La questione dell'Autocefalia della Chiesa di Georgia (Storia della Chiesa)

Nel IV secolo la Georgia, assieme all'Armenia, erano i primi paesi cristiani. Santa Nino, parente di san Giorgio, cristianizzò la Georgia con l'ausilio di san Costantino il Grande, il quale da Roma appuntò dei chierici affinché la fiancheggiassero. Fin da subito, il Regno di Kartalinia (Iberia georgiana) entrò nell'orbita ecclesiastica del Patriarcato di Antiochia, il quale nella figura del Patriarca Pietro nel 480 consacrò il vescovo Georgiano Mtshketa come Catholicos, cioè come "suprema autorità" di tutta la Chiesa Georgiana: una sorta di etnarca ecclesiastico. Questa nomina fu approvata dall'Imperatore Zenone di Costantinopoli. Il titolo di Catholicos della Georgia, dal 740 in avanti, concedeva alla sede metropolitana di Tblisi un grande privilegio, quello di poter scegliere i propri candidati al vescovato, sebbene la loro nomina dovesse essere poi convalidata da Antiochia. Nel 1010 il metropolitanato di Georgia fu elevato a Chiesa patriarcale.

Questo innalzamento di rango andava di pari passo con l'affermazione del Regno di Georgia, tramite la potente dinastia dei Bagrationi, in figure come il re Davide il Restauratore e la regina Tamara, elevata poi al rango di santa. Dal 1220 circa la Georgia dovette sopportare le invasioni mongole, persiane e turche, con un forte indebolimento dello Stato e della fede del popolo georgiano. Dopo alcuni secoli di sofferenza, la dinastia georgiana decise di rendersi vassalla di Mosca, al fine di ottenere la protezione politica verso i persiani. Fu il re di Georgia Alessandro II a compiere il gesto di sottomissione, inviando una delegazione a Mosca nel 1587. Lo zar Teodoro Ioannovitch prese sotto di sé la Georgia, iniziando così il periodo di influenza russa sulla Georgia, dal punto di vista etnico, culturale e politico. La Russia inviò, su richiesta della Chiesa locale, molti insegnanti e sacerdoti in Georgia, perché alzassero il livello culturale del clero. Nonostante le promesse, nel 1617 la Georgia fu devastata da una guerra con la Persia, e la Russia non fu in grado di intervenire. Nel 1619 Teimuraz, il re di Kartalinia, Khakezia e Imerezia, le tre regioni più grandi della Georgia - se escludiamo l'Abhkazia, accettò la cittadinanza russa e così i Persiani dovettero accontentarsi di negoziare una pace con il potente Impero russo. Nel 1634 l'Impero Persiano, con un abile colpo di mano, piazzò un suo uomo, il principe Rostom, sul trono di Kartalinia: costui accettò l'Islam, religione assai minoritaria in Georgia, se non quasi straniera, la quale tuttavia governerà un paese ortodosso fino al 1701, attraverso una dinastia di re maomettani. Nel 1637 alcuni iconografi, dei sacerdoti e un artigiano furono mandati ufficialmente a Mosca per imparare la tradizione ortodossa, giacché erano molto carenti in dottrina, e importarla in Georgia. Fra il 1650 e il 1658 le regioni di Imerezia e Khakezia rinnovarono il giuramento di fedeltà allo Zar. La Georgia dunque si divise politicamente. Nonostante le promesse, la Russia non aiutò militarmente i georgiani, i quali si videro sempre più poveri e sottomessi ai persiani[1].


