L'EREDITARIETÀ
DEL PECCATO ORIGINALE
Non è una
responsabilità personale del peccato personale
di Adamo quella che abbiamo ereditato, ma piuttosto un inquinamento peccaminoso
della Natura Umana. Come possiamo difatti essere responsabili di un qualcosa
che è avvenuto ben prima della nostra stessa esistenza? Come scrive san Simeone
il Nuovo Teologo:
<< La
natura umana si è allontanata dalla sua vera essenza. Dio non creò l'uomo qual
peccatore, ma puro e santo. Ma come Adamo, il primo creato, perse l'ornamento
della santità, non da altro peccato che dall'orgoglio, divenendo mortale e
corruttibile, così tutti coloro che nascono dal seme di Abramo sono partecipi
del peccato ancestrale di Adamo fin dalla nascita. Colui che nasce in questa
via, dunque, anche se non ha ancora commesso peccato, è già peccatore a causa
del peccato originale. [1]>>
La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, litografia del XIX secolo.
Questo è l'insegnamento
della Chiesa Ortodossa, ed è per questo che si battezzano i neonati "per
la remissione dei peccati", non per una loro colpa personale, ma per l'ereditarietà del peccato originale. Esso è un
Mistero, si tratta difatti di un retaggio collettivo spirituale, che spetta ad
ogni uomo che si affaccia sulla Terra. L'idea di colpe (o situazioni
spirituali) collettive, del resto, è diffusa anche fuori dalla Chiesa: basti
pensare a come si sentono colpevoli i tedeschi contemporanei per i crimini dei
loro avi nazisti, sebbene i primi non fossero neppure nati ai tempi del regime,
o alla visione di san Giovanni Maximovic e del vescovo Averkij Taushev, i quali
sostenevano che era "colpa" di tutti i Russi se lo zar Nicola II
aveva perduto il trono. Le colpe di un solo uomo possono essere fatali per il
destino di una nazione o di un gruppo. Il primo a disputare sul peccato,
ancestrale e non, fu il monaco inglese Pelagio (354-420) rigettando
l'ereditarietà dello stesso. Sant'Agostino di Ippona si mise contro di lui,
scrivendo:
<<
Perché il figlio di Salomone fu punito con la perdita del regno? Perché noi
leggiamo nei santi libri "l'iniquità dei padri tornerà nei loro
figli" (Geremia 32:18) e "I figli pagheranno le colpe dei padri fino
alla terza e quarta generazione" (Esodo 20:5)? Forse che la Scrittura dice
il falso?[2]
>>
L'ESPERIENZA PATRISTICA
Nella
Scrittura, altri passaggi lasciano intendere l'eredità della colpa: Non i genitori periranno per i figli, ma
piuttosto i figli per i genitori. (Deuteronomio 2:16) I pelagiani, così
come alcuni modernisti attuali, scrivevano che non il peccato in sé viene
ereditato, ma piuttosto la punizione per l'originale di Adamo. C'è tuttavia una
forte distinzione fra il peccato
personale e la natura inquinata o
"Legge del peccato" (Romani, 7:23). Il primo dei due non può certo
essere imputato agli eredi, mentre può benissimo essere loro consegnata la
conseguenza dello stesso. L'arcivescovo Teofan di Poldava scrisse che san Paolo
spiega il peccato ancestrale con due termini: la trasgressione (παραπτωμα) e il
peccato (αμαρτια). Secondo lui la trasgressione del divieto di mangiare del
frutto proibito avrebbe generato la decadenza della natura, inserendo così il
peccato. In tal modo, non erediteremmo certo la παραπτωμα di Adamo, ma
solamente la αμαρτια della natura umana.
Nella lingua greca delle epistole paoline, difatti, il costrutto medio-passivo
di Romani 5:19, αμαρτωλοι, non significherebbe "commisero peccato",
ma "furono resi peccatori" nel senso di subire il peccato. San
Basilio Magno parla di eredità umana nei
riguardi del peccato originale, difatti: << il peccato di Adamo è in
realtà il peccato degli uomini, ed esiste in noi per necessità[3]
>> e san Gregorio Palamas dice << la nostra disobbedienza a Dio >> e << il nostro peccato ancestrale in Paradiso[4]
>>. Sant'Atanasio il Grande scrisse: << Quando Adamo trasgredì,
esso passò (il peccato) a tutti gli uomini.[5]>>
e san Cirillo, sempre in merito, dice: << [gli uomini presero il peccato
nella natura] non a causa della condivisione del peccato con Adamo, giacché
essi (gli uomini) ancora non esistevano, ma poiché possiedono la medesima
natura di Adamo, la quale è caduta nella legge del peccato[6].>>
La morte,
altra eredità assieme al peccato, è certo non merito di Dio, ma del demonio il
quale l'ha portata nel mondo, ma Dio, che tutto volge al bene, l'ha resa utile
nella sua Provvidenza: attraverso la morte fisica, l'uomo smette di peccare e
pone così un freno alla propria natura distorta. E' quello che dice
sant'Atanasio di Alessandria[7] in
merito all'Amore di Dio che si manifesta anche attraverso la nostra morte, per
i meriti di cui sopra. San Gregorio Palamas scrisse: << prima
dell'avvento di Cristo, tutti gli uomini condividevano un destino di morte.[8]
>> San Giovanni Crisostomo inoltre indicava l'insorgere delle passioni
(lussuria, invidia, odio, etc.) come altra eredità della natura decaduta.
Sant'Isacco il Siro preferiva parlare di "passioni decadute",
intendendo che lo scopo originale della passione, positivo e da Dio voluto, era
stato corrotto dal peccato. Ad esempio, l'odio verso i demoni e verso il
peccato è una "buona passione", mentre l'odio verso il fratello è la
sua versione decaduta.
Dal punto di
vista canonico, il Secondo Concilio di Orange (529) al Canone II così recita:
<<
Coloro che asseriscono che il peccato di Adamo non ha inficiato i suoi
discendenti, ma soltanto lui, e dichiarano che la morte fisica solamente e non
il peccato, il quale è la morte dell'anima, sia passata quale eredità
all'intera razza umana, essi commetteranno ingiustizia contro Dio, giacché dice
l'Apostolo: "per le colpe di un solo uomo l'intera umanità subì il
peccato, e da esso la morte.">>.
Il Concilio di
Cartagine del 252 d.C., presieduto da San Cipriano l'Esorcista, raccomanda il
battesimo dei bambini proprio in funzione catartica dal peccato originale,
mentre il Canone 110 del Concilio di Cartagine del 419 rammenta che il
battesimo dei bambini rimette le colpe degli antenati.
[1]
San Simeone il Nuovo Teologo, Omelia
XXXVII, 3
[3]
San Basilio il Grande, citato da Potrologia
tou M. Vasileiu, Demetrios Tzami, Thessaloniki 1970
[4]
San Gregorio Palamas, Omelia XIV, 5
(in Christopher Veniamin, The Homilies of
Saint Gregory Palamas, South Canaan, PA: St. Tikhon’s Seminary Press, 2002,
volume 1, p. 159.
[5] Sant'Atanasio
di Alessandria, Quattro discorsi contro
gli Ariani, I, 12
[6]
San Cirillo di Alessandria, Commentario
ai Romani, P.G. 74: 788-789
[8]
S. Gregorio Palamas, Homily 5: On the Meeting of our Lord, God and Saviour Jesus Christ,
in Veniamin, op. cit.
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