La Ventinovesima Domenica di Pentecoste (IV di Avvento) - "Dei dieci Lebbrosi"

 Siamo giunti alla Domenica Ventinovesima dopo Pentecoste, nella quale ascoltiamo la guarigione dei dieci lebbrosi, dal Vangelo di Luca 17:12-19. 

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.  Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse:  «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!». [Luca 17:12-19]


Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

L'evento dell'incontro di Cristo con i dieci lebbrosi e della loro meravigliosa guarigione è riportato solo da San Luca. È molto probabile che abbia ricevuto l'informazione proprio dal beneficiario di questa guarigione, cioè dallo straniero (il Samaritano) che certamente divenne uno dei figli della Chiesa primitiva, tanto che Luca, anche in qualità di medico , si sentirono moralmente obbligati a immortalare per iscritto il miracolo, ma anche a mostrare ai Samaritani, molto ostili ai loro fratelli ebrei, che la salvezza passa attraverso Qualcuno di origine ebraica (Gv 4, 22). In altre parole, san Luca vuole sottolineare il fatto che Cristo Redentore si rivolse prima al suo popolo, cioè ai Giudei, e poi ai Samaritani che erano imparentati con i Giudei, pur essendosi mescolati con i pagani, e quindi a colui che era Cristo guarito lo chiama straniero. Solo dopo Gesù esorta i suoi discepoli a rivolgersi anche ai pagani, cioè ai “gentili” (Mt 19,18-20). 

Vedendo passare Gesù, i dieci pregano tutti dicendo: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!” La preghiera fatta nel nome di Gesù ha il dono della guarigione e della salvezza. Infatti, il nome stesso di Gesù significa “Colui che salva” e implicitamente “Colui che ha misericordia”. Tanto per cominciare, ricordiamo ancora che la guarigione dei lebbrosi è stato un gesto concreto di misericordia del Salvatore, compiuto per questi dieci infelici, portatori di un male incurabile, che stritola il corpo fino a sopprimere la vita. Dobbiamo notare che Gesù manifestava la sua compassione in modo spontaneo: non chiedeva più, come in altre situazioni: "Pensate che io possa fare questo?", ma li mandava direttamente a farsi vedere dai sacerdoti, affinché la loro guarigione potesse essere certificata. È noto che la lebbra era una malattia spietata e contagiosa, per questo i poveri malati erano costretti a vivere isolati, fuori dalle comunità, e quando si spostavano dovevano gridare da lontano: "impuri, impuri!" - per essere evitati dai loro coetanei.

Perché san Luca ha scelto di tramandare questa guarigione? Il salvatore Gesù Cristo ci ha portato la cura contro la lebbra del peccato, dandoci l'opportunità di guarire la nostra anima, una guarigione infinitamente più importante di quella del nostro corpo. Tuttavia, nel rispetto della libertà di scelta delle persone, non obbliga nessuno a praticare le virtù. Ecco perché incontriamo ancora molti dei peccati conosciuti prima della Sua Incarnazione, alcuni anche in forme nuove, più insidiose e pericolose. I "nove ebrei" sono gli ingrati e interessati solo alle cose materiali si possono trovare ovunque, sia tra i loro connazionali, sia tra le altre nazioni alle quali hanno inculcato il loro modello contagioso, che hanno terrorizzato il mondo con la loro ingegneria finanziaria, con macchinazioni politiche, con il mantenimento dei focolai di guerra, con la feroce preoccupazione di rendere colpevoli tutti coloro che vi si oppongono. Fortunatamente, il “Samaritano” grato ha instillato, a sua volta, le virtù migliori che portano con sé i buoni cristiani di ogni tempo e luogo. Questa storia dimostra anche una patetica realtà: la maggioranza delle persone non ricorderà il bene fatto. E a maggior ragione, la "guarigione" che può essere spirituale, mentale, emotiva e corporea, viene spesso dimenticata quando siamo in salute. Dimentichiamo chi ci ha aiutato, soccorso, salvato. 