La cattedrale della Santa Trinità a Tblisi, in Georgia

La fine del Patriarcato Georgiano

Un aiuto concreto a questi vassalli molto quieti venne solo al tempo di Caterina la Grande, quando nel 1783 una armata imperiale giunse ai confini della Georgia dopo la sigla di un trattato. Nel 1801 il piccolo regno georgiano di Karthli-Khaketi fu annesso alla Russia con un colpo armato, in disaccordo col trattato di vent'anni prima. Fra il 1803 e il 1804 fu annessa la Imerezia e successivamente la regione di Samegrelo. Nell'arco dei successivi dieci anni, la Russia abolirà l'autocefalia del Patriarcato georgiano e sopprimerà la monarchia locale. Per 106 anni, ben diciannove esarchi russi di fedeltà imperiale governeranno il sinodo georgiano: i servizi liturgici in lingua georgiana saranno soppressi in quegli anni, le antiche icone saranno riscritte, gli affreschi coperti e ridipinti[2]. Tutto ciò fu possibile da una parte per la sottomissione politica, dall'altra per una sincera russofilia della Chiesa georgiana locale di quel secolo, che accolse favorevolmente le riforme e la russificazione per fare fronte ad una decadenza sempre più marcata. Il 10 giugno 1811, lo zar Alessandro I di Russia deponeva il Patriarca Anton II di Georgia e aboliva formalmente il titolo di Catholicos di Georgia. Il fatto che gli Esarchi appuntati dal Sinodo Russo per la Georgia fossero tutti di sangue russo, e quindi ignoranti nella lingua, nei costumi e nella vita georgiani, contribuì enormemente alla perdita del senso di appartenenza che i georgiani avevano coltivato per secoli: senza un leader spirituale e privi di un proprio re, i georgiani stavano decadendo sempre più nell'oblio. L'insensibilità degli Esarchi russi comportò la decadenza di molte cattedrali e abbazie, le diocesi passarono da 24 a solamente cinque, e il clero locale non nutriva simpatie per i propri vescovi, molti dei quali di sangue russo. Le icone più belle e i capolavori d'arte liturgica georgiana furono condotti in Russia, il canto polifonico antico (tipico della Georgia) e i servizi divini in lingua georgiana furono soppressi e al loro posto furono introdotti l'uso dello Slavo Ecclesiastico e la musica liturgica in stile occidentale, tanto in voga in Russia fin dai tempi dello zar Pietro il Grande.

La Chiesa Georgiana nel XX secolo

Nel 1901 fu chiamata una Commissione speciale nel Sinodo Russo per deliberare sulla sorte della Chiesa Georgiana, ma non se ne fece nulla di concreto. Negli anni successivi, in Georgia fiorì un movimento tradizionalista volto al recupero dell'identità e alla preservazione del patrimonio artistico e culturale georgiano, capitanato dalla figura del filosofo, poeta e storico Ilia Chavchavadze, il quale fu ucciso dai rivoluzionari nel 1907. Sebbene fosse fuori discussione una autonomia politica, la Russia decise di dibattere la questione dell'autocefalia georgiana e così il 2 giugno 1906, alla seconda sinassi preparatoria del grande Concilio di Mosca del 1917, fu affrontata la materia. L'autocefalia fu respinta, ma fu accordato al popolo georgiano di utilizzare la propria lingua per le celebrazioni, e il ripristino dell'antica forma di canto, nonché la possibilità di una ampia autonomia culturale, anche se non amministrativa. Alla sinassi, il vescovo Kirion di Sukhumi, un georgiano, si alzò e parlò a favore dell'autocefalia della Chiesa georgiana, appoggiandosi alla realtà etnica e culturale, ai costumi locali millenari, e all'antico e abolito patriarcato che già esisteva un tempo[3]. Il vescovo Kirion riteneva la distinzione etnica nazionalistica come un'ottima base sulla quale l'Ortodossia poteva basarsi per preservare l'indipendenza ecclesiastica, interpretando dunque il 39esimo canone del Concilio Quinsesto come un fondamento del filetismo. Erroneamente, tuttavia, lo zelo per il suo popolo confuse Kirion il quale espose una teoria tutt'altro che soddisfacente e dispiacque il sinodo. Nell'idea di Kirion, infatti, eresie come il monofisismo e il cattolicesimo-romano facevano parte dello sviluppo armonico su suolo locale della idea di Cristianesimo: praticamente, egli era un esponente della branch theory o "teoria delle Chiese sorelle" che, nelle diversità dogmatiche, formali, sostanziali e artistiche, erano comunque parte di una "federazione" di Chiese. All'epoca, per gli ortodossi era una posizione inconcepibile: l'ecumenismo non era ancora nato. Aveva usato, al fine di proteggere l'autocefalia georgiana, l'argomento della diversità locale di per sé. L'idea di un patriarcato territorialmente corrispondente al confine nazionale aveva già fatto scontrare Costantinopoli con la Bulgaria nel 1872 e precedentemente la Romania con Costantinopoli dal 1821 al 1855, con due scismi pericolosi.


