Alcune testimonianze di come il santo patriarca Tikhon di Mosca e la Chiesa Russa sofferente sotto il regime comunista hanno difeso il calendario giuliano contro le innovazioni provenienti da Costantinopoli.
Il 19 gennaio
1918 era stato introdotto ufficialmente il calendario gregoriano in Russia con
un decreto del Concilio dei Commissari del Popolo. Il 1 febbraio 1918 sarebbe
stato il 14 febbraio, secondo la legge, al fine di adeguare la Russia al resto
del mondo. Per una coincidenza piuttosto particolare, il patriarca Tikhon
anatematizzava il comunismo proprio quel 19 gennaio. La Chiesa Russa ufficiale
non accettava il calendario riformato, e secondo le parole del professore S. S.
Glagolev, che prese parte al Sinodo di Mosca, "l'uso del calendario
riformato è storicamente dannoso, e astronomicamente inutile"[1]. Il
professore I.I. Sokolov, alla medesima sessione, ammise anche che, a suo
avviso, l'uso del calendario avrebbe attaccato non solo il culto divino, ma
anche la vita degli ortodossi. Fu deciso quindi che la Chiesa Ortodossa Russa
avrebbe mantenuto il calendario patristico e lo avrebbe difeso in futuro.
Il giorno 10
giugno 1923, a Costantinopoli, Melezio concludeva il suo concilio e si
proclamava l'uso del calendario "giuliano riformato". Il giorno
seguente Yaroslavskij, presidente della Commissione contro la Religione
istituita dal Partito Comunista, scriveva a Stalin e al Politburo, spiegando
come occorreva con ogni mezzo combattere l'ostilità della Chiesa Russa al
calendario nuovo e cercare di far accettare la risoluzione di Costantinopoli
anche a san Tikhon. I comunisti pensavano infatti che i veri ortodossi russi si
sarebbero scandalizzati dell'atto di sottomissione al calendario nuovo, facendo
perdere fedeli alla Chiesa, i quali si sarebbero persi nelle sette. Poiché il
patriarca rifiutò varie volte di applicare il nuovo calendario, fu imprigionato[2].
Il Patriarca
Tikhon fu informato della decisione di Costantinopoli e anche lui si decise
alla fine per accettare il Nuovo Calendario ufficialmente, poiché i comunisti
gli avevano promesso di riaprire alcune chiese e di fermare la persecuzione dei
cristiani. Per cercare di distruggere la Chiesa, i comunisti decisero perfino
di creare la settimana di cinque giorni con un giorno festivo a rotazione, ma
ben presto la follia di tale proposta fu accantonata e fu ripristinata la
regolare settimana. Nel luglio del 1923 il patriarca Tikhon fu rilasciato dalla
prigione e il 2 ottobre 1923 una delegazione di vescovi filo-governativi si
recò da lui per ottenere il cambio di calendario: ma patriarchi di Gerusalemme
e Alessandria d'Egitto non avevano accettato il nuovo calendario e i russi si
dimostravano restii ad accettare il giuliano. Venendo a conoscenza di questi
fatti, Tikhon optò per tornare sui suoi passi e ripristinare l'uso del
calendario giuliano.
Il monastero di Valaam, oggi.
