Proponiamo la traduzione di un breve saggio dello storico della Chiesa Vladimir Moss che ha per tema il sergianismo, ovvero la collusione della Chiesa col potere politico ateo, così chiamata dal fondatore della suddetta problematica, il patriarca Sergio di Mosca.
Il 16/29 luglio 1927, l’aggiunto del locum tenens del trono patriarcale della Russia, il Metropolita Sergio (Stragorodskij), emise la sua infame “Dichiarazione”, con la quale pose in modo più o meno incondizionato la Chiesa russa in sottomissione ai nemici di Dio, agli atei, dichiarando che le gioie dello Stato sovietico sono le gioie della Chiesa e le tristezze dello Stato – i dolori della Chiesa. Questo atto fu valutato da diverse prospettive dai confessori della fede. Alcuni lo definirono come apostasia in tempo di persecuzione (il metropolita Antonio (Khrapovickij); il santo martire arcivescovo Vittore di Glazov); altri – come una violazione canonica o un'usurpazione dei diritti del primo ierarca canonico (il metropolita santo martire Cirillo di Kazan'); altri ancora – come uno scisma (il vescovo santo martire Alessio di Voronež); altri infine – come eresia ecclesiologica (gli arcivescovi santi martiri Demetrio di Gdov e Nicola di Suzdal).
Tutte queste definizioni sono corrette e conducono infine a un giudizio comune riguardo allo status di quell’organismo extra-ecclesiastico oggi noto come “Patriarcato di Mosca”. Tuttavia, poiché vi sono alcuni che rifiutano di accettare che il Patriarcato di Mosca sia fuori dalla Chiesa se non si può dimostrare che esso abbia commesso precisamente un’eresia, può essere utile considerare la questione della natura eretica del patriarcato da due punti di vista: (A) lo sviluppo storico del sergianismo e (B) la definizione di eresia e il modo in cui tale definizione si applica ai sergianisti del Patriarcato di Mosca.
A. Sviluppo storico del sergianismo.
Il sergianismo è simile alla sua eresia sorella, l’ecumenismo, in quanto ha subito una certa evoluzione nel tempo. Esaminiamo brevemente diverse fasi attraversate dal 1927:
1. Dalla “Dichiarazione” all’“intronizzazione” di Sergio come “Patriarca” (1927-43).
Questa prima fase nello sviluppo del sergianismo è caratterizzata dal suo carattere meno che completo in quanto scisma. Per i primi dieci anni, sia i Veri Ortodossi sia i sergianisti riconobbero la guida del Metropolita Pietro, locum tenens patriarcale, e rimasero formalmente in comunione con lui. Il tradimento contenuto nella “Dichiarazione” del 1927 era chiaro a tutti coloro che avevano occhi per vedere; ma ufficialmente il Metropolita Sergio rimaneva l’aggiunto del capo della Chiesa russa e non era stato rimosso dal Metropolita Pietro, né poteva esserlo finché il Metropolita Pietro rimaneva inaccessibile ed esiliato oltre il Circolo Polare.
Avevano gli ierarchi sergianisti qualche scusa nel periodo 1927-37? In una lettera del 1934, il metropolita Cirillo scrisse che i sergianisti potevano avere una scusa solo se fossero stati davvero ignari, senza colpa, della realtà del sergianismo. Egli scrisse che, sebbene i sacerdoti sergianisti amministrassero sacramenti validi, i cristiani che vi partecipavano sapendo dell’usurpazione del potere da parte di Sergio e dell’illegalità del suo Sinodo li avrebbero ricevuti per la loro condanna.
Ora, la vera ignoranza è accettata come scusa nel Vangelo (Luca 23,24; Giovanni 9,41; I Timoteo 1,13). Tuttavia deve essere reale, non ignoranza volontaria, non mancanza d’amore per la verità o tentativo deliberato di nascondere la verità a se stessi. Anche la vera ignoranza non è completamente priva di colpa o punizione (Luca 12,48); perché se la sapienza è concessa generosamente a tutti coloro che la chiedono (Giacomo 1,5), allora la mancanza di sapienza denota un’imperfezione del cristiano, anche solo una mancanza di fervore o di fede nella preghiera.
