L'Unìa di Brest e la nascita degli Uniati (Storia della Chiesa)

L'Uniatismo è un termine usato prevalentemente dagli Ortodossi in senso dispregiativo, giacché i cattolico-romani preferiscono chiamare gli Uniati come "greco-cattolici" benché la maggior parte degli Uniati non sia di sangue greco, ma piuttosto ucraino, romeno o arabo. L'Uniatismo nasce nel XVI secolo nel contesto politico delle guerre incessanti, più o meno ufficiali, fra il Regno di Polonia e gli Stati Russi. Il lemma "uniatismo" o "uniata" deriva dalla parola Unìa, ossia "unione", ovviamente in senso dispregiativo anch'essa, dei cosiddetti greci (cioè i cristiani di rito greco, vale a dire ormai gli ortodossi) con Roma. L'Uniatismo consiste nell'accettare la sovranità politica e spirituale del Papa di Roma come supremo leader della Chiesa, come Vicario di Cristo, assieme a tutti i suoi dogmi, e contemporaneamente mantenere i riti liturgici e alcune tradizioni specificatamente locali e "ortodosse", nel senso di orientali o bizantine. Prima dell'Uniatismo, infatti, i cattolici usavano imporre il rito latino ai convertiti dalle regioni balcaniche: con questa nuova politica imperialista, al contrario, si tolleravano le usanze greche (quali il matrimonio dei preti, ad esempio) al fine di rendere il << dolce giogo del Papa >> più sopportabile alle menti dei cosiddetti Orientali, che erano considerati dai cattolici come inferiori. 


la nuovissima Cattedrale della Resurrezione, della Chiesa Greco-Cattolica di Ucraina, a Kiev.

L'Unìa di Brest-Litovsk

La Polonia, potentissimo Stato cattolico del Seicento, nel pieno appoggio della Controriforma, conquistò nei primi anni del XVII secolo la Moscovia, ponendovi un re cattolico, il "falso Dimitri" come viene chiamato dai russi. Il patriarca Ermogene di Mosca chiamò alla guerra santa contro gli eretici e, sebbene morì prima di vedere le rivolte concretizzarsi, nel 1612 i russi cacciarono svedesi e polacchi dalla Moscovia, respingendoli verso le loro terre d'origine. Dalla metà del XVII secolo fino al XIX secolo, quelli che oggi sono i Bielorussi e gli Ucraini occidentali furono maltrattati dai loro padroni polacco-lituani e molestati religiosamente dai Gesuiti. Dal momento che le regioni occidentali, lituane e ucraine, erano sottoposte ad un metropolita ora separato da Mosca, sorse la questione di chi fosse il superiore del suddetto metropolita: la metropolia del Sud-Est,  sotto la giurisdizione di Costantinopoli, vide le visite dei fanarioti aumentare ogni anno, per paura di una secessione; la zona di Kiev fin dal 1654 era tornata sotto Mosca. Le regioni governate dai polacchi e dai lituani ovviamente lasciarono l'istruzione in mano ai gesuiti, i quali instillarono nella nobiltà e negli studenti il disgusto per quella che è chiamata kholop, cioè la fede semplice del popolo ortodosso. I boiardi e la nobiltà di toga, cioè i letterati, i giuristi e in genere gli acculturati di quelle regioni si diedero dunque al Cattolicesimo erudito. I semi dell'istruzione gesuita fruttificarono presto: nacquero molte confraternite in stile cattolico e ai patriarchi orientali - soggiogati politicamente dal Sultano di Istanbul - venivano figurativamente contrapposti i placidi e ricchi vescovi cattolici, i quali godevano di speciali privilegi statali e sedevano nel Senato. Gli ortodossi convinti dai papisti aspettavano dunque una scusa politica per separarsi dagli << schiavi del Sultano >> per entrare nella ricca e florida Chiesa romana. Il Patriarca Geremia di Costantinopoli, recandosi a Mosca per stabilire il patriarca, passò da Kiev nella cui città depose il metropolita Onesiforo per bigamia, e vi pose al suo posto Michail Ragoza, una persona buona, ma incapace di governare, affinché al suo ritorno potessero assieme condannare un altro vescovo empio, tale Kirill Terletskij. Tuttavia, la morte del giudice della controversia, tale vescovo Melezio di Vladimir in Volinia, diede a Kirill il tempo di organizzarsi. Nel 1593 egli propose ad alcuni vescovi ucraini occidentali l'Unìa, così da liberarsi dal peso dell'amministrazione statale e dal giogo del Patriarca Ecumenico. Come abbiamo però visto, la Chiesa Cattolica dal Concilio di Trento in poi non era interessata affatto a lasciare libertà liturgica ai propri fedeli, anzi, si proponeva una romanizzazione continua delle pratiche in Occidente. Perché avrebbero dovuto permettere il rito bizantino agli Uniati? Le trattative di fondare una Chiesa cattolica di rito greco indipendente dalla gerarchia polacca latina andarono a buon fine, e nel 1595 vi fu un accordo scritto. Tuttavia, bisognava ora convincere i nobili e il popolo ortodossi ad accettare l'Unìa: una idea di pochi intellettuali doveva divenire una Chiesa, con la più alta autonomia possibile, col proprio rito e le proprie tradizioni. Il Patriarca Geremia di Costantinopoli mandò nello stesso anno il suo esarca Niceforo assieme a sei vescovi presso la città romena di Iaşi, per aprire un sinodo il quale ebbe luogo il 17 agosto 1595. Erano presenti anche il vescovo della Valacchia e il vescovo della Moldavia, fra i sei inviati patriarcali. Fu chiesto al popolo ortodosso che abitava nelle regioni sottoposte all'autorità del re polacco di obbedire al loro re, ma non ai vescovi di quest'ultimo. L'ingenuità di Niceforo non prevedeva che la gerarchia cattolica offriva istruzione di alto livello, sicurezza politica e ricchezza economica che le gerarchie ortodosse locali non potevano controbattere. I rappresentanti della metropolia di Kiev che volevano unirsi a Roma visitarono l'Urbe nel 1595, e il Papa accolse la loro richiesta, ma non solo dovevano accettare i decreti del Concilio di Firenze, ma anche quelli di Trento. I due vescovi uniati chiesero di poter eleggere loro il metropolita di Kiev, e gli fu accordato, ma il candidato doveva essere poi confermato dal papa. 

