La Ventiseiesima Domenica di Pentecoste (I di Avvento) - "Del ricco stolto"

Siamo giunti alla ventiseiesima domenica dopo Pentecoste, per la quale leggiamo l'evangelo secondo Luca 12,16-21, la parabola del ricco stolto.

Gesù disse poi una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?  E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.  Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?  Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio. [Luca 12,16-21]



Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 

Quella che abbiamo ascoltato oggi è una parabola tanto semplice quanto vera. Chi di noi non ha visto o sentito parlare di persone del genere che si riuniscono per tutta la vita e che, un giorno, inaspettatamente, passano oltre e tutta la fatica di una vita, messa da parte, ogni loro raccolta risulta essere stata, per loro, vana .

Chi non ha avuto l'opportunità di stare vicino a persone che se ne sono andate, e di vedere come, dal momento in cui sono passati, altri hanno camminato attraverso i loro beni, senza paura e senza vergogna, come attraverso possedimenti senza padrone, e l'unico chi era passato non poteva più ormai non dire loro nulla. Non poteva più stupirsi di tanta mancanza di rispetto e di ordine, né protestare, né pretendere che quei beni fossero suoi, anche se alcuni erano cose strettamente personali.

Non erano più suoi. Questo era. Erano decisamente fuori dal suo controllo. Adesso erano a disposizione di coloro che restavano e che potevano camminare attraverso di loro e attraverso la sua anima come un bastone nella cenere. Potevano fare quello che volevano dei beni che, un attimo prima, erano soggetti ad un'altra legge. Secondo un'altra regola. Appartenevano all'essere di qualcun altro. Adesso erano tutti fuori dalla legge dell'essere a cui appartenevano. Erano diventati beni in cui gli altri potevano interferire senza responsabilità, senza paura o vergogna. Anche i parenti più stretti, benché ormai eredi, prima non avrebbero osato aprire un cassetto, una scatola, una lettera. Ora tutto è permesso!

 La morte crea situazioni del genere, davvero strane, non importa quanto naturali siano. Non ci soddisfano, per quanto naturali possano essere. Così come la stessa morte, naturale quando è alla fine del viaggio, non soddisfa nemmeno allora, ma spaventa, sconcerta, disturba. Molte volte il Salvatore ha richiamato l'attenzione a non riporre la nostra speranza nella ricchezza. Vedeva in lei perfino un fastidio e un pericolo. Quante volte ha detto: "Guai a voi, ricchi!" Oppure: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». Dio punì con la morte Anania e Saffira perché avevano accantonato i beni che avevano promesso alla comunità. Dopo l'esperienza delle prime comunità cristiane di vivere in comunità di beni, il monachesimo comunitario ha ripreso questo comandamento del Salvatore, e gli eremiti solitari lo hanno portato all'estremo, rinunciando a tutto. Uno dei voti dei monaci della comunità è la povertà volontaria. Hanno preso, fin dall'antichità, questo insegnamento come un comandamento, e hanno cercato di metterlo in pratica. Ma hanno dovuto affrontare anche alcune difficoltà. Hanno visto che non è facile mettere in pratica perfettamente una cosa del genere. Perché la domanda li ha investiti: se non ci preoccupiamo del domani, di cosa vivremo? E avere per domani significa conservare oggi!

Ma non è questo ciò su cui il Salvatore attira l’attenzione. Non poteva predicare un insegnamento assurdo. Non ha mai vietato di prendersi cura del futuro, garantendo il domani. Ciò che il Salvatore ha condannato è stata la trasformazione dei beni che accumuliamo in beni esclusivamente personali, e la concentrazione di tutte le preoccupazioni su di essi, con un pensiero egoistico, con il pensiero di avere più del necessario.

Ciò condannò il Salvatore. Condanna l'egoismo, condanna l'avidità, condanna chi raccoglie per il gusto di collezionare, per la gioia perversa che prova contemplando le proprie borse e i propri granai. Alcuni come questi dimenticano Dio e le persone. Soddisfatti, non vedono più ciò che li circonda e non sentono che ciò che hanno in più sarebbe di grande utilità a chi ha meno dei suoi bisogni. E, soprattutto, dimenticano che moriranno e che tutto ciò che raccolgono in più, lo raccolgono in realtà per gli altri. Verranno presi da altri senza che questi sentano nemmeno il dovere di ringraziarli. Il Salvatore confortò i poveri, ma non disse mai che dovevano rimanere poveri. Non ha perpetuato, non ha santificato la povertà. Non ne fece una condizione di salvezza. Ha offerto loro un compenso superiore, solo quando non poteva offrirglielo qui. Zaccheo il pubblicano condivideva le ricchezze dei poveri.