È evidente che un’anziana donna delle province che sa poco degli affari ecclesiastici si trova in una posizione del tutto diversa da un ierarca della capitale che è in grado di sapere tutto ciò che è rilevante. Ed è abbastanza plausibile che il Signore ritardi il Suo giudizio sui pastori erranti, così da dare alle pecore il tempo di discernere e agire. In questa prospettiva, i dieci anni dalla “Dichiarazione” del Metropolita Sergio nel 1927 alla morte del Metropolita Pietro nel 1937 – dieci anni in cui gli ierarchi sergianisti potevano ancora pretendere una certa, sebbene fragile, relazione con il capo canonico della Chiesa russa – possono essere visti come il tempo concesso dal Signore al gregge sergianista per discernere il cambiamento di spirito dei loro presunti pastori e i terribili frutti della “sapienza” di Sergio. Questo è lo “spazio” di cui parla il Signore nell’Apocalisse: “Le ho dato tempo per ravvedersi della sua fornicazione, ma essa non vuole ravvedersi” (3,21). Ma alla fine di quello spazio c’è una sola via di salvezza: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non partecipiate dei suoi peccati e non riceviate delle sue piaghe...” (Apocalisse 18,4). I capi ciechi sono chiaramente più responsabili dei loro seguaci ciechi; ma entrambi, secondo la parola del Signore, finiscono per cadere nella fossa (Matteo 15,14).
In questo senso, la seguente lettera recentemente pubblicata del metropolita Cirillo del marzo 1937 è particolarmente rilevante: “Per quanto riguarda le vostre perplessità sul sergianismo, posso dire che esattamente le stesse domande, quasi nella stessa forma, mi furono poste da Kazan dieci anni fa, e allora risposi affermativamente, poiché consideravo tutto ciò che aveva fatto il Metropolita Sergio come un errore di cui egli stesso era consapevole e che desiderava correggere. Inoltre, nel nostro gregge abituale c’erano molte persone che non avevano indagato su ciò che era accaduto, e non si poteva esigere da loro una condanna risoluta e attiva degli eventi. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti. Le aspettative che il Metropolita Sergio si correggesse di sua iniziativa non si sono realizzate, ma vi è stato abbastanza tempo per gli ex membri ignoranti della Chiesa, abbastanza stimolo e un’adeguata opportunità per indagare su ciò che era accaduto; e moltissimi hanno indagato e compreso che il Metropolita Sergio si allontana da quella Chiesa Ortodossa che il Santo Patriarca Tikhon ci ha affidato di custodire e, di conseguenza, non può esserci alcuna parte o comunione con lui per gli ortodossi. Gli eventi recenti hanno messo in evidenza finalmente la natura rénovazionista del sergianismo. Non possiamo sapere se quei credenti che rimangono nel sergianismo saranno salvati, perché l’opera della salvezza eterna è opera della misericordia e della grazia di Dio. Ma per coloro che vedono e sentono l’ingiustizia del sergianismo (queste sono le vostre domande) sarebbe un’astuzia imperdonabile chiudere gli occhi a questa ingiustizia e cercare là la soddisfazione dei bisogni spirituali quando la coscienza dubita della possibilità di tale soddisfazione. Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato”.
Questo è un documento importante, perché mostra che fino al 1937 il metropolita Cirillo considerava trascorso abbastanza tempo affinché il credente comune giungesse a una conclusione corretta riguardo alla vera natura “rénovazionista” – cioè eretica – del sergianismo. Quindi dal 1937, secondo il metropolita Cirillo, “la scusa dell’ignoranza” non era più valida.
Dal 1937, dunque, il Patriarcato sergianista di Mosca entrò in una sorta di limbo. Il suo ultimo legame con la Vera Chiesa fu spezzato con il martirio del Metropolita Pietro nell’ottobre di quell’anno. Tuttavia gli ultimi capi conosciuti della Chiesa, insieme al Metropolita Pietro, i Metropoliti Cirillo e Giuseppe, morirono poco dopo di lui, in novembre, cosicché la Chiesa russa non aveva più una guida riconosciuta che potesse pronunciare un giudizio con autorità sui sergianisti...
Un altro fattore importante nell’analizzare lo status dei sergianisti in questo periodo è il grado di accettazione del regime sovietico. La domanda è: rimasero con Sergio per amore, come credevano sinceramente ma erroneamente, dell’unità della Chiesa, e non “per paura degli ebrei” o per qualche altro motivo indegno? Oppure rimasero con Sergio perché erano sinceramente d’accordo con la sua politica ecclesiastica generale e, in particolare, con la sua politica di sottomissione ai sovietici?