iconostasi della magnifica antica cattedrale di Svetitskhoveli, in Georgia

La seconda autocefalia georgiana: il 1917

Nel novembre 1917 si riunì in Transcaucasia un commissariato socialista che guidò i comunisti locali nella fondazione di una repubblica comunista locale, in un processo che si concretizzò nel 1918. Contemporaneamente, il 12 marzo 1917, gli ecclesiastici georgiani, guidati da Kirion di Sukhumi, proclamarono l'indipendenza della Chiesa georgiana dai russi, la quale fu confermata dall'arcivescovo Sergio di Finlandia. In settembre fu chiamato un sinodo georgiano affinché gli atti di marzo fossero vidimati da tutti i rappresentanti ortodossi locali. Il 1 ottobre 1917 il vescovo Kirion Sadzaguelachvili fu intronizzato come patriarca e catholicos di Tblisi non senza alcune polemiche interne. Il patriarca Tikhon di Mosca, neoletto dal Concilio del 1917 e primo patriarca da quasi tre secoli in Russia, protestò pure contro l'autocefalia della Chiesa Georgiana nel 1918. Al fine di vedersi sostenuto dal governo comunista appena giunto al potere, e onde evitare una rappresaglia interna, il patriarca Kirion rimosse i ritratti dello zar e degli esarchi russi dal palazzo apostolico. Tuttavia, dopo la prima liturgia come patriarca, cadde ammalato e si scoprì che era stato avvelenato. Per rinsavire si recò al monastero di sant'Antonio, ma nel giugno 1918 egli si suicidò. Nel 1921 la situazione peggiorò poiché Stalin, con l'appoggio dei Bolscevichi locali, invase la Transcaucasia e pose fine alla libertà religiosa della Georgia. Il 7 febbraio 1922 il patriarca Ambrogio di Georgia scrisse una lettera di protesta alla Corte Internazionale di Genova, e ciò gli valse l'arresto nel 1923 assieme ad altri membri del suo sinodo. Uno dei più fedeli collaboratori del patriarca, l'arcivescovo Nazario, fu ucciso il 1 settembre 1924 durante il suo viaggio verso la prigione. Nell'agosto del 1924 era iniziata una rivoluzione di destra, guidata da alcuni ecclesiastici, da varie personalità accademiche e dalle gerarchie militari, e la repressione fu tremenda: migliaia di vittime in tutto il paese, e numerose ritorsioni contro la popolazione civile furono perpetrate dai comunisti. Il 27 giugno 1927, a seguito della morte in prigione dell'eroico Ambrogio, fu eletto il patriarca Cristoforo Tsitskichvili, il quale implorò il patriarca Basilio III di Costantinopoli di formalizzare l'esistenza del patriarcato georgiano tramite epistola il 6 agosto dello stesso anno. Per salvare la Chiesa georgiana, il patriarca Cristoforo emulò il patriarca Sergio di Mosca e sottoscrisse un accordo con lo Stato comunista. Nell'ottobre 1943 il Patriarcato di Mosca accettava l'autocefalia della Chiesa georgiana, mentre fino al 1990 il Patriarcato Ecumenico rifiutò di riconoscere quest'ultima! La ragione è da ricercarsi nell'attitudine del Fanar di non accettare altra autocefalia che non quella concessa da sé stesso.

Attualmente, la Chiesa georgiana vive una profonda rinascenza ed è un bastione tradizionale contro le forze moderniste che accerchiano la Santa Chiesa ortodossa.



[1] A. P. Dobroklonsky, Rukovodstvo po istorii russkoj tserkvi, Mosca, 2001, pp. 278-279.

[2] Arciprete Zakaria Michitadze, Lives of the Georgian Saints, Platina: St. Herman of Alaska Brotherhood, 2006, pp. 25-27.

[3] Journals and Protocols of the sessions of the Preconciliar Convention Established by His Majesty, volume 3. Per la sessione sulla Georgia: Pietroburgo, 1907, pp. 55-58.

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