s. Cirillo di Alessandria
Dice, dunque, il
santo e grande concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo
natura da Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per
mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si
è fatto uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo.
Dobbiamo attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo
bene cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non
diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu
trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che
il Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si
fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo,
non assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le
nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che
questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e
l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro
unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima
dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche
secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura
abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una
seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che
sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno
al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per
noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed
è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo
pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla
santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica
realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la
nascita della propria carne. Così, diciamo che egli ha sofferto ed è
risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le
percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può
soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo
che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti,
che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo
la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale,
incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto,
per grazia di Dio, come dice Paolo, ha gustato la morte per ciascuno di noi, si
dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la
morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò),
ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure,
risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato
soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è
risuscitato il suo corpo.
Allo stesso
modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il
Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo
insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è
estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo
due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se
noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo)
arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene
ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio
(di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della
filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù
Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di
unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è
unita la persona di un uomo ma che si fece carne. Ora che il Verbo si sia fatto
carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue:
fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza
perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche
nell'assunzione della carne, quello che era. Questo afferma dovunque la fede
ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di
chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o
la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma
perché nacque da essa il santo corpo
dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo
è nato secondo la carne. Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di
Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei
suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché
sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della
concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.
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