Il Paganesimo, la Filosofia greca e la Verità della Resurrezione

 Come abbiamo ripetuto molte volte, il Cristianesimo dentro di sé ha ricevuto elementi delle civiltà presso le quali si è sviluppato e con le quali è entrato in contatto. Il Cristianesimo ha compiuto la profezia del profeta ebreo Isaia (60,6) annuncia che «tutti verranno da Saba, portando oro e incenso» a Dio.  Il Regno di Saba è sovente usato per indicare i popoli lontani da Israele. Oro e incenso simboleggiano la vita materiale e spirituale dei popoli. Nel libro dell'Apocalisse, i profumi, tra cui l'incenso, sono offerti e Dio con le preghiere dei santi e raccolte dagli Angeli (Ap 8,2-5).  Ma prima di Cristo, come era la religione dei popoli mediterranei? Esistevano due tradizioni spirituali, il culto pagano classico politeista, e la filosofia, di stampo più esoterico, e una meno nota via di mezzo, nota come religione misterica (come per esempio i culti eleusini, la setta estatica di Dioniso, e altre). 

I culti esoterici della religione pre-cristiana prevedevano l'idea della liberazione dell'anima dai pesi della carne, chiamata "Resurrezione spirituale" come la definisce il filosofo tardo-antico Plotino [1]. Questa idea si era diffusa spesso affiancata da un'altra visione escatologica, per nulla dissimile dalla reincarnazione orientale, nota come trasmigrazione delle anime o, col lemma corretto, metempsicosi. La verità della risurrezione dei morti, nella sua forma cristiana, non era solo completamente nuova per il mondo pagano, ma anche di più: portava le prime notizie del grande nuovo mistero dell'universo, la cui misteriosa profondità rimane ancora quasi inaccessibile alla ragione. Anche i dogmi, le verità del Cristianesimo, non erano facilmente accessibili ai pagani, i quali non avevano a che fare con realtà spirituali così ben definite e, soprattutto, esclusiviste. Perfino i più "mistici" fra i pagani, abituati alle visioni indotte dalle estasi mistiche dei misteri eleusini o bacchici, dinnanzi alla spaventosa semplicità del messaggio evangelico non riesce a vedere se non altro che "follia". Così Tertulliano, con la sua caratteristica risolutezza, afferma direttamente che il diavolo "imita (aemulatur) le opere dei misteri divini nei misteri degli idoli" (De praescr. Haeret., 40) e perfino "raffigura la resurrezione" (imagm resurrectionis inducat). E il massimo che si può presumere è che nelle menti più dotate dell'umanità precristiana, molto prima di Cristo, alcune speranze vagavano nei loro ragionamenti pieni di speranza per un futuro, il che divenne fattivo solo dopo la risurrezione di Cristo insieme con la verità della fede. In realtà si può scorgere il desiderio di un ritorno all'antico nella filosofia romana, una sorta di paradiso perduto (vvv). La stessa cosa succedeva in Cina e in Asia con i saggi come Budda, Confucio, e le dottrine taoiste. L'umanità sapeva che si trovava in uno stato decaduto, lo avvertiva. I filosofi, gli amanti della verità, pur non conscendoLa la bramavano. Cercavano di sondare questo grande mistero della Divinità Unica oltre la corte di fumo spirituale vomitata sull'umanità dagli spiriti malvagi e dai feticci del culto idolatrico. 

Ma è possibile trovare dei semi divini sulla verità della Resurrezione? in realtà sì. Dio ha preparato la strada affinché tutti i popoli del mondo potessero comprendere la Verità al momento opportuno, preparando ogni cultura all'incontro con Cristo. È da qui che nasce il primo rudimento della religione: il culto degli antenati, insieme alle superstizioni e ai rituali che lo circondano. Ma già in Omero (X-IX a.C.), tutto questo è sostituito da uno sguardo completamente privo di speranza sull'aldilà: l'anima scompare insieme al fumo della pira funeraria, trasformandosi in un'ombra opaca dell'Ade (Odissea, XI, 218). Manca la Luce del Cristo. L'umanità si allontana dall'antichità edenica e soffre. I comuni mortali, anche se di origine semi-divina, se ricevono una retribuzione, solo qui, sulla terra, e poi, dopo la morte, sono destinati a trasformarsi irrevocabilmente in pallidi, impotenti fantasmi (Odissea. 495, ai sensi del contesto). L'uomo decaduto non può che vivere per il transeunte, non vede il futuro, vuole solo arraffare il presente e goderne finché può... non c'è pace nell'aldilà, solo buio. E questo è ancora oggi la morte immaginata dai pagani del mondo di oggi, agli atei e miscredenti che non hanno fede nella Verità annunciata dal Teantropo. 


