La traduttrice russa Elena Doubinina ha regalato al pubblico italiano la traduzione del documento "Anafora" del prof. Nikolaj D. Uspenskij, nel quale il teologo russo espone l'Ortodossia del Canone Romano. I miei più sentiti ringraziamenti ad Elena per il suo lavoro più che ottimo.
ANAFORA
(Saggio
di analisi storica e liturgica)
Pр.
117-125.
Passiamo
alla considerazione dell’anafora della Chiesa cattolica romana,
che, dopo il Concilio di Trento nel 1563, è diventata obbligatoria
per tutte le Chiese cattoliche locali. Nella colonna sinistra si
riporta il suo testo in latino preso da "Missale Romanum"
ed. 1902, e sulla destra - in russo (di mia traduzione. - N. U.).
Nell'anafora
della Chiesa cattolica romana la prefazione non è una parte stabile.
Mantenendo il valore generale delle prime dossologie eucaristiche
cristiane, essa offre un gran numero di varianti che hanno valore in
questa o quella festività che viene celebrata in una concreta messa.
L'esistenza di prefazioni speciali per diverse occasioni non era
peculiarità della sola anafora romana antica, ma anche a quelle di
Milano,la Mozarabica2,
la Gallicana 3 (di tali inserti nell’ Epiklesis
è stato detto sopra). Il Sacramentario del Papa Leone Magno contiene
267 prefazi, sebbene incompleto 4. Esse occupano posto di primo
piano nel Sacramentario del Papa Gelasio I 5, quindi la forma antica
della Prefazione, comune alle chiese, serviva da cornice (secondo le
parole di J. Jungmann), dove poter inserire la menzione di un
particolare evento sacro, in relazione al quale si celebrava la
messa6. In sostanza, questi inserti festivi o commemorativi
rappresentano ciò che nella liturgia bizantina rappresenta il canto
dei Tropario e Kontakion nel Piccolo Ingresso. Nell’anafora sotto c’è la prefazione letta durante tutte le
feste e nei giorni che non hanno una propria Prefazione, così come
nei giorni della commemorazione dei defunti 7.
1 Daniel,
Codex Liturgicus, t. I, Lipsiae,
1847, р. 78.
2 Ibidem,
р. 79.
3 Ibidem.
4
J.
Jungmann, Cit. op., р. 301.
5 Ibidem,
р. 302.
6 Ibidem,
р. 301.
7 Missale
Romanum,
р. 243.
Veramente
adeguatamente e giustamente è, degno e salvifico sempre e ovunque sd
ringraziarti, Dio Santo, Padre onnipotente, Dio eterno, per Cristo
nostro Signore. Per mezzo del quale gli Angeli lodano la TUA
grandezza, onorano le Signorie, le Forze tremano. Il cielo e le
perfezioni dei cieli e Serafini benedetti nel trionfo generale
festeggiano. Con loro siano accettati, preghiamo, e le nostre voci
che parlano con timore reverenziale.
Santo,
Santo, Santo, è il Signore, Dio degli eserciti! I cieli e la terra
sono piene della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto
colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli!
Il
testo seguente dell'anafora è stabile e perciò è chiamato canone
di messa.
Quindi,
gentile Padre, per mezzo di Gesù Cristo, Tuo Figlio, nostro Signore,
umilmente Ti preghiamo e Ti chiediamo: accetta e benedici questi
doni, queste offerte, questi santi sacrifici senza macchia, che Ti
offriamo in primo luogo per la santa Chiesa cattolica, che Tu possa
deliziarti di pacificare, proteggere, collegare e controllare su
tutta la terra insieme al Tuo servo il nostro Papa (nome) e il nostro
Vescovo (nome) e tutti gli ortodossi, predicatori di fede cattolica e
apostolica
Ricordati,
Signore, degli schiavi e delle schiave Tue (nome), e di tutti i
presenti, dei quali la fede che è nota, e la pietà dei quali
conosci, per i quali Ti offriamo questo sacrificio di lode per loro
per noi e per tutti i loro, per la redenzione delle loro anime nella
speranza della salvezza e del benessere nostro, e raccomandiamo i
loro voti a Te, Dio eterno, vivente e vero.