Si crea talvolta confusione nel fatto che sia i sergianisti sia alcuni ierarchi delle Catacombe pretendevano di essere leali al potere sovietico. Così la questione sembra talvolta ridursi a nulla di più importante che alla gestione ecclesiastica e ai privilegi relativi dei diversi vescovi. Ma non è così.
Dal 1923, naturalmente, quasi tutti gli ierarchi, di tutte le tendenze (con rare eccezioni, come i santi martiri vescovi Basilio di Priluki e Amfilochio di Krasnojarsk), avevano seguito il patriarca nell'abbandono dell’atteggiamento di condanna totale del potere sovietico caratteristico del Concilio del 1917-18. Tutti professavano una certa “lealtà civile” verso il regime. Tuttavia, la “lealtà” significava qualcosa di diverso per i sergianisti e per i veri ortodossi. Per i sergianisti era un concetto positivo, l’accettazione del fatto che il regime sovietico non era semplicemente permesso da Dio, ma stabilito da Lui. Per i veri ortodossi, invece, la “lealtà” non aveva questa connotazione positiva; significava poco più che un accordo a non benedire la rivolta armata contro i sovietici. Così, mentre i sergianisti erano abbastanza felici di commemorare le autorità alla Divina Liturgia, ciò era anatema per i veri ierarchi ortodossi. Di nuovo, i sergianisti identificavano le loro gioie e tristezze con quelle della “patria” sovietica, mentre gli ierarchi delle Catacombe no. In breve, i sergianisti si impegnavano a lavorare attivamente per il potere sovietico, mentre gli ierarchi delle Catacombe si rifiutavano solo di lavorare attivamente – cioè apertamente e politicamente – contro di esso. Perché, come disse il santo arcivescovo Varlaam di Perm: sebbene la Chiesa non possa condurre una guerra fisica contro il comunismo, deve condurre una guerra spirituale contro di esso.
E in cosa consisteva questa guerra spirituale? Da una parte, nel rafforzare il vero Cristianesimo tra il popolo e, dall’altra, nel pregare per il rovesciamento del potere sovietico, come San Basilio il Grande pregò per il rovesciamento di Giuliano l’Apostata. Come scrisse il santo vescovo Marco (Novoselov): “Sono un nemico del potere sovietico – e ancora di più, per le mie convinzioni religiose, nella misura in cui il potere sovietico è un potere ateo e persino antiteista. Da cristiano non posso rafforzare questo potere con alcun mezzo. [Esiste] una preghiera che la Chiesa ha comandato di essere usata quotidianamente in determinate condizioni ben note. Lo scopo di questa formula è chiedere a Dio il rovesciamento del potere infedele. Ma questa formula non equivale a un appello ai fedeli a prendere misure attive, ma li chiama solo a pregare per il rovesciamento del potere che è caduto lontano da Dio”.
2. Dall’“intronizzazione” del “patriarca” Sergio all’ingresso del Patriarcato di Mosca nel Consiglio Mondiale delle Chiese (1943-1961).
La grande maggioranza, non solo dei veri ortodossi, ma anche degli ierarchi sergianisti, perì nei campi o nelle prigioni prima della Seconda guerra mondiale. Di fatto, fino al 1939 solo quattro vescovi ortodossi – per “ortodossi” qui intendiamo “veri ortodossi o sergianisti” – rimasero in libertà in tutta l’Unione Sovietica. Così, quando venne il momento della “rifondazione” del patriarcato su una base completamente stalinista e Sergio fu fatto “patriarca” (o “compatriarca”, “patriarca comunista”, come lo chiamavano i tedeschi) su invito di Stalin, lui (o, più precisamente, l’NKVD) non aveva altro a cui rivolgersi se non a ierarchi della qualità più dubbia per riempire i ranghi del patriarcato decimato.
E quindi nuovi vescovi dovettero essere consacrati quasi interamente dai “rénovazionisti pentiti”, i quali, essendo stati presentati per la consacrazione dalle autorità atee, furono ricevuti con un minimo di formalità, senza tener conto delle regole del Concilio del 1925 riguardanti la ricezione dei rénovazionisti. Che il Patriarcato di Mosca abbia ricevuto i rénovazionisti nella Chiesa senza nemmeno la penitenza stabilita dal Patriarca Tikhon è testimoniato perfino da fonti patriarcali. Ciò significava che, anche se il “patriarca” Sergio e il suo successore, il “patriarca” Alessio, fossero stati vescovi canonici, i vescovi che essi consacrarono sarebbero stati di canonicità dubbia.