Gli antichi Omero, Tucidide, Aristotele, Platone e Plutarco in un ciclo pittorico nel monastero della Grande Meteora, Grecia.

I Misteri Orfici di Ercate, ad esempio, ritenevano che nell'Ade il corpo restituito alla terra (e non arso come in altre tradizioni) fosse mangiato da esseri spirituali e rimane solamente lo spirito, l'immagine del defunto (εἴδωλον) che tuttavia non ha coscienza, e quindi... è tutto finito. Eppure, gli antichi sono consapevoli che una tale visione è completamente inumana, e quindi ben presto trovano altri sistemi filosofici più complessi per giustificare un destino alternativo. Nel ciclo mitico successivo all'Odissea,  Achille languente nell'Ade viene resuscitato da sua madre Thetis, dopo un preliminare trasferimento del suo corpo sull'Isola Immacolata (detta anche Isola Bianca, Λευκή  in greco), nella quale vivrà una vita eterna di delizia e beatitudine. Una revisione spiritualizzata del Ciclo Omerico vede una sorte simile per Menelao, prelevato alla morte e condotto ai Campi Elisi. La risurrezione degli eletti per l'immortalità non è sempre accompagnata dal loro insediamento nella dimora della beatitudine. Alcuni di loro vengono inghiottiti dalla terra e tornano in vita per una vita già immortale. Tale è l'eroe tebano Amphiaraus ( Pindari Carm. Nem. IX, 24; X, 8). Ma la cosa più curiosa è che un premio così alto non sempre corrisponde nemmeno ai meriti morali di una persona a cui è stata assegnata l'immortalità. Cleomede per esempio, dopo aver commesso due omicidi, si rifugia in un tempio e l'oracolo annuncia che ha guadagnato così l'immortalità, e gli abitanti di Astipalea sono d'accordo col lasciarlo vivere nella loro comunità, nonostante i delitti. In tutti questi miti dell'epopea greca successiva, per la prima volta, l'idea della possibilità di tornare alla vita, e, inoltre, alla vita immortale, traspare in tutta la pienezza della natura umana una combinazione indissolubile di anima e corpo.  E allo stesso tempo, si suppone che questa vita immortale abbia luogo sulla terra, ma solo nelle condizioni insolitamente belle dell'Eliseo ( I campi Elisi sono l'Eden mediterraneo), o nelle grotte sacre, tra il timore religioso dei mortali. Passano altri due secoli circa e il pensiero religioso e poetico greco entra in una nuova fase, avvicinandosi costantemente a una fede completamente palpabile nell'immortalità del principio spirituale nell'uomo. In Esiodo (VIII secolo), le ombre omeriche dell'Ade sono già, per così dire, incarnate, trasformandosi in anime personali e coscienti. Si scopre, per così dire, un ritorno a un passato lontano e animistico, e nel frattempo si creano visioni antropologiche, che poi formeranno la base di ulteriori costruzioni già filosofiche, fino ad Aristotele con la sua stretta e materialistica fusione dell'anima. e corpo in una sola persona. Nel pensiero del poeta-sacerdote Esiodo, tutte le anime diventano esseri spirituali (δαίμονες, demoni) dopo la morte. Gli eroi e gli eletti vivranno nella beatitudine dei campi Elisi, mentre gli spiriti "comuni" o impuri vivono nel grigiore perpetuo dell'Ade. Questa visione spirituale prenderà piede considerevolmente in tutte le civiltà mediterranee e rimarrà invariata fino all'avvento del Cristianesimo. D'altra parte, era credenza comune ai popoli mediterranei che tutti i defunti, antenati compresi, ascendessero immediatamente ad uno stadio ultimo spirituale, dal quale non era possibile né tornare né andarsene, e per questo venivano riveriti e se ne chiedeva l'intercessione. Non esisteva la preghiera per i morti, ma solo la preghiera rivolta ai defunti. Non si concepiva la possibilità di modificare il proprio stato dell'essere - tranne per coloro che credevano nella metempsicosi, di cui tratteremo dopo. In effetti, l'umanità avvertiva il fatto che le porte dell'Ade fossero chiuse... Cristo non aveva compiuto ancora la Catabasi. 