Rimanendo
in comunione e onorando la memoria, in primo luogo della gloriosa
sempre Vergine Maria, Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo, e
degli apostoli beati e martiri Tuoi Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo,
Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simon e
Taddeo, Lino, Clito, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo,
Crisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e tutti i Tuoi santi,
per cui meriti e preghiere donaci la protezione con l'aiuto della Tua
Provvidenza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Quindi,
questa oblazione della nostra umiltà, ma anche di tutta la Chiesa
Tua, supplichiamo Te, Signore, misericordiosamente, accetta e le
nostre giornate disponi nella Tua pace ed benignati di liberarci
dalla dannazione eterna e di annoverati fra il gregge dei Tuoi
eletti. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Questa
oblazione Tu, o Dio, Ti preghiamo, fa che sia completamente
benedetta, accettabile, gradevole, conveniente e favorevole; E che
divenga per noi Corpo e il Sangue del Tuo Figlio prediletto, nostro
Signore Gesù Cristo. Il quale alla vigilia del giorno della Sua
sofferenza, prese del pane nelle Sue sante e venerabili mani, alzò
gli occhi al cielo, a Te, Dio, Suo Padre onnipotente, rendendo grazie
a Te, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo:
“Prendete e mangiatene tutti perché questo è il Mio Corpo”
Allo
stesso modo, dopo aver cenato, prendendo anche questo glorioso calice
nelle Sue mani sante e venerabili, sempre rendendo grazie a Te, lo
benedisse e diede ai suoi discepoli dicendo: "Prendete e
bevetene tutti, perché è il calice del Mio sangue, della nuova ed
eterna alleanza, il mistero della fede che per voi e per molti viene
versata per la remissione dei peccati. Ogni volta che fate questo,
fatelo in memoria di Me”.
Perciò
anche noi, o Signore, i Tuoi servi e il Tuo popolo santo, ricordando
la sofferenza beata e la risurrezione dalla tomba, e la gloriosa
ascensione al cielo dello Stesso Cristo, Tuo Figlio, nostro Signore,
portiamo alla Tua Maestà gloriosa dalle Tue benedizioni e doni un
sacrificio puro, un sacrificio santo, una vittima immacolata, il pane
santo della vita eterna e il calice della salvezza eterna.
Benignati
di considerare queste cose con un occhio misericordioso e luminoso, e
ricevili e come Ti sei degnato di ricevere i doni del Tuo servo, il
giusto Abele, e il sacrificio del nostro Patriarca Abramo, e quello
che Ti ha portato il Tuo sacerdote Melchidesech, un sacrificio santo,
la vittima immacolata.
Con
ardore Ti preghiamo, Dio onnipotente, che siano queste cose portate
dalle mani del Tuo santo Angelo al Tuo altare celeste, davanti al
volto della Tua divina Maestà, affinché ogni volta che, prendendo
il santo corpo e sangue del Tuo Figlio, fossimo riempiti di ogni
benedizione celeste e grazia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ricordi
ancora, o Signore, i Tuoi servi e le serve (nome), che ci hanno
preceduti con il segno della fede e dormono di sogno pacifico.
Preghiamo, Signore, concedi a loro e a tutti addormentati in Cristo
un luogo di freschezza, di luce e di pace. Per Cristo nostro Signore.
Amen.
E
a noi servi Tuoi peccatori, che sperano nell’abbondanza della Tua
misericordia, benignati di concedere una parte e la comunione con i
Tuoi santi Apostoli e Martiri: con Giovanni,
Stefano,
Matteo, Barnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felicitata,
Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e con tutti i
Tuoi santi, nella cui comunità accoglici, Ti preghiamo, non come
dono per i meriti nostri, ma come il portatore di remissione. Per
Cristo nostro Signore.