Il principe Ostrozhskij e gran parte della nobiltà locale rifiutarono di obbedire a questi vescovi russi traditori, creando opposizione interna al movimento per l'autocefalia: il principe invitò dunque l'Esarca Niceforo in Polonia per risolvere la questione. Nell'ottobre 1595 vennero tenuti due sinodi separati a Brest. Cinque vescovi ortodossi passarono a Roma con un atto di Unìa, recando con sé le proprie diocesi. L'altro sinodo fu presieduto da Niceforo, il quale scomunicò i cinque uniati. Tuttavia, l'Esarca fu accusato di spionaggio a pro dell'Impero Ottomano e fu incarcerato, morendo in prigione nel 1599. La guida spirituale degli Ortodossi in Polonia-Lituania passò alla figura di Ivan di Vishna. I vescovi uniati ottennero un grande potere, cacciando i preti dalle parrocchie ortodosse per concedere quest'ultime a sacerdoti greco-cattolici. Gli ortodossi subirono una persecuzione perfino da parte degli ebrei, i quali li forzarono nelle trattative commerciali e li oppressero nei mercati e nelle aziende: sotto il regno di Sigismondo III di Polonia gli ortodossi subirono molto, ma la loro vita non tornò pacifica neppure col successore di costui, il re Vladislav IV, il quale concesse agli Ortodossi alcuni privilegi, i quali non furono rispettati dai signorotti territoriali e dalle gerarchie cattoliche. Gli ebrei ebbero modo di essere particolarmente feroci contro gli ortodossi, istigati dai cattolici, come racconta l'arcivescovo Filarete Platonov: gli oggetti liturgici venivano prodotti e venduti solamente dai giudei, i quali li profanavano. Il pane liturgico, prima di essere venduto agli ortodossi, veniva marchiato col carbone, e solo dopo poteva essere portato in chiesa (1). Questo ovviamente, all'occhio ortodosso, è peggio di una profanazione, ma tanto dovettero sopportare gli Ortodossi in Polonia. Uno dei più feroci persecutori degli Ortodossi fu il vescovo uniate di Polotsk, Joasaph Kuntsevitch. Il 22 maggio 1620 un gruppo di cittadini si recò presso il Monastero della Trinità di Polotsk a protestare per l'ingiustizia e la violenza di Joasaph Kuntsevitch, il quale ordinò che il monastero venisse dato alle fiamme... con i contestatori dentro. Mentre il complesso bruciava, l'empio uniate rendeva grazie al suo dio sulla collina vicina con un moliben . Nel 1623 Kuntsevitch morì ucciso dalla gente di Vitebsk, e sarebbe stato glorificato da Pio IX nel 1867. Nonostante dal 1717 in poi la Polonia cadesse sotto il controllo dell'Impero Russo, la nobiltà polacca non cessò mai di trattare gli ortodossi con disprezzo. Dal 1721 al 1747, 165 chiese ortodosse furono chiuse. Nel 1733 le diocesi ortodosse erano state chiuse, a eccezione di una, la Bielorussa. Le processioni ortodosse erano proibite, e gli ordini più diffusi in Polonia nel momento, i Basiliani (cioè i monaci uniati) e i Domenicani, passavano di villaggio in villaggio a controllare che non partissero vettovagliamenti per le comunità ortodosse, previa la scomunica del villaggio stesso. Nel 1755, in tutte le regioni dell'ex Regno di Polonia, vale a dire l'Ucraina occidentale, la Lituania, la Polonia e la Bielorussia, erano attive solamente 130 chiese in pessimo stato. 