I culti misterici (ἱερομανία) di Dioniso-Bacco, che comprendevano rituali estatici e orgiastici, sono antichissimi e ne abbiamo una descrizione completa dal V secolo a.C nell'opera Baccanti di Euripide. Non conosciamo l'origine dei  rituali misterici di Dioniso, ma sappiamo che già Omero, quasi tremila anni fa - all'inizio della storia greca, li definiva appartenenti "ad un'epoca antica" (cfr. ποτέ , Ill. VI, 132). Quel che sappiamo è che il fedele dei misteri dionisiaci, attraverso la pratica cultuale, mirava ad una rinascita continua e ad un rinnovamento interiore (ἀναβίωσις) e la comunione con il dio. Ma le rivelazioni mistiche dei misteri ellenici per lungo tempo furono destinate a svolgere solo il ruolo di quel sottofondo ideologico sul quale era più o meno chiaramente visibile il modello della grande era filosofica emergente. Il mondo antico doveva ancora sopravvivere alla sua forza, stancarsi dei continui vagabondaggi tra la disperazione dello scetticismo e il noioso "buon senso" e "dovere" degli stoici, prima che le dottrine mistiche riuscissero a dominare completamente, probabilmente non senza l'influenza del cristianesimo, l'escatologia del mondo greco-romano. Mentre il culto orgiastico spande un caldo e sensuale abbraccio al mondo greco, il Mistero orfico invece propone un delicato e sensibile approccio alla divinità, l'immortalità dell'anima tramite l'unione mistica con Apollo, da compiersi nella perfetta moralità e nella vita ritirata. Ma poi nasce la filosofia scettica, il naturalismo il Talete di Mileto: Le cause ( ἀρχαί) di tutto ciò che esiste assorbono sia l'anima che il corpo di una persona, dissolvendoli nella loro spontaneità onnicomprensiva e ma anche la stessa immortalità dell'anima si risolve nell'immortalità della materia primordiale. E ben presto i Misteri e i loro adepti si ritirano nel silenzio di lontani santuari, e la scena è dominata dal triste e oscuro filosofeggiare dei retori. Tuttavia, il filosofo Eraclito ha una idea chiara e lontana dagli altri: ci sarà la resurrezione dei corpi e il Fuoco primordiale giudicherà il cosmo intero [2].  Il famoso Empedocle siciliano ha già una brusca svolta verso le visioni mistiche degli orfici e dei pitagorici e anche, in parte, verso le antiche credenze omeriche. Quindi Empedocle crede che l'anima, liberata dalle "vesti del corpo" (σαρxῶν χιτών), vivrà per sempre in uno stato di libertà divina [3]. Arriviamo dunque all'epoca dei grandi filosofi e delle religioni non politeiste della Grecia classica, la prima delle quali fu il Pitagorismo. 