Noi crediamo e testimoniamo, e questa è la verità, che l'anima è nel corpo e il corpo è nell'anima. È un'unità indicibile. Non dobbiamo pensarli come due esistenze radicalmente e totalmente separate, ma come in una unità divina. Giudizio più profondo: Il Salvatore, il Figlio di Dio, “Dio-Parola (Dio-Logos, Dio-Ragione, Dio-Mente Divina) si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Per questo i divini Padri affermano che l'uomo è creato a immagine e somiglianza non solo attraverso l'anima, ma anche attraverso il corpo. Il sigillo, ovviamente, è nell'anima; ma l'anima è in una unità indissolubile con il corpo. Ricordiamo questa verità divina ed eterna: il Figlio di Dio si è fatto carne. Il Figlio di Dio, il Dio eterno, l'Increato unito alla creatura, unito per sempre. Perché l'uomo non ha mantenuto questo legame che gli è stato affidato al momento della creazione, quando Dio ha soffiato in lui il divino soffio di vita. Non l'ha mantenuta, non è stato fedele alla grazia. E poi, in Cristo, il divino e il terreno si uniscono per sempre. Ecco come intendiamo questa unione tra anima e corpo. E quando la parola del Vangelo dice: «Vidi risplendere la sua gloria (cioè del Figlio di Dio fatto uomo), gloria come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità», allora pensiamo a noi stessi, di questa profonda unione dell'anima con il corpo. Perché l'anima, ricevendo la grazia verso la deificazione (come tante volte testimoniamo secondo i divini Padri, che la grazia di Dio diviene l'anima dell'anima nostra, come la sua luce), rende partecipe anche il corpo. Carissimi, pensa: quando siamo illuminati dentro dalla fede, dalla speranza, dall'amore, da una gioia indicibile – della salute, della preghiera, di una buona azione – oh, Signore, come risplende il nostro corpo! Si illumina. E, al contrario, come il peccato - dissolutezza, ubriachezza e altri - ti sfigura, ti odia. Dante racconta come, da qualche parte nell'Inferno, vede un povero peccatore tormentato, che il serpente si avvolge e stringe, e lui si contorce; e il suo volto, quello del povero, somiglia al volto del malvagio.

Allora come non riflettere profondamente su questo legame, tra anima e corpo, tra la presenza della grazia di Dio e la presenza del male? Un pensiero alto, sublime, non si manifesta, non si realizza, in un artista, in uno scienziato, per opera sia della sua anima che delle sue mani? Oppure la preghiera stessa, la meditazione che faccio, il segno della croce, il sacrificio che faccio, la buona azione che faccio, tutto faccio attraverso questa santa unità tra anima e corpo, tra spirito e materia, in cui senti che il corpo è davvero una rivelazione della tua anima. Il divino apostolo Paolo dice di abbandonare l'idolatria, come abbiamo ascoltato oggi nella lettera ai Colossesi. E cosa erano gli idoli se non proprio una divinizzazione, una divinizzazione delle passioni umane e di questo mondo sradicato – nella loro coscienza, non nel suo essere – da Dio? E l'Apostolo dice ancora: «Ora anche tu respingi dalla tua bocca tutte queste cose: l'ira, l'ira, la malizia, la calunnia, la parola infamante. Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue opere, e avete rivestito l'uomo nuovo, che si rinnova fino alla piena conoscenza, secondo l'immagine di Colui che lo ha creato (che è Cristo Salvatore)» (Colossesi 3,8-10). Il Padre, per la sua volontà divina, ci ha costruiti tutti, per mezzo del Figlio e ad immagine del Figlio, nello Spirito Santo. L'apostolo, dunque, carissimi, ci dice questa verità: respingete tutte queste forme di male, che vi decompongono! Ecco, questi doni che ho evocato sono, come dice san Massimo il Confessore, "proprietà della divinità che in noi diventano le nostre virtù", la "materia spirituale" della nostra anima e della nostra vita, se così possiamo dire. Tutto ciò costituisce essenzialmente la nostra esistenza, la nostra edificazione e la nostra salvezza, così come si rivelano in Gesù Cristo, il Modello.

Seguano dunque i comandamenti, le virtù e la gratitudine tutti coloro che amano dirsi cristiani, come ci esortano le parole di sant'apostolo Paolo, scritte ai Colossesi: Mettiate dunque a morte le vostre membra terrene: fornicazione, impurità, passione, cattivi desideri e cupidigia, che è adorare gli idoli..., nei quali anche voi camminavate un tempo, mentre vivevate in essi... (Col. 3, 5-7). A questa esortazione aggiungiamo gridando: Venite a Cristo per essere guariti dalla lebbra dei peccati, e dopo che sarete guariti, non dimenticate di essergli grati per il beneficio ricevuto.

E così sentiremo anche noi, al termine della nostra vita, la dolce voce del Redentore, che dirà anche a noi: la tua fede ti ha salvato. Amen!

Commenti