Come scrisse il vescovo delle catacombe “A.”: “È trascorso pochissimo tempo tra settembre 1943 e gennaio 1945. Perciò è difficile capire da dove siano venuti 41 vescovi invece di 19. In questo senso, la nostra curiosità è soddisfatta dal Giornale del Patriarcato di Mosca per il 1944. Vediamo che i 19 vescovi che esistevano nel 1943 generarono rapidamente i restanti, che divennero membri del concilio del 1945.
“Dal Giornale del Patriarcato di Mosca apprendiamo che queste consacrazioni affrettate furono effettuate, nella grande maggioranza dei casi, su protopreti rénovazionisti.
“Da settembre 1943 a gennaio 1945, con un colpo di bacchetta magica, tutti i rénovazionisti si pentirono improvvisamente davanti al metropolita Sergio. La penitenza fu semplificata, senza imporre alcuna condizione a coloro che avevano fatto così tanto male alla Santa Chiesa. E in brevissimo tempo i ‘rénovazionisti pentiti’ ricevettero un'alta dignità, posti e ranghi, nonostante i canoni ecclesiastici e il decreto sulla ricezione dei rénovazionisti imposto [dal Patriarca Tikhon] nel 1925. Come informa il Giornale del Patriarcato di Mosca, le nuove consacrazioni ‘episcopali’ prima del ‘concilio’ del 1945 si tenevano così: il protoprete che era stato raccomandato (senza dubbio dalle autorità civili) e che era quasi sempre uno dei rénovazionisti o dei gregoriani ‘riuniti’, veniva immediatamente tonsurato monaco con cambio di nome e poi, due o tre giorni dopo, diventava ‘ierarca della Chiesa russa’”.
Tutto ciò non disturbò, naturalmente, Sergio e Alessio, che erano essi stessi “rénovazionisti pentiti”. Ma questo significava che la nuova generazione postbellica di vescovi patriarcali era ben diversa da quella prebellica, in quanto aveva già dimostrato il suo spirito eretico, rénovazionista, e ora era tornata al patriarcato neo-rénovazionista come un cane al suo vomito (II Pietro 2,22). Questi pseudo-ierarchi ora formavano il nucleo eretico del patriarcato, che controllava tutti i gradi inferiori mentre essi stessi erano completamente controllati dai comunisti.
Così, se prima della guerra era possibile indicare un certo numero di vescovi sergianisti che probabilmente non avevano fatto molto più che appartenere passivamente al sinodo di Sergio per promuovere la causa sovietica, la generazione del dopoguerra era quasi interamente composta da lacchè sovietici selezionati a mano. Una delle possibili eccezioni, il vescovo Manuel (Lemeševskij), che era stato uno dei campioni della Chiesa di Tikhon nella lotta contro il rénovazionismo, è tuttavia noto per aver tradito fino alla morte il santo martire Sergio Mečev. Un’altra possibile eccezione, il Metropolita Sergio (Voskresenskij), esarca patriarcale nei territori baltici occupati, era stato in precedenza discepolo dell’arcivescovo santo martire Teodoro di Volokolamsk, ma ora si è scoperto, tramite ricerche storiche, che era agente dell’NKGB almeno dal 1941.
Il carattere rénovazionista del patriarcato del dopoguerra è dimostrato dai suoi frutti malvagi. Il primo fu la decisione di entrare in piena comunione ufficiale, durante il concilio di Mosca del 1945, con i rénovazionisti del nuovo calendario greci e rumeni.
Ora, dobbiamo riconoscere che, formalmente parlando, i neo-rénovazionisti russi non accettarono la maggior parte delle innovazioni compiute dai rénovazionisti non russi negli anni ’20 – il nuovo calendario, il secondo matrimonio per i sacerdoti, ecc. Il Patriarcato di Mosca condannò persino l’eresia dell’ecumenismo, nella quale i greci del nuovo calendario erano già profondamente coinvolti, durante il concilio di Mosca del 1948 – sebbene per motivi puramente politici. Ma il fatto che si trattasse semplicemente di un conservatorismo tattico fu dimostrato dall’ingresso del patriarcato nel Consiglio Mondiale delle Chiese solo pochi anni dopo, nel 1961 – di nuovo per motivi politici.
