Se Dio è un Padre amorevole, come mai ci chiamiamo "servi di Dio" e non "figli"? Perché la Tradizione della Chiesa, l'innografia e la liturgia ci definiscono "servi"?
Nel linguaggio biblico, patristico, liturgico ed ecclesiale, ogni cristiano è servo di Dio, sia durante la vita che dopo la morte. Sappiamo, però, che questa parola, profondamente positiva nella spiritualità cristiana, sta diventando sempre più scomoda nel modo di pensare dell'uomo moderno, abituato a termini più familiari, come “libero”, “libertà”, “libero arbitrio”. , "libero pensatore" ecc. Ecco perché vorrei soffermarmi un po' su questo, con l'idea di chiarirlo nella coscienza vostra, di tutti, e di liberarvi da possibili complessi. È vero che, strettamente etimologicamente, la parola servo equivale a schiavo, che significa persona privata della libertà, prigioniera o dipendente da un padrone per il quale lavora forzatamente. Ci sono anche situazioni in cui qualcuno viene definito schiavo o servo di un vizio, come, oggi, la totale dipendenza dalla droga. Ma non è meno vero che il servo può essere anche un uomo del dovere, qualcuno che subordina pienamente la propria volontà e le proprie azioni a una passione nobile e onorevole, come la ricerca scientifica, la musica, la letteratura, le arti, l'alpinismo o la speleologia.
Nelle culture e civiltà antiche, invece, il servo era un titolo nobiliare indossato da alcuni dignitari della corte imperiale, devoti volontariamente e senza riserve al proprio sovrano. Questo è il significato con cui lo incontriamo nei libri dell'Antico Testamento. Tutti i grandi patriarchi d'Israele furono chiamati o si definirono servi di Dio: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè. Nei libri del Nuovo Testamento, la Santa Vergine Maria si autodefinisce serva di Dio, così come si autodefiniscono servi di Dio i santi apostoli Paolo, Giacomo e Giovanni evangelista, per fare solo alcuni esempi. E poi, miei cari, come potremmo noi, i servi di Dio di oggi, essere imbarazzati dal fatto di far parte di una compagnia così gloriosa?
Servo di Dio è colui che riconosce Dio come Maestro, Creatore dell'uomo e amante delle persone. Gli obbedisce, ma non “alla cieca” (cioè fluttuando nell'obbedienza come in una nebbia), ma con lucidità. Ora, lucidità significa discernimento, e discernimento significa libertà. In quanto servo di Dio, l'uomo non è sotto Dio, ma dentro Dio, cioè nella sua libertà. Essere servo di Dio significa diventare cittadino del Regno dei Cieli. Ecco come stanno le cose, come puoi considerarti prigioniero in un campo senza muri, senza guardie, senza recinzioni e senza confini?
Certo, bisogna riconoscere che l'uomo, a causa dell'errore di Adamo (che ha frainteso e abusato della sua libertà) è diventato servo del peccato. Ma era proprio questo lo scopo dell'incarnazione e del sacrificio di Cristo: liberarci dalla costrittiva schiavitù del peccato e restituirci alla gioiosa servitù di Dio. Il Santo Apostolo Paolo osserva che lo schiavo (cosiddetto) che è stato chiamato da Cristo diventa un uomo libero, nonostante socialmente continui a rimanere servo, e l'uomo libero (cosiddetto) chiamato da Cristo continua a la sua libertà proprio per il fatto di essersi fatto servo di Cristo. E il santo apostolo Pietro mette in guardia contro la libertà adamica, incompresa e male utilizzata, come avviene, purtroppo, anche ai nostri giorni, quando la libertà dell'uomo viene invocata a giustificazione della propria depravazione. Ecco cosa ci dice il saggio Apostolo: Vivete da persone libere, ma non come se avessi la libertà come copertura del male, bensì da servi di Dio.
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