I Pitagorici, avevano uno stretto legame con l'Orfismo, sebbene sia difficile stabilire la fonte diretta della dottrina metempsichica sviluppata dai Pitagorici in un armonioso sistema di forme vaghe e misteriose. In questo sistema, le influenze sia dell'orfismo che del culto tracio di Dioniso, e forse delle lontane credenze egizie, sono ugualmente riunite. I Traci, infatti, interpretavano la metempsicosi come una sorta di "immortalità": le anime dei morti, tornando in vita in nuove e nuove incarnazioni, continuavano, per così dire, la vita sulla terra. Ma si può presumere che la metempsicosi fosse, qui, più una punizione che un percorso verso la beatitudine. E' facile vederci un parallelo con la lontana (forse non così lontana) dottrina buddista: influenze orientali potrebbero non essere così impossibili. L'anima può emergere, liberarsi solo gradualmente, attraverso la metempsicosi, ma la via a questo si apre attraverso i misteri di Orfeo. Solo attraverso di loro si può evitare il fatale "ciclo delle nascite" ( κύκλος τῆς γενέσειος ), solo attraverso l'iniziazione ai sacramenti orfici e attraverso l'imitazione di Dio di cui hanno bisogno ( ἀκολουθεῖν τῷ Θεῷ ) è possibile ricevere la speranza di ascesa al mondo di "santità libera". E' anche facile vedere in questo ragionamento la base delle future eresie gnostiche del mondo cristiano, influenzate sicuramente dal dualismo anima (buona) e corpo (malvagio) tipico delle dottrine malate dei pagani. Il periodo del primo (sofisticato) scetticismo che arrivò, quindi, aprì la strada alla percezione della filosofia puramente morale di Socrate, che cercava conforto da dolorose contraddizioni nell'autocoscienza morale interna, e poi nella persona di Platone e Aristotele, il pensiero ellenico era già diventato l'ispirazione, per molti secoli, la coscienza non solo filosofica e scientifica, ma anche religiosa ravvivò gradualmente il paganesimo. Ed è qui che, per la prima volta, sono apparse tali intuizioni nelle profondità misteriose della natura umana che anche il Cristianesimo è incline a riconoscere l'azione provvidenziale del Verbo divino nelle idee del platonismo. Tuttavia, dal punto di vista della nostra ricerca, lo sviluppo delle idee di Platone sull'immortalità non è di nostro interesse, e inoltre, è già stato discusso e commentato più di una volta, e in grande dettaglio. Ma è interessante che nello stesso dialogo "Fedone" ci siano pensieri che sono estremamente simili al vago rudimento dell'idea di resurrezione, sebbene scompaiano, quindi, nel flusso di altre idee di Platone. Ma, naturalmente, la vera idea di risurrezione è ancora molto lontana da Platone - non usa mai nemmeno la parola "resurrezione" ( ἀνάστασις ), limitandosi al più povero  "risveglio" ( ἀνάίωσις ). Platone riteneva l'anima l'incarnazione di una idea pura e quindi la morte è la liberazione di questa; è ovvio che la sua incarnazione in questo o quel corpo è solo una fase della sua evoluzione cosmica sulla via dell'apoteosi finale. E se è così, allora la risurrezione, come ritorno alla precedente forma corporea, sebbene illuminata e trasformata, è impossibile. Per l'anima platonica, solo la metempsicosi è possibile ma come passo redentore e non come atto escatologico finale. L'anima, secondo lui (Phaed. ΧΧΧ, 81 c), come se fosse una forma corporea "ossessionata" ( ὕπὸ τοῦ σωματοειδοῦς διειλιμμένη) e infatti solo i saggi, che si sono liberati dalle catene del mondo, ottengono alla morte la liberazione; gli altri si porteranno la loro anima carnale con sé nell'Ade. La profondità dell'insegnamento platonico ha garantito un posto di onore a Platone fra i "saggi illuminati del passato" nella tradizione ortodossa. Alcune sue intuizioni, se viste alla luce della Rivelazione di Cristo, sono davvero illuminanti. 