Per
mezzo del quale, o Signore, hai sempre fatto tutte queste opere
buone, santifichi, vivifichi, benedici e dai a noi.
Per
mezzo di Lui e con Lui e in Lui, a Dio Padre onnipotente, nell'unità
dello Spirito Santo, ogni onore e gloria. Per tutti i secoli dei
secoli.
Se
per le anafore di Basilio il Grande e Giovanni Crisostomo gli
studiosi hanno stabilito gli archetipi (per la prima la cosiddetta
versione egiziana della Liturgia di Basilio il Grande, e per la
seconda - "L’Anafora dei 12 Apostoli", a volte utilizzata
dai Jacobini, maroniti e uniati), per l'anafora cattolica romana
questo archetipo non è, e per la prima metà di essa (fino a "Hanc
igitur")
non è vi è nemmeno una fonte correlata che potrebbe essere
utilizzata nello studio di questa anafora. Pertanto I. Jungmann,
iniziando la panoramica della storia della messa romana fino ai tempi
San Gregorio Magno, ha iniziato con le sue parole: "L'inizio
della messa latina in Roma è avvolto nell'incertezza. Mentre siamo
abbastanza bene informati sulla forma di liturgia in Oriente, grazie
alla "Tradizione apostolica" di Ippolito, alla descrizione
della Messa nello stesso periodo possiamo arrivare solo tramite una
ricostruzione ipotetica”. 8
Le
caratteristiche dell’anafora cattolica romana, che disorientavano
gli studiosi e causavano una serie di ipotesi, sono la pronuncia
delle parole del Signore (установительных слов Господа)
tra le preghiere di intercessione, la ripetizione sull'offerta dei
doni e la comparsa ripetuta nel testo la frase "Per
Christum Dominum nostrum",
che risale alle lontane origini dell'antichità cristiana è risulta
essere una formula di preghiera non ereditata dal giudaismo, ma di
origine propriamente cristiana. 9Questa formula, come si vede dalla
"Tradizione Apostolica," già a Roma, durante Ippolito
completava non solo l’anafora, ma anche le altre benedizioni.10
Queste
formule conclusive sembrano lacerare l’anafora in frammenti. In
aggiunta, nell’anafora si presentano alcune tirate che ripetono le
precedenti. Sembra che gli elementi tradizionali della anafora, in
questo caso, siano mescolati e disposti in disordine! Ciò risulta
particolarmente evidente nella comparazione di questa anafora ad
anafora d'Ippolito. Se assumiamo che la moderna anafora cattolica
romana deriva dall'anafora di Ippolito, in tal caso non sarebbe
chiaro come dalla preghiera armoniosa composta in modo letterario di
Ippolito, dove sono evidenti sia la deduzione del pensiero che
l’espressione concisa del linguaggio di presentazione, si sarebbe
potuta trasformare in una tale confusione, soprattutto se si
considera che questo tipo di anafora cattolica romana è già
presente nel Sacramentario di papa Gelasio (492-496), cioè, meno di
300 anni dopo Ippolito. A questa proposito L. Buye scrive: "Questo
canone rappresenta una struttura completamente diversa rispetto
all'anafora di Ippolito, ed è composto in modo assolutamente
diverso. Non si tratta di una preghiera continua, ma con una catena
consecutiva di preghiere. Con la forma di Ippolito ciò non ha niente
in comune.
Per
coloro che pensano che la "Tradizione apostolica"(ovviamente l’anafora di Ippolito. -N. U.) rappresenta il testo un
tempo utilizzato dai romani, non può che esserci una sola
conclusione, cioè che l'anafora romana moderna è il risultato di
uno smembramento incredibile, una disintegrazione, dove tutto è
disorganizzato e si trova in congiunzione con elementi casuali che
hanno rotto l'unità armoniosa - come si pensava - rappresentato
all'inizio dall’anafora romana.11”
Questo
era il punto di vista all'inizio di questo secolo dei liturgisti P.