Un secondo frutto cattivo fu la campagna di violenza e intimidazione, combinata con tentazioni, ora diretta contro la Chiesa russa all’estero in diverse parti del mondo – in Cina, a Gerusalemme, in Europa occidentale e in America.
Un terzo frutto, ancora più grave, fu il culto ecclesiastico di Stalin, probabilmente il più grande persecutore della Chiesa in tutta la sua storia, che fu ritratto come il “nuovo Costantino”, “il saggio, stabilito da Dio”, il “Leader supremo donato da Dio”. Così, in occasione del suo compleanno nel 1949, tutti i vescovi del patriarcato gli si rivolsero con parole così bugiarde e idolatriche che, secondo un gruppo di chierici e laici patriarcali, “Senza la minima esitazione, possiamo definire questo indirizzo il documento più vergognoso mai composto in nome della Chiesa in tutta la storia del cristianesimo, e ancor più nella millenaria storia del cristianesimo in Russia”.
Anche quando Stalin morì nel marzo 1953, il patriarcato non riuscì a frenare la propria devozione. Così il “patriarca” Alessio lo definì “il grande costruttore della felicità del popolo. La sua morte è stata accolta con profondo dolore da tutta la Chiesa ortodossa russa, che non dimenticherà mai il suo atteggiamento benevolo verso i bisogni della Chiesa. La sua memoria luminosa non sarà mai cancellata dai nostri cuori. La nostra Chiesa gli rende ‘memoria eterna’ con un sentimento speciale di amore incessante”.
Ricordiamo le parole dell’apostolo Giacomo: “Genti infedeli e adultere, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (4,4).
È assai improbabile che qualche figura di spicco del patriarcato abbia potuto evitare di gettare almeno qualche granello d’incenso spirituale sull’altare di Stalin. Forse alcuni preti e i loro greggi nelle regioni più remote sfuggirono. Ma la possibilità di testimoniare pubblicamente la verità, come il Signore “che davanti a Ponzio Pilato rese una buona testimonianza” (I Timoteo 6,13), era molto diminuita in un’epoca in cui tutti, fin da giovani, erano costretti a confessare l’abominio dell’ideologia sovietica.
3.
Il significato dell’ingresso del Patriarcato di Mosca nel CMC consiste nella sua dimostrazione che, anche se il sergianismo in sé non deve essere definito come un’eresia, esso ha aperto la via all’eresia, e persino all’“eresia delle eresie”, l’ecumenismo. Poiché, come scrive padre Andrej Kuraev: “Il sergianismo e l’ecumenismo si intrecciarono. Proprio su istruzioni delle autorità, la nostra gerarchia svolse la sua attività ecumenica e proprio durante la loro attività all’estero fu verificata la lealtà del clero arruolato nel KGB.”
In altre parole, il sergianismo del patriarcato lo obbligò ad accettare l’ecumenismo. Perché gli apostati non hanno volontà propria. Dopo aver consegnato la loro volontà nelle mani dell’Anticristo, essi diranno e faranno tutto ciò che viene loro richiesto, anche la più abominevole blasfemia.
Così, anche se si suppone che il sergianismo non sia un’eresia, ma un’apostasia, dobbiamo comunque accettare che esso distrugge i dogmi della Chiesa con la stessa certezza di qualsiasi eresia. Nella definizione ispirata dell’arcivescovo Vitalij (Maximenko) di Jordanville, è apostasia dogmatizzata: “Il patriarcato ha distrutto il dogma essenziale della Chiesa di Cristo e ha respinto la sua missione essenziale – servire la rigenerazione degli uomini – e l’ha sostituita, servendo gli scopi senza Dio del comunismo, che sono innaturali per la Chiesa. Questa caduta è più amara di tutti gli arianesimi, nestorianismi, iconoclasmi, ecc. È il peccato radice del Patriarcato di Mosca, confermato, proclamato e legato con giuramento davanti al mondo. È, per così dire, apostasia dogmatizzata.” I trent’anni che seguirono all’ingresso del patriarcato nel CMC dimostrarono la verità di queste parole oltre ogni ombra di dubbio. Infatti, nelle persone dei vari eretici con cui il patriarcato entrò in comunione di preghiera attraverso il movimento ecumenico, esso abbracciò “tutti gli arianesimi, nestorianismi, iconoclasmi, ecc. precedenti.” E dall'inizio degli anni ’90 abbracciò ufficialmente anche il monofisismo, mediante il suo accordo eretico con i monofisiti di Chambésy.