Costantinopoli,
che ricordiamo aveva obbligato la Metropolia di Finlandia a passare sotto di sé
nel 1922, contro i canoni, con la scusa che Tikhon era prigioniero dei
comunisti, iniziò un lavoro di "transizione" al calendario gregoriano
in Russia nei territori non controllati da Tikhon. Ovviamente, la Finlandia e
la Polonia, passate sotto Costantinopoli, furono le prime ad accettare le nuove
disposizioni. Dopodiché, sapendo che il famoso e grande monastero di Valaam
resisteva tenacemente ai comunisti, fu deciso di tentare un colpo basso:
portare i valaamiti dalla parte del calendario gregoriano, al fine di smuovere
l'opinione pubblica russa verso il "giuliano riformato". Il 10
settembre 1925 il metropolita Germano di Karelia arrivava a Valaam da Londra,
sotto spinta di Costantinopoli, e proclamava l'uso del calendario gregoriano al
monastero. Il 16 settembre alcuni monaci andarono a parlamentare con il vescovo
Germano a seguito di un capitolo
generale del monastero, nel quale decisero di contestare la decisione del
vescovo. Il 20 settembre Germano andò a celebrare i Grandi Vespri e la comunità
monastica disertò il rito. Per tutta risposta, il vescovo greco iniziò a
requisire gli antimension e a cacciare i monaci apertamente anti-modernisti. Lo
ieromonaco Policarpo, guida spirituale del monastero, fu mandato a morire in un
Gulag con la complicità di Germano stesso. Il 25 settembre fu chiamato un altro
capitolo generale e fu votato un nuovo abate, Paolo, compiacente con il nuovo
stile. I monaci ottennero tuttavia la possibilità di seguire il calendario
vecchio "in privato". Il 12 settembre 1926, ben 35 monaci furono
spediti al gulag di Serdobol per essere andati contro le nuove disposizioni
dell'abate Paolo. Lungo gli anni, numerosi furono i monaci costretti ad
abbandonare Valaam a causa della loro difesa del vecchio stile. Nel 1939,
giunsero al monastero i commissari del popolo, e la vita religiosa a Valaam
ebbe una tragica fine. Il Vescovo Germano divenne vescovo vicario della
Finlandia per volere patriarcale. Serafim, Arcivescovo di Finlandia, fu
imprigionato dal governo finlandese indipendente, chiaramente anti-clericale, e
gli fu preferito ovviamente il modernista Germano, che era solito girare in
abiti civili e sbarbato.
Nel 1924 il
famoso metropolita di Kiev Antonij (Khrapovitskij), in un lungo viaggio di
sette mesi, visitò i patriarchi Damiano di Gerusalemme e Fozio di Alessandria,
nonché il patriarca di Antiochia Gregorio e la comunità dell'Athos, per
raccogliere consenso contro l'eresia rinnovazionista.
Nel 1930, il
metropolita Anastasio concelebrò con Glicherie, ieromonaco del Vecchio
Calendario Romeno (che andremo ad approfondire), futuro vescovo e guida del
movimento del Vecchio Stile in Romania. Ma perché dunque la Chiesa Russa non
entrò in comunione coi vetero-calendaristi?
Il metropolita
Antonij Khrapovitskij nel 1926, guida ormai indiscussa della Chiesa Russa
all'Estero, decise di non rompere la comunione con Costantinopoli né con le
altre Chiese di nuovo calendario, perché credette, in tal modo, di andare
contro i canoni 13, 14 e 15 dei Concili Ecumenici primo e secondo, i quali
intimano di separarsi dalla comunione con un patriarca o un vescovo solo dopo
una condanna effettiva o per eresia manifesta. In quel tempo, né il patriarca
Basilio III di Costantinopoli né Crisostomo Arcivescovo di Atene avevano fatto
dichiarazioni apertamente eretiche, e affermavano di aver implementato il paschalion ortodosso giuliano sul
calendario gregoriano. In tal modo, nella visione del metropolita Antonij, non
si era ancora in eresia, ma solamente in "confusione"[3].
Il fatto che la Chiesa Russa fosse ormai, come
abbiamo visto, immobilizzata e incapace quasi anche solo di continuare ad
esistere, rese impossibile ogni contatto con gli zeloti del Vecchio Calendario,
e la situazione di stallo rimase dubbiosa fino ai giorni recenti.
[1]
Rapporti del Concilio di Mosca, sessione sul
culto divino, intervento del prof. S.S. Glagolev, " Comparative evaluation of the Julian and Gregorian
styles", sessione del 29 gennaio 1918.
[2]
N.N. Pokrovskij, S. G. Petrov, Archivi
del Cremlino - rapporti fra Politburo e Chiesa (solo in russo), 1922-1925,
Mosca, ed. Rosspen, 1997, vol. I, pag. 282-284.
[3] Lettere
di sua Beatitudine Antonij Khrapovitzkij, Jordanville, 1988, pagg. 195-197.
Edizione in russo.
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