Drews e A. Baumstark. Il primo ha cercato di ricostruire l'antica
anafora romana mediante il cambio della posizione delle sue tirate12
e confrontando la ricostruzione con l'anafora alessandrina per
dimostrare la sua antichità. Secondo Drews, un simile cambiamento di
posizione fu fatto dal Papa Gelasio13 fatto sotto l'influenza del
Patriarca di Alessandria Giovanni Talaia,
che visse alla fine del V secolo a Roma.14 A. Baumstark ha diviso
l’anaphora romana in tre edizioni: la più antica, l'edizione del
Papa Leone Magno (440- 461), e l'edizione del Papa Gregorio Magno
(590-604)15. Gli studi anche questa volta si sono ridotti allo
spostamento di posto delle tirate applicabili alla forma della
liturgia alessandrina. I risultati della ricerca sono stati non
convincenti.
Tra
i ricercatori del nostro tempo di L. Buye pensa che le cinque prime
tirate dell’anafora: 1) “Vere dignum”, 2) “Sanctus”, 3) “Те
igitur”, 4) “Memento Domine”, 5) “Communicantes” -
rappresentano la preghiera del mattino del ebrei - Tefillah,
ereditata dai cristiani romani dai loro antenati e riconsiderato in
una preghiera eucaristica.16 I prossimi due tirata - "Hanc
igitur” e “Quam oblationem” - L. Buye chiama prima epiclesis
in relazione alle successive tirate "Supra quae” e “Supplices
Те rogamus" che costituiscono il secondo Epiklesis. In questo
egli vede la somiglianza dell'anafora romana con quella
dell’evangelista Marco17. Ma questa somiglianza è relativa.
Nell’anafora dell'evangelista Marco ci sono due epiklesis, ma il
primo, posto dopo la prefazione e l'intercessione, è discendente. È
seguito da Sanctus, anamnesis e Epiklesis ascendenti. Ma la questione
non è nella varietà di epiklesis, ma nel fatto che il "Наnс
igitur” e ”Quam oblationem”
9 А.
Вaumstark, Comparative Liturgy,
р. 68.
10 B.
Botte,, Cit. op., р. 16, 22, 26, 64, 76.
11
L. Bouyer, Cit. op., р. 187.
12 P.
Drews,
Cit. op., I, 8. 26.
13 Ibidem,
8. 36.
14 Ibidem,
8. 38.
15
.A.
Baumstark, Die Messe in Morgenland, 1906.
16
L.
Bouyer,
Cit.
op., р. 228-236.
17 Ibidem,
р. 215-216,237.
rappresentano
due tirate, la prima delle quali termina con la formula "Per
Christum Dominum nostrum. Amen". Se è un unico Epiklesis, per
quale motivo è diviso dalla formula che nella Chiesa di Roma
completava diverse benedizioni (non solo l’anafora)? Questa domanda
da L. Buye rimane aperta.
Il
problema sarà risolta se confrontiamo la sconcertante tirata "Quam
oblatione " e le successive «Qui pridie» e «Unde et memores”,
che nell’anafora hanno il valore dell’anamnesi, e le tirate
«Supra quae» и «Supplices Те rogamus», che rappresentano il
secondo Epiklesis con il testo di una parte dell’anafora di
Ambrogio di Milano che egli cita negli insegnamenti catechistici «De
sacramentis».
Ecco
il testo: "Fa che questa offerta sia inscritta, ragionevole,
utile, favorevole che è l'immagine del Corpo e del Sangue del
Signore nostro Gesù Cristo, che alla vigilia della sofferenza ha
preso il pane nelle Sue mani sante, alzando gli occhi al cielo, a Te,
Santo Padre, Dio onnipotente ed eterno, rese grazie, lo benedisse, lo
spezzò e lo diede agli apostoli e discepoli Suoi dicendo: "Prendete,
mangiatne tutti perché questo è il Mio Corpo Spezzato per molti".