Gli ortodossi di quelle aree, così provati, si appellarono svariate volte al governo russo al fine di ottenere condizioni di vita migliori: nonostante numerose proteste ufficiali da parte del governo russo, i polacchi non risposero mai a quegli appelli e la situazione cambiò solamente sotto il governo di Caterina la Grande, con la sua intronizzazione nel 1762. 

La rivolta ortodossa in Polonia

Negli anni 1765-1766 la popolazione ortodossa polacca radunò un ampio movimento di protesta contro le pessime condizioni di vita e contro la Chiesa Uniate. I leader del movimento furono il vescovo ortodosso di Pereyslav, Gervasio Lintsevskij, e l'abate Melchizedek (Znachko-Yavorsky) del Monastero Motronskij. Gli ortodossi si sparsero nei villaggi, cacciando i preti cattolici e mettendo al loro posto dei sacerdoti ortodossi, ordinati dal vescovo Gervasio sul momento. Se un prete uniate non voleva tornare sotto la Chiesa Ortodossa, veniva buttato fuori dalla parrocchia e un altro mandato al suo posto da Gervasio stesso. Interi villaggi si convertivano spontaneamente appena vedevano arrivare la processione ortodossa. Le gerarchie cattoliche decisero dunque di mandare un loro uomo, l'ufficiale Mokritskij, assieme ad un piccolo esercito, in Ucraina, ove le rivolte erano cominciate. L'esercito uniate riconvertiva con la forza al cattolicesimo i villaggi appena passati all'ortodossia. L'abate Melchizedek fu torturato e buttato in prigione. La Prussia, la Svezia, La Danimarca e il Regno Unito inviarono lettere al parlamento polacco al fine di rivedere questa loro intolleranza viscerale contro le minoranze, cioè gli ortodossi e i protestanti. Gli ebrei non erano considerati una minoranza in Polonia, essendo quasi un milione di individui. Come risposta alle lettere dei paesi nordici, il Sejm, cioè il parlamento polacco, varò una legge di restrizione della libertà religiosa. I vescovi cattolici Krasinskij e Soltyk infervoravano i cattolici contro gli ortodossi attraverso lettere pastorali; lo stesso Papa Clemente XIII scrisse al re polacco Stanislav di non concedere nulla ai dissidenti. I vari gruppi non cattolici iniziarono a collaborare: più di duecento congregazioni domandarono simultaneamente diritti per i non cattolici in Polonia, e conferenze furono chiamate fra nobiluomini e letterati in tutto il territorio del regno polacco-lituano, a Torn e a Slutsk. Per soccorrere gli Ortodossi, l'esercito russo marciò verso la Polonia. Prima di invadere il paese, l'ambasciatore russo Repin domandò che venissero concessi i diritti agli ortodossi in Polonia nel 1767, ma le gerarchie cattoliche premettero sul governo e la situazione rimase in stallo. Dopo l'invasione russa, il Sejm varò importanti decreti a favore delle minoranze religiose, e nel 1768 un accordo politico fra la Russia e la Polonia confermò queste leggi. Una commissione mista, cattolico-ortodossa, fu chiamata per rivedere la proprietà le parrocchie e i monasteri, al fine di far tornare le vecchie chiese ortodosse alla Chiesa Ortodossa. Intere comunità chiesero il ripristino della loro gerarchia ortodossa locale. Un vero e proprio libro di domande fu compilato e condotto all'attenzione di Repin, con