Una delle prime eresie che il patriarcato abbracciò fu il papismo, quando accettò un vescovo cattolico segreto, il Metropolita Nicodemo di Leningrado, come ierarca di secondo rango, e poi, in gran parte attraverso gli sforzi di Nicodemo, entrò in comunione coi papisti nel 1969 (Nicodemo stesso morì tra le braccia del Papa, ricevendo da lui gli ultimi riti, nel 1978).
Il Sinodo della Chiesa russa all’estero condannò questo atto come “eretico”, e l’arcivescovo Averky di Jordanville commentò: “Ora, anche se alcuni avevano ancora qualche dubbio su come dovremmo guardare al Patriarcato di Mosca contemporaneo e se possiamo considerarlo ortodosso, dopo la sua intima unione con i nemici di Dio, i persecutori della Fede e della Chiesa di Cristo, tali dubbi devono essere completamente rimossi: dal fatto stesso che è entrato in comunione liturgica con i Papisti, esso si è separato dall’Ortodossia [sottolineatura nell’originale] e non può più essere considerato ortodosso.”
Di fatto, il sergianismo ha una somiglianza impressionante con il papismo e può essere considerato una sua variante orientale.
Così, l’ieromonaco Nectario (Jašunskij) scrive: “La comprensione della Chiesa (e quindi della salvezza) del Metropolita Sergio era eretica. Egli sinceramente, ci sembra, credeva che la Chiesa fosse in primo luogo un’organizzazione, un apparato che non poteva funzionare senza unità amministrativa. Da qui lo sforzo di preservare l’unità amministrativa a ogni costo, anche a prezzo di danneggiare la verità che essa contiene. E ciò si vede non solo nella politica ecclesiastica che condusse, ma anche nella teologia [che egli sviluppò] corrispondente ad essa. In questo contesto, due delle sue opere sono particolarmente indicative: ‘Esiste un vicario di Cristo nella Chiesa?’ (Eredità spirituale del Patriarca Sergio, Mosca, 1948) e ‘La relazione della Chiesa con le comunità che si sono separate da essa’ (Giornale del Patriarcato di Mosca). Nella prima, sebbene il Metropolita Sergio dia una risposta negativa alla domanda (soprattutto riguardo al Papa), questa risposta negativa non è tanto una questione di principio quanto di empirismo. Il Papa non è il capo della Chiesa universale solo perché è eretico. Ma in linea di principio il Metropolita Sergio considera possibile e persino desiderabile che l’intera Chiesa universale sia guidata da una sola persona. Inoltre, nei tempi difficili della vita della Chiesa, questa persona può assumere tali privilegi anche se non possiede i corrispondenti diritti canonici. E sebbene il Metropolita dichiari che questo capo universale non è il vicario di Cristo, questa dichiarazione non sembra sincera né nel contesto delle altre sue opinioni teologiche, né delle sue azioni conformi a questa teologia.”
Nel secondo articolo citato, il Metropolita Sergio spiegò le differenze nella ricezione degli eretici e degli scismatici non sulla base della loro confessione oggettiva di fede, ma sul rapporto soggettivo (e dunque mutevole) del primo ierarca della Chiesa con essi. Così “riceviamo i latini nella Chiesa mediante penitenza, ma quelli dello scisma Karlovtsy mediante crismazione”. E così, conclude padre Nectario, “per essere salvati non è necessario il vero Ortodossia, ma l’appartenenza a un’amministrazione ecclesiastica legale!”