Allo stesso modo prese anche il calice, dopo aver cenato, alla
vigilia della sofferenza, e alzatolo al cielo, a Te, Santo Padre, Dio
onnipotente ed eterno, dopo aver reso grazie, lo diede ai discepoli
dicendo: "Prendete e bevetne tutti, perché questo è il Mio
Sangue. Ogni volta che fate questo, fatelo in memoria di Me, fino al
Mio ritorno".
Pertanto,
ricordando le Sue sofferenze gloriose e la Sua risurrezione dai morti
e ascensione al cielo, Ti offriamo questo sacrificio puro, il
sacrificio ragionevole, il sacrificio vivificante, questo santo pane
e il calice della vita questo sacrificio purissimo, il sacrificio
ragionevole, il sacrificio vivificante, questo santo pane e il calice
della vita eterna. Chiediamo e preghiamodi accettare questa offerta
sull’altare Tuo pre-celeste dalle mani dei Tuoi Angeli come Ti sei
degnato di accettare i doni del Tuo servo giovane, il giusto Abele, e
il sacrificio del nostro Patriarca Abramo, e che TI ha portato il
sommo sacerdote Melchisedec»18.
Il
testo dell'anafora di Milano è molto più compatto del testo di
quella romana, ma contiene ciò, cui sono dedicate le già citate
cinque tirate dell'anafora romana. Ciò, di cui parla Ambrogio
all'inizio: "Fa che questa offerta sia inscritta, ragionevole,
utile, favorevole che è l'immagine del Corpo e del Sangue del
Signore nostro Gesù Cristo” sostanzialmente significa la stessa
cosa di ciò che viene detto nella tirata dell'anafora romana "Quam
oblationem":
"Preghiamo Te, o Dio, degnati di rendere questa offerta
totalmente benedetta, accettabile, gradevole, giusta e benefica; che
diventi per noi il Corpo e il Sangue del Tuo diletto Figlio, nostro
Signore Gesù Cristo”.
Ecco
le parole dell'anafora di Milano: “che alla vigilia della
sofferenza ha preso il pane nelle Sue mani sante, alzando gli occhi
al cielo, a Te, Santo Padre, Dio onnipotente ed eterno, rese grazie,
lo benedisse, lo spezzò e lo diede agli apostoli e discepoli Suoi
dicendo: "Prendete, mangiatne tutti perché questo è il Mio
Corpo Spezzato per molti". Allo stesso modo prese anche il
calice, dopo aver cenato, alla vigilia della sofferenza, e alzatolo
al cielo, a Te, Santo Padre, Dio onnipotente ed eterno, dopo aver
reso grazie, lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e bevetne
tutti, perché questo è il Mio Sangue. Ogni volta che fate questo,
fatelo in memoria di Me, fino al mio ritorno" – è quasi una
citazione della tirata “Qui pridie”.
Ecco
le parole di Sant Ambrogio: " Perciò, ricordando le Sue
sofferenze gloriose, e risurrezione e ascensione al cielo, Ti
offriamo questo sacrificio molto puro, il sacrificio ragionevole, il
sacrificio vivificante, questo santo pane e il calice della vita
eterna" - testualmente è simile alla tirata " Unde et
memores”
Le
parole di Ambrogio: " Chiediamo e preghiamo di accettare questa
offerta sull’altare Tuo pre-celeste dalle mani dei Tuoi Angeli come
Ti sei degnato di accettare i doni del Tuo servo giovane, il giusto
Abele, e il sacrificio del nostro Patriarca Abramo, e che TI ha
portato il sommo sacerdote Melchisedec»" corrispondono al testo
delle tirate «Supra
que» e «Supplices Те rogamus»
con la differenza che nell’anafora milanese per primi si menzionano
gli angeli che fanno il sacrificio sull’altare
pre-celeste poi i santi dell'Antico Testamento i cui sacrifici sono stati
accettati da Dio, in quella romana invece, per primi si menzionano i
santi dell'Antico Testamento e poi segue la supplica a Dio di
accettare le offerte della chiesa dalle mani dell’angelo. In breve,
la parte dell'anafora romana, dalla tirata «Quam
oblationem» e fino a «Supplices Те rogamus»
è un insieme unico e, come tale, finisce con la formula già
incontrato precedente
«Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen».