Il Salvatore ha condannato i ricchi. Non intendeva una rivoluzione sociale. Credeva che sarebbe stato possibile passare ad una società migliore attraverso una rivoluzione morale, nella coscienza. Si penserà che un altro potrebbe portare a mali ancora più grandi, come sta prendendo forma oggi, ad esempio la regolamentazione, pensata da alcuni, attraverso una guerra atomica. È così che, alla fine, il mondo continua a fare appello alla coscienza, perché le armi non possono che portare alla catastrofe totale dell’umanità e del pianeta. L'uomo ricco, il cui paese lo aveva generato, aveva abdicato alla coscienza della responsabilità verso gli altri, concentrandosi solo su se stesso e sui suoi piaceri. Ciò non piacque a Dio, per diversi motivi, primo perché il ricco sospese il suo lavoro. In secondo luogo perché riservava i suoi beni solo a sé stesso e, in terzo luogo, a questo intimo dialogo che aveva con la sua anima, come se si limitasse solo alla vita terrena. Ha completamente dimenticato la dimensione celeste. E credeva che tutto fosse legato al corpo: bere, mangiare e stare allegri. E ancora solo. E quanto all'eternità, nell'eternità terrena.

È proprio qui che sbaglia. Per questo Dio attirò la sua attenzione: "Stolto, questa notte la tua anima sarà portata via; ciò che hai preparato, a chi rimarrà"? Gli rivelò l'inutilità di avere immense ricchezze terrene che non potranno essere condivise con nessuno nel mondo celeste. L'invito non è ad essere poveri, ma ad avere pensiero per l'eternità, la vera e sola ricchezza. 

Siamo entrati nel digiuno dell'Avvento e questa parabola è perfetta per la prima domenica del nostro percorso di istruzione e di riflessione per la Nascita del Redentore. Cosa abbiamo guadagnato finora di spirituale? Il Natale di Cristo è per noi una fonte di gioia spirituale o è solamente una sofferta corsa ai regali? Ad accumulare oggetti superflui? Almeno riusciamo a godere dell'amore per gli altri, o è solo egoismo? Usiamo il tempo che ci viene dato per lavorare per il Signore, per compiere i comandamenti di Dio non solo nel nostro piccolo recinto, ma anche per gli altri, per edificare i fratelli nel Bene. 

San Cirillo di Gerusalemme spiega così la chiamata di ogni uomo alla sobrietà e all'opera buona: «La radice di ogni buona azione è la speranza nella risurrezione. L'attesa della ricompensa fortifica l'animo verso la buona opera. Ogni lavoratore è pronto a sopportare le difficoltà, se crede che la ricompensa le sue fatiche saranno davanti a lui» (Catechesi VII, 14, XVIII, 1).

In questa visione della buona azione, compiuta a vantaggio del prossimo, qui sulla terra, sta la grande novità sociale del cristianesimo. Da qui nasce la "Chiesa dei Servi". Qui sta il fondamento della preoccupazione cristiana per il mondo, per i suoi problemi. Da qui l'interesse del cristianesimo per il progresso e la pace. Il Signore ha stabilito nella società cristiana delle nuove regole: giustizia, misericordia, mutuo sostegno, indipendenza, obbedienza nella carità e nello spirito. La società cristiana non è un arcipelago hippie, ma una congregazione di persone che amano Dio e si amano fra loro nel riflesso della divina carità. In questo rispetto vi è l'obbedienza gli uni per gli altri in accordo ai carismi concessi dalla Chiesa ai suoi membri.  Del frutto del lavoro dobbiamo vivere così come cade sulla terra, e di quello che ci resta per fare del bene a chi intorno a noi è nel bisogno. Se non lo facciamo, arriva il giorno in cui ognuno di noi potrà sentire: Sciocco, perché hai raccolto tutto questo e lo hai raccolto solo per te stesso, per compiacere solo il tuo cuore e i tuoi occhi? Ecco, domani viene la morte, ti prende, e di tutto non porti nulla con te. Per chi hai collezionato questi averi?

La parabola di oggi ci insegna la sobrietà, la modestia: lavoriamo per vivere, non viviamo per lavorare. Dai a te stesso il rispetto che merita un uomo di Dio. Non soffocare la tua anima, la tua famiglia, i tuoi affetti per un posto di lavoro che non ti rispetta nemmeno! In questa epoca in cui siamo schiavi delle grandi multinazionali e di questi luoghi di lavoro pedanti e stressanti, è davvero una perdita di tempo dedicare più del dovuto a questi padroni iniqui, che non hanno il minimo interesse nella crescita e nel benestare dei loro sottoposti.  Dedichiamo tempo ad altro, a cose che ci fanno gioire spiritualmente, alla felicità che porta una casa accogliente e piena d'amore. La ricchezza materiale è una cosa buona se è usata per il prossimo, ma non ha valore una volta che la morte ci porta via. E rimaniamo poi soli con ciò che abbiamo fatto di bene e di male, ovvero il nostro "tesoro" spirituale. E quale baule vogliamo aprire alla fine della nostra vita? un baule pieno di ricchezze celesti, oppure un baule vuoto e tenebroso? A noi, come sempre, nel nostro libero arbitrio, la scelta. 

Commenti