Questa trasformazione eretica del patriarcato in una papato in stile occidentale è stata descritta da padre Vjačeslav Polosin così: “Se il Metropolita Sergio fu guidato non dall’avidità personale, ma da una comprensione errata di ciò che era utile alla Chiesa, allora era evidente che il fondamento teologico di tale comprensione era errato e costituiva persino un’eresia riguardante la Chiesa stessa e la sua attività nel mondo. Possiamo presumere che queste idee fossero molto vicine all’idea del Filioque: poiché lo Spirito procede non solo dal Padre, ma anche dal Figlio, ciò significa che il vicario del Figlio può disporre dello Spirito, affinché lo Spirito agisca attraverso di lui ex opere operato. Ne consegue necessariamente che colui che compie i sacramenti della Chiesa, il ‘ministro del sacramento’, deve essere automaticamente ‘infallibile’, poiché l’infallibile Spirito di Dio opera attraverso di lui ed è inseparabile da lui. Tuttavia, questo schema latino della Chiesa è significativamente inferiore allo schema e alla struttura creati dal Metropolita Sergio. Nel suo schema non vi è un Concilio, o esso è sostituito da un’assemblea ufficiale per confermare decisioni già prese – sul modello dei congressi del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
“Il posto del Concilio nella sua struttura della Chiesa è preso da qualcosa che manca nello schema dei latini – il potere sovietico, la lealtà verso il quale diventa qualcosa simile a un dogma. Questo schema divenne possibile perché fu preparato dalla storia della Russia. Ma se lo zar ortodosso e il procuratore ortodosso costituivano in una certa misura un ‘piccolo Sinodo’, che nella sua direzione generale non contraddiceva la mentalità della maggior parte dei credenti, con il cambiamento della visione del mondo di coloro che giunsero al potere sovietico, questo schema assunse un carattere eretico, poiché le decisioni delle autorità ecclesiastiche centrali, che nella mente del popolo erano associate alla volontà dello Spirito di Dio, non venivano più determinate né da un grande Concilio, né da un Concilio ristretto, ma dalla volontà di coloro che desideravano annientare la stessa idea di Dio (lo scopo ufficiale del secondo piano quinquennale “senza Dio” era di far dimenticare al popolo persino la parola ‘Dio’). Alla fonte della Verità, al posto della rivelazione della volontà dello Spirito Santo, fu sostituito un veleno mortale. Il Patriarcato di Mosca, affidandosi alla volontà malvagia e anti-divina dei bolscevichi, al posto della volontà conciliare dello Spirito, si rivelò un’immagine della terribile seduzione dell’empietà…”
Una delle prime eresie che il patriarcato ha abbracciato è stato il papismo, quando ha accettato un vescovo cattolico segreto, il metropolita Nicodemo di Leningrado, come gerarca di secondo rango, e poi, in gran parte attraverso gli sforzi di Nicodemo, è entrato in comunione con i papisti nel 1969 (lo stesso Nicodemo morì tra le braccia del Papa, ricevendo da lui gli ultimi riti, nel 1978).
Il Sinodo della Chiesa Russa all’Estero ha condannato questo atto come “eretico”, e l’Arcivescovo Averky di Jordanville ha commentato: “Ora, anche se alcuni avevano un certo dubbio su come dovremmo considerare il Patriarcato di Mosca contemporaneo e se possiamo ritenerlo ortodosso, dopo la sua intima unione con i nemici di Dio, persecutori della Fede e della Chiesa di Cristo, questi dubbi devono ora essere completamente rimossi: per il fatto stesso che è entrato in comunione liturgica con i Papisti, si è allontanato dall’Ortodossia [sottolineatura nell’originale] e non può più essere considerato ortodosso”.
Nel secondo articolo citato, il metropolita Sergio ha spiegato le differenze nell’accoglienza degli eretici e degli scismatici non sulla base della loro confessione oggettiva di fede, ma sulla relazione soggettiva (e dunque mutevole) del primo ierarca della Chiesa nei loro confronti. Così “accogliamo i latini nella Chiesa tramite la penitenza, ma quelli dello scisma di Karlovtsy tramite la crismazione”. E così per Sergio, conclude padre Nectarie, “per essere salvati non è necessario la verità della Santa Ortodossia ma l’appartenenza a un’amministrazione ecclesiastica legale”!
