far della sera, non sorvegliò i suoi occhi e ne sperimentò l’umana conseguenza: assecondò la passione e commise il peccato. Non gli venne però meno la saggezza.. Saggiamente confessò la caduta, appena il profeta Natan venne a redarguirlo, dicendogli per sanarne la ferita: «Il Signore è irritato per il tuo peccato!». Parlava così al re un uomo senza autorità, ma il re pur ammantato di porpora non se l’ebbe a male, perché vide nell’uomo che gli parlava Dio che l’aveva mandato. Aveva attorno il suo corpo di militari; ma questo non accecò gli occhi del suo spirito, perché egli li tenne rivolti alle schiere degli angeli che stanno attorno al Signore. Tremò davanti all’Invisibile come se lo vedesse. Perciò più che al messaggero che era venuto da lui, a Colui che l’aveva mandato rispose: «Ho peccato contro il Signore». Vedi che umiltà in un re, vedi che confessione! Era stato forse denunziato da qualcuno, o da tanti che fossero venuti a sapere della vicenda? No, aveva appena consumato il peccato, e il profeta se n’era fatto appena accusatore, ma subito egli si confessò colpevole del male fatto. Perciò il profeta Natan dopo averlo ripreso gli disse subito: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato». Vedi che immediata conversione del Dio di misericordia! Ma senti cosa aggiunse: «Molto hai irritato i nemici del Signore» . Come per dirgli: Finché combattesti per la giustizia avevi molti nemici, ma ti protesse la virtù; d’ora in poi però, avendo consegnato loro la tua arma più potente di difesa, dovrai far fronte a nemici pronti a rizzarsi armati contro di te. Ecco come il profeta lo avvertì mentre lo confortava.
Ma il santo re Davide, nonostante che avesse inteso molto bene che il Signore gli aveva perdonato il peccato, non ritenne meno doverosa la penitenza. Invece della porpora vestì il sacco, invece di assidersi sull’aureo trono si stese per terra e sulla cenere. Né solo si stese sulla cenere, ma come egli si esprime, di essa fece il suo nutrimento: «Più che di pane mi nutrii di cenere» . Fece sciogliere in lacrime i suoi occhi voluttuosi come si era proposto: «Ogni notte non farò che bagnare il mio giaciglio, inonderò il mio letto di lacrime». Ai principi che lo invogliavano a mangiare del pane oppose il suo rifiuto, e quel suo digiuno lo prolungò per un’intera settimana. A tanto arrivò la penitenza di un re, mentre tu semplice suddito non senti il dovere della confessione. Dopo la ribellione d’Assalonne, invece di fuggire per una delle tante vie che gli si erano offerte, volle prendere quella che passava per il Monte degli Ulivi, profeticamente invocando il Redentore che di lì sarebbe asceso al cielo. E quando poi Semei gli lanciò amare maledizioni, non disse altro che: «Lasciatelo andare» perché sapeva che il Signore perdona a coloro che perdonano.
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Da: La Seconda Catechesi Battesimale, "sulla Penitenza", cap. X-XII, di san Cirillo di Gerusalemme
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