L'evoluzione del celibato nei ranghi episcopali in un breve profilo storico

 Traduciamo l'articolo del sito del Monastero di s. Elisabetta a Minsk, nel quale articolo si affronta l'interessante sviluppo del celibato nell'episcopato dl punto di vista storico.


Il periodo antico: dal I al IV secolo

Lo stesso apostolo Paolo non escludeva la possibilità del matrimonio per un vescovo: “Ora il vescovo deve essere irreprensibile, fedele alla propria moglie, sobrio, assennato, dignitoso, ospitale, capace di insegnare” (1 Timoteo 3:2). L’apostolo parlava anche molto bene del matrimonio e tracciò persino dei parallelismi tra un’unione coniugale e l’unione di Cristo con la sua Chiesa (Efesini 5).

Tuttavia, in quei tempi apostolici, l'idea del matrimonio nel sacerdozio aveva molteplici oppositori, e alcuni fedeli addirittura disdegnavano il matrimonio in quanto tale. L'apostolo si espresse fermamente contro queste opinioni: "Lo Spirito dice apertamente che negli ultimi tempi alcuni abbandoneranno la fede, seguendo spiriti seduttori e insegnamenti di demoni. Tali insegnamenti provengono da bugiardi ipocriti, la cui coscienza è marchiata come da un ferro rovente. Essi proibiscono alle persone di sposarsi e impongono loro di astenersi da certi cibi, che Dio ha creato per essere presi con rendimento di grazie da coloro che credono e che hanno conosciuto la verità..." (1 Timoteo 4:1-3).

La questione del matrimonio nel sacerdozio è stata affrontata anche nelle Regole Apostoliche, e la risposta era coerente con le opinioni dell'apostolo Paolo:

«Un vescovo, un presbitero o un diacono non ripudi la propria moglie sotto pretesto religioso; ma se l'ha ripudiata, sia scomunicato; e se persiste, sia deposto» (Canone 5) .

«Se un vescovo, un presbitero o un diacono, o qualcuno della lista sacerdotale, si astiene dal matrimonio, dalla carne o dal vino, non per restrizione religiosa, ma come se li aborrisse, dimenticando che Dio ha creato tutte le cose molto buone e che ha creato l'uomo maschio e femmina, e bestemmiando l'opera della creazione, sia corretto, oppure sia deposto ed espulso dalla Chiesa» (Canone 51) .

Quindi gli apostoli non erano contrari al matrimonio in generale, o ai vescovi sposati in particolare. Non c'è dubbio che alcuni degli apostoli avessero anche una famiglia. Ad esempio, i Vangeli sinottici menzionano la guarigione della suocera di Pietro (vedere Mt 8:14-15, Mc 1:29-31, Lc 4:38-39).

Allo stesso tempo, Cristo (cfr. Mt 19,11-12) e gli apostoli (cfr. 1 Cor 7) parlarono anche in lode del celibato. Sebbene non abbiano mai anteposto il celibato al matrimonio, vedevano il celibato come lo stile di vita preferito per un ecclesiastico. Come affermano gli Statuti degli Apostoli, sarebbe meglio per un vescovo non sposarsi. Più avanti nella storia, come vedremo, il celibato episcopale divenne gradualmente la norma.

Il secondo periodo: dal IV al VI secolo

Il quarto secolo fu un periodo notevole nella storia della Chiesa. La tolleranza religiosa prese il sopravvento e la persecuzione dei cristiani finì nell'Impero romano. Il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero, dando alla Chiesa una libertà senza precedenti per la sua crescita.

Nel quarto secolo, la vita religiosa e spirituale fiorì, dando origine al monachesimo, che divenne un modo per molti di impegnarsi per gli ideali evangelici dell'ascetismo. Il monachesimo iniziò a influenzare tutti gli aspetti della vita della chiesa al punto che i laici adottarono costumi e regole monastiche. In epoca bizantina, divenne pratica comune per i coniugi separarsi di comune accordo quando raggiungevano la vecchiaia e i loro figli crescevano, e alla separazione, entrambi andavano a vivere in monasteri.