Il puro idealismo di Platone fu rapidamente sostituito dalle tendenze razionalistiche della scuola peripatetica sotto l'influenza di importanti eventi politici nella Grecia del IV secolo, quando, a seguito delle conquiste macedoni, le influenze più diverse e principalmente orientali invasero la mentalità e la vita spirituale del mondo greco. Ed ecco che Aristotele, col suo razionalismo, inaugura una nuova fase del pensiero greco. Ma d'altra parte, l'aspetto dell'essenza stessa del rapporto del principio spirituale (la cui esistenza oggettiva, ovviamente, non è affatto negata) con la base materiale del corpo, emerge comunque con particolare chiarezza , piuttosto mal sviluppato da Platone. Questo rapporto ha una base strettamente razionalistica, ed è qui che Aristotele ottiene intuizioni puramente brillanti che aprono orizzonti di possibilità che erano ancora sconosciute prima di lui. L'anima - questa "prima" ( πρώτη ) entelechia del corpo - non è considerata da Aristotele come separata dal suo substrato materiale, ma convive con lui allo stesso modo della cera e di un'immagine che ne è fatta ( κηρὸς καὶ τὸ σχημα ), o come un occhio , coesistono in un unico atto dell'essere e la sua capacità visiva ( εἰ γάρ ἧ ὁ ὀφθαλμὸς ζῶον, ψυχὴ ἂν ἧν αὐτοῦ ἡ ὄψις ). Con questi confronti, Aristotele sottolinea che, a suo avviso, è la stretta fusione dell'anima e del corpo che determina l'esistenza stessa ( οὐσία ) dell'organismo. Dopo la loro separazione, non ci può più essere un essere (οὐκέτι σαόν ἐστιν) . Questa visione di Aristotele sul rapporto tra anima e corpo è particolarmente importante, dal nostro punto di vista, perché da essa segue naturalmente la necessità sia dell'anima che, allo stesso modo, e del corpo di raggiungere la pienezza assoluta dell'essere. Quindi Aristotele fa rivivere e sviluppa l'antica idea pitagorica di dividere l'anima in due parti significativamente diverse (tra i pitagorici, λογικὸν e ἄλογον ). La stessa suddivisione si trova in Platone, ma ancora in forme vaghe e persino contraddittorie, e solo Aristotele introduce definitivamente il concetto di due parti indipendenti dell'anima - vale a dire, la sua mente "passiva" e "attiva" ( νοῦς παθητικός e νοῦς ποιητικός ). Tutto questo, è impresso da un unico tipo individuale ( εἶδος ), che Aristotele eleva alla dignità del Logos creativo ( τὸ δ᾽ εἶδος ὁ λόγος Met, III, 996B, 5), e se assumiamo ulteriormente che questo principio creativo si unisce alla parte immortale dell'anima ( νοῦς ποιητικός ), quindi rimane solo un passaggio alla conclusione (che, ovviamente, non è concepito dallo stesso Aristotele) che un restauro secondario, inverso o ricreazione dell'individuo è anche possibile.

Negli stoici successivi ad Aristotele, l'idea dell'immortalità dell'anima e la possibilità di ripristinare la personalità umana suonano già quasi cristiane. Così, Seneca, in una delle sue lettere, dice: "La morte interrompe la vita, ma non la toglie: tornerà il giorno, che ci restituirà al mondo" [4].  Non è per niente che Eusebio di Cesarea (Praep. Ev. XV, 19), parlando della restaurazione stoica del mondo, usa direttamente la parola ἀνάστασις - l'insegnamento escatologico del tardo stoico gli sembra così vicino all'idea di risurrezione.. tuttii principali sistemi filosofici del tardo paganesimo, mentre ci avvicinavamo all'inizio dell'era cristiana, si mescolavano sempre più a varie altre correnti, con un eclettismo rilassante e minando ogni conoscenza dello scetticismo. Ma come risultato, nulla di nuovo è stato elaborato e inventato, e si è ottenuta solo una sempre maggiore confusione di idee e dubbi incessantemente vacillanti sulle possibilità stesse della conoscenza metafisica. Il pensiero stanco e sconvolto non poteva, tuttavia, accontentarsi di meri schemi morali di filosofia pratica o di vaghi accenni escatologici e di predizione della fortuna. 

Il mondo aveva bisogno che Dio, la Verità che supera ogni pensiero con la sua realtà tangibile, spirituale e fisica, si palesasse. E venne il Verbo Incarnato. 

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NOTE

1) Plotino. Ennadi, III, 6, 6: – ἀπὸ σώματος, οὐ μετὰ σώματος ἀνάστασις.

2) Citato in Ippolito (Filos. IX, 10)

3) Rohde, Psych., II6, S. 174

4) Seneca, Ep. XXXVI, 10: mors… intermittit vitam, non eripit: veniet iterum qui nos in lucem reponat dies, quem multi recusarent, nisi oblitos recuceret… aequo animo debet rediturus exire.

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