Questa trasformazione eretica del patriarcato in una specie di papato in stile occidentale è stata descritta da padre Vjačeslav Polosin così: “Se il metropolita Sergio non è stato guidato dall’avidità personale, ma da una comprensione errata di ciò che era a beneficio della Chiesa, allora è evidente che il fondamento teologico di tale comprensione era errato e costituiva addirittura un’eresia riguardo la stessa Chiesa e la sua attività nel mondo. Possiamo supporre che tali idee fossero molto vicine all’idea del Filioque: poiché lo Spirito procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio, ciò significa che il vicario del Figlio… può disporre dello Spirito affinché lo Spirito agisca attraverso di lui ex opere operato... Ne consegue necessariamente che chi compie i sacramenti della Chiesa, il “ministro del sacramento”, deve essere automaticamente “infallibile”, poiché l’infallibile Spirito di Dio è colui che opera attraverso di lui ed è inseparabile da lui. Tuttavia, questo schema latino della Chiesa è significativamente inferiore allo schema e alla struttura creati dal Metropolita Sergio. Nel suo schema non c’è un Concilio, o esso è sostituito da un’assemblea ufficiale per confermare decisioni già prese – sul modello dei congressi del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
“Il posto del Concilio nella sua struttura ecclesiale è preso da qualcosa che manca nello schema latino – il potere sovietico, la cui lealtà diventa qualcosa come un dogma. Questo schema è diventato possibile perché preparato dalla storia della Russia. Ma se lo zar ortodosso e il procuratore ortodosso costituivano in una certa misura un ‘piccolo Sinodo’, che nella sua direzione generale non contraddiceva la mentalità della maggioranza dei credenti, con il cambiamento della visione del mondo di coloro che presero il potere sovietico, questo schema acquisì un carattere eretico, poiché le decisioni dell’autorità ecclesiastica centrale, associate nella mente del popolo alla volontà dello Spirito di Dio, cessarono di essere determinate nemmeno da un grande Concilio, ma dalla volontà di coloro che volevano annichilire la stessa idea di Dio (l’obiettivo ufficiale del secondo piano quinquennale “senza Dio” era far sì che il popolo dimenticasse persino la parola “Dio”); alla sorgente della Verità, al posto della rivelazione della volontà dello Spirito Santo, fu sostituito un veleno mortale. Il Patriarcato di Mosca, affidandosi alla volontà malvagia dei bolscevichi, lottatori contro Dio, al posto della volontà conciliare dello Spirito, si rivelò essere un’immagine della terribile illusione dell’incredulità nell’onnipotenza e nella Divinità di Cristo, il Quale solo può salvare e preservare la Chiesa e che ha fatto la promessa infallibile che “le porte dell’ade non la vinceranno”. Sostituire questa fede con la vana speranza nelle proprie forze umane, che pretendono di salvare la Chiesa mediante l’azione dello Spirito attraverso di esse, non è conforme ai canoni e alla Tradizione della Chiesa, ma ex opere operato procede dalla cima “infallibile” della struttura gerarchica.” la santità della Chiesa, che risplende nel martirio e nella confessione, è stata condannata dalla tua epistola. La sua conciliarità è stata profanata. La sua apostolicità, come legame con il Signore e come mandato nel mondo (Giovanni 17,18), è stata distrutta dalla rottura della successione gerarchica (la destituzione del Metropolita Pietro) e dall’introduzione nel suo seno dello spirito del mondo”.
L’analisi del santo martire Teodoro è stata confermata dal santo arcivescovo Demetrio di Gdov, che il 4/17 gennaio 1928 scrisse ai sacerdoti della sua diocesi che il Metropolita Sergio aveva peccato “non solo contro l’ordine canonico della Chiesa, ma anche dogmaticamente contro la sua stessa essenza (bestemmiando contro la santità dell’opera dei confessori, mettendo in dubbio la purezza delle loro convinzioni cristiane, come se fossero motivate da politica), contro la sua conciliarità [sobornost’] (attraverso gli atti coercitivi suoi e del suo Sinodo), contro la sua apostolicità (sottomettendo la Chiesa alle norme del mondo e con la sua rottura interna – mantenendo tuttavia una falsa unità – con il Metropolita Pietro, che non aveva autorizzato il Metropolita Sergio ai suoi ultimi atti, a partire dall’epistola [la Dichiarazione] del 16/29 luglio 1927). “Perciò, fratelli, state saldi e conservate le tradizioni” (II Tessalonicesi 2,15).”
Infine, vediamo come questa comprensione dogmatica dell’eresia del serghianismo sia stata incorporata nella seguente anatema allegata all’Ordinanza del Trionfo dell’Ortodossia delle parrocchie iosifite di Leningrado:
“A coloro che sostengono l’insensata eresia rinnovazionista del serghianismo;
a coloro che insegnano che l’esistenza terrena della Chiesa di Dio può essere garantita negando la verità di Cristo;
e a coloro che affermano che servire le autorità che combattono contro Dio e adempiere ai loro comandi senza Dio, che calpestano i sacri canoni, le tradizioni patristiche e i dogmi divini e distruggono l’intero cristianesimo, salvi la Chiesa di Cristo;
e a coloro che onorano l’Anticristo e i suoi servi e precursori e tutti i suoi ministri, come un potere legittimo istituito da Dio;
e a tutti coloro che bestemmiano contro i nuovi confessori e martiri — Anatema.”

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