Il matrimonio era ancora consentito ai vescovi. Ma, comprensibilmente, il loro numero stava diminuendo. I vescovi non sposati venivano sempre più preferiti. Eppure, anche tra i vescovi sposati, c'erano grandi santi, ad esempio San Gregorio di Nazianzo il Vecchio e San Gregorio di Nissa.

La regola del celibato per i vescovi fu sollevata anche al Primo Concilio ecumenico nel 325. Per un certo periodo, prevalse la posizione di un severo asceta e celibe, il vescovo Pafnuzio. Egli disse: "Non porre un peso eccessivo sugli ordinati: il matrimonio è onorevole e il letto è puro. Temiamo che troppa austerità possa causare danni alla Chiesa, poiché non tutti possono compiere l'impresa del celibato".

Tuttavia, nella vita di tutti i giorni sorsero delle controversie. Come detto in precedenza, i vescovi celibi erano preferiti e quindi venivano trattati con più rispetto. Il vescovo Antonino di Efeso divorziò dalla moglie prima della sua ordinazione, ma alla fine iniziò a vivere con lei dopo l'evento e ebbe persino altri figli. Quando questo fatto divenne noto al patriarca, Giovanni Crisostomo, Antonino fu deposto. Con ogni probabilità, Antonio non fu un esempio isolato.

L'ascesa del monachesimo rafforzò la tendenza a ordinare vescovi celibi.

Terzo periodo: dal VI secolo in poi

Nella Novella di Giustiniano del 528 si legge: “L'ordinazione dei vescovi deve essere fatta nella stretta osservanza della regola secondo cui un candidato altrimenti degno non dovrà essere sposato e senza figli, e dovrà essere attaccato alla Chiesa come altri lo sarebbero alle loro mogli, vivere nel celibato e trattare il popolo della Chiesa come suoi figli”.

La tendenza di cui sopra divenne più pronunciata nel VII secolo, come si riflette nella dodicesima regola del sesto Concilio ecumenico:

«Se un vescovo, un presbitero, un diacono o qualcuno della lista sacerdotale si astiene dal matrimonio, dalla carne o dal vino, non per restrizione religiosa, ma perché li aborrisce, dimenticando che Dio ha creato tutte le cose molto buone e che ha creato l'uomo maschio e femmina, e bestemmiando l'opera della creazione, sia corretto, oppure sia deposto e cacciato fuori dalla Chiesa».

Tuttavia, la tonsura monastica non divenne mai un requisito formale per l'episcopato. Un vescovo era libero di non prendere i voti monastici e, se non lo faceva, veniva tonsurato a rasoforo.  In rari casi, i vescovi possono avanzare dallo schema minore a quello maggiore. Tuttavia, ciò avviene tipicamente verso la fine del loro ministero episcopale, lo schema maggiore significa ritiro dalla gestione della diocesi e concentrazione sulla preghiera solitaria.


Conclusione

Tecnicamente, il matrimonio non è proibito ai vescovi. I vescovi sposati possono comunque essere ordinati quando necessario. Nonostante gli occasionali incidenti con i vescovi monastici, sono più eccezioni che la regola. Tuttavia, il vescovo-monaco promesso sposo alla Chiesa è ancora l'immagine ideale di un pastore della Chiesa.

Certo, il celibato non è una scelta di vita adatta a tutti (vedi Matteo 19:11-12), ma l'episcopato è la carica più alta della Chiesa. Quindi è ragionevole aspettarsi che coloro che sono disposti ad assumerlo ne ignorino i disagi. L'esperimento dell'episcopato uxorato fu portato avanti dai Rinnovazionisti russi del 1900, una struttura parallela alla Chiesa Russa durante i primi anni del regime Sovietico, fedele al regime comunista. Quando il Patriarcato di Mosca si arrese ai sovietici, i rinnovazionisti furono estinti dal Politburo. 

Al giorno d'oggi, i vescovi sposati esistono solo in strutture parallele di nessuna importanza, nel sottobosco dell'Ortodossia deviata, oppure nelle congregazioni eterodosse come luterani, vetero-cattolici e simili.  L'ultimo luogo in cui si discusse della reintroduzione degli episcopi sposati fu il concilio di Mosca del 1917, ma la questione venne bocciata come "ininfluente". 

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