Il brano che segue è tratto dal cap. sesto del Libro V dell'opera << Sul Sacerdozio >> di san Giovanni Crisostomo.
Se egli invece viene ad essere soggiogato dal
desiderio di lodi irragionevoli, nessuno vantaggio ricaverà dalle sue molte
fatiche né dalla sua bravura nel parlare, perché l’anima non potendo poi
sopportare i biasimi inconsiderati del volgo, rallenta nell’ardore e cessa di
applicarsi con cura al magistero della parola; bisogna perciò esercitarsi
soprattutto nel disprezzo delle lodi, ché se non si unisce questo, non basta
il saper ben parlare per serbare in vigore questa facoltà. Ma se alcuno
consideri bene anche la condizione di chi non è riccamente fornito di questa
dote, troverà che anch’egli non ha minor bisogno di sprezzare l’applauso; egli
infatti sarà nella necessità di commettere molti falli, trovandosi al disotto
dell’opinione comune; incapace di rivaleggiare coi predicatori famosi, non si
periterà di tendere loro insidie, nutrire invidia contro di essi, di biasimarli
ingiustamente e di macchiarsi di molte simili colpe, tutto osando quand’anche
avesse da perderci l’anima, pur di riuscire ad abbassare la fama di quelli fino
al livello della propria nullità. Inoltre rifuggirà dai sudori necessari per
l’opera sua, come se l’anima gli fosse gravata da torpore; e invero il molto
travagliarsi per ottenere una scarsa messe di applausi, basta per abbattere e
avvolgere in profondo letargo colui che non sa sprezzare la lode; anche
l’agricoltore quando lavora un terreno poco produttivo e deve coltivare la
ghiaia, presto abbandona la fatica, se non sia sostenuto da grande tenacia nel
continuare la sua impresa, o se non tema il sovrastare della carestia. Se
coloro che pur sanno parlare con molta autorità hanno bisogno di tanta cura per
conservarsi questa loro dote, colui che non ha messo nulla in serbo, ma deve
tuttavia porsi in grado di potersi presentare al pubblico, a quali difficoltà,
turbamenti e angustie non dovrà sottostare, per raccogliere da grande fatica
qualche piccolo frutto? Che se poi uno di quelli che stanno più in basso di lui
e occupano una carica inferiore, riesca ad acquistarsi per questo lato una
maggior rinomanza, allora ci vuol proprio un’anima quasi celeste, per non
cadere in preda all’invidia né lasciarsi abbattere dallo scoramento; perché
l’essere egli superato nel successo per opera d’un suo subalterno, mentre egli
è posto in maggior dignità di grado, e sopportare ciò generosamente, non è
virtù comune, ma propria di un’anima d’acciaio. Quando il più favorito sia
persona affabile e moderata assai, allora il rammarico diventa in qualche modo
sopportabile; ma se è un tipo arrogante, borioso e avido di gloria, sarebbe a
quell’altro più desiderabile la morte ogni giorno, tanto questi gli renderà
amara l’esistenza, censurandolo apertamente, schernendolo di nascosto,
sottraendogli gran parte dell’autorità, bramoso di tutta usurparsela. E in
tutto ciò ha come appoggio sicuro l’audacia nel parlare e il favore della plebe
a suo riguardo e l’essere nelle grazie di tutti i sudditi. E non vedi tu quanta
brama di discorsi si è ora infiltrata nelle anime dei Cristiani e come quelli
che vi danno opera sono in onore non solo presso i pagani, ma anche tra i
fedeli? E chi sopporterebbe questa confusione, che mentre egli predica, tutti
se ne stiano zitti e stimino di essere importunati, sospirando la fine del
discorso come liberazione da un tormento; mentre invece l’altro anche se parla
a lungo, l’ascoltano con entusiasmo, e accennando egli a finire si conturbano,
e se fa di tacere, si adontano? Sono cose che se anche ora ti sembrano piccole
e disprezzabili, per non averle tu ancora provate, bastano però a spegnere l’entusiasmo
e paralizzare le energie dello spirito, se uno levandosi al disopra di ogni
umano affetto non si studi di comportarsi come le potenze incorporee, le quali
non soggiacciono né a invidia né a vanagloria, né ad altra simile infermità. Se
dunque v’ha un uomo di tale tempra che sappia mettere sotto i piedi questa
belva inafferrabile, invincibile e selvaggia che è la pubblica opinione e
troncarne le numerose teste, anzi da non lasciarle né anche da principio
spuntare, quegli potrà agevolmente respingere i frequenti assalti e godere come
di un porto tranquillo; ma finché non ne sarà liberato, egli imporrà all’anima
sua una guerra molteplice, continuo affanno, e il peso dello scoramento e
d’ogni altra angustia. E a che enumerare le rimanenti difficoltà? Nessuno può
né dirle né comprenderle, se non si sia trovato egli stesso in mezzo a queste
brighe.
------------------------------------------------
Fonte: San Giovanni Crisostomo, Sul Sacerdozio, Città Nuova edizioni 1997
Commenti
Posta un commento