tanto di lettere di incardinazione da parte di vescovi uniati che volevano tornare in comunione con Mosca. Tuttavia, l'indecisione dei due governi procrastinò il processo e non se ne fece nulla. Non appena l'esercito russo ebbe lasciato la Polonia, le gerarchie cattoliche ripresero la propaganda anti-ortodossa. Nella regione ucraina del Trans-Dniepro, gli ortodossi si armarono e guidati da un certo Maxim Zhelestniak misero a ferro e fuoco le proprietà dei loro aguzzini, in special modo degli ebrei e dei cattolici, e uccisero diversi preti uniati. La rivolta prese il nome di Koliivskina. La piccola città di Uman fu saccheggiata e rasa al suolo, la ribellione si estese a tutta la regione occidentale. I russi, chiamati dal governo polacco, mandarono un esercito in aiuto dei polacchi e non prestarono ascolto ai rivoltosi, i quali furono sterminati dai loro confratelli di religione: insinuati dai polacchi, i russi crederono quella rivolta una semplice ribellione contadina, come ve ne erano tante in quel periodo. Gervasio e Melchizedek, ritenuti riottosi, furono deposti dai loro ruoli religiosi e ritirati. Gli Uniati presero possesso di molte proprietà e gli ortodossi, privi di sostegno, furono lasciati senza sacerdoti. Per fortuna degli ortodossi, nel 1772 con la divisione della Polonia, la Bielorussia col suo milione e mezzo di ortodossi divenne parte dell'Impero Russo. Dal momento che l'unico vescovo ortodosso in Polonia era passato alla Russia con i trattati del 1772, gli ortodossi rimasti in Polonia, per le ordinazioni del clero, dovettero rivolgersi alla Valacchia o alla stessa Russia. Nel 1785 i russi mandarono a Pereyaslav un vescovo, Viktor Sadkovskij, con uno stipendio e la residenza al monastero di Slutsk, con il titolo di Vicario di Kiev e vescovo degli ortodossi polacchi. Non appena ebbe preso residenza, in Polonia apparvero delle dicerie e delle malelingue secondo le quali una seconda Koliivskina stava venendo preparata. Nel 1789 il vescovo Viktor fu prelevato e condotto a finire i suoi giorni in una prigione militare a Varsavia. Molti altri preti fecero la sua fine, e altri fuggirono verso la Russia. Nella riunione parlamentare del 1791 fu deciso che gli ortodossi non dovevano dipendere più da Mosca, per ovvie ragioni di natura politica e strategica, ma fu deciso che gli ortodossi in Polonia avessero un sinodo indipendente legato a Costantinopoli, ma questo progetto sfumò con le successive spartizioni della Polonia nel 1793 e nel 1795, quando la Russia, a eccezione della Galizia, riprese possesso dei suoi antichi territori. Sul finire del XVIII secolo, 130'000 uniati tornarono in seno alla Chiesa ortodossa. Il vescovo Viktor fu liberato dalla galera e fu fatto vescovo di Minsk nel 1793. Fra il 1794 e il 1795, quasi un milione e mezzo di uniati divenne ortodosso. Verso la fine del regno di Caterina, quasi due milioni di uniati erano tornati sotto l'egida della Chiesa Russa (2) . 

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FONTI

1Platonov, Ternovij Venets Rossii, Mosca, 1998, p. 224.

2)Dobroklonsky, Rukovodstvo po istorii russkoj tserkvi , Mosca, 2001,



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