18
Libro.
IV, part. 21, 22, 26,27.
Segue
la tirata «Memento
etiam» che
rappresenta una preghiera per i defunti. Le sue parole, "cum
signo fidei” ("con
il segno della fede "), che esprimjno l'antica visione cristiana
della morte come una transizione verso un luogo di riposo, indicano
l'origine precoce di questa tirata. 19Ad essa inoltre successivamente
è stata fatta un’aggiunta «Nobis
quoque»20.
A differenza della tirata «Communicantes»
qui si menzionano solo i martiri: Ignazio di antiochia, Alessandro,
Marcellino, Pietro, di cui poco si sa, quindi i martiri africani
Perpetua e Felicita, e due siciliane - Agata e Lucia, due romane -
Agnese e Cecilia e Anastasia, nata a Roma, martirizzata nel Illiria,
conosciuto nel menologio sotto il nome di Sirmio.
Il
completamento dell’anafora con una preghiera per i defunti nella
fede e dei martiri è un buon finale di preghiera, che indica il
carattere escatologico dell'Eucaristia e ricorda il suo significato
come di partecipazione alla crocifissione di Cristo. Anafora si
conclude con la pronuncia delle formule «Per
quem», «Per Ipsum», «Per omnia».
La formazione dell’anafora romana era particolare. Se le anaphore
di Serapione di Thmuis, della Liturgia di Clemente, la Liturgia di
Basilio il Grande, di San Giovanni Crisostomo, Nestorio e altri erano
una redazione d'autore di un’anafora precedente, satbilire il luogo
dell’autore dell’anafora romana è impossibile. "Dire il
nome dell'autore - dice J. Jungmann - sarebbe un'impresa inutile".21
Ne sarà mai esitito uno?
Quindi
possiamo dire così perché questa anafora non è stata formata
mediante elaborazione, ma da aggiunte "meccaniche" di
elementi nuovi al vecchio. Quelle prime tirate che L. Buye chiama
tefillah ebraica, adattata per la celebrazione dell'Eucaristia,
all'inizio di questo secolo, erano definite dal prof. I. Karabinov
come un anaphora primitiva, risalente a quella fase, quando le
dossologie componevano il contenuto principale della preghiera
eucaristica e quando gli altri elementi dell’anafora non si erano
ancora cristallizzati
22. «Vere dignum”-
è la prefazione di quelle antiche anafore primitive. Le è attacato
«Sanctus».
In
una tirata "
Те igitur
" sono contenuti in una narrazione semplicissima l’Epiklesis
ascendente: "Noi preghiamo umilmente e chiediamo a Te di
accettare e di benedire questi doni, queste offerte, queste sante
vittime innocenti" e l'intercessione come una preghiera per la
Chiesa, in assenza di anamnesi. Più tardi in questa tirata sono
state inserire le preghiere per il Papa, il vescovo e il clero locale
e una tirata privata "
Memento Domine
" per il popolo, essenzialmente una continuazione della
precedente a partire dalle parole "
Imprimis quae Tibi offerimus
". La comparsa nell'anafora “Memento
Domine
" si riporta all'inizio del V secolo. 23 Più tardi, al tempo
del Papa Leone Magno, compare la tirata «Communicantes»24
con la commemorazione dei santi, ma erano solo delle aggiunte e non
la modifica dell’antica Prefazione. Il tempo della comparsa di
«Hanc igitur»
non è noto.25
19 J.
Jungmann, Missarum sollemnia, I. Wien,
1958, р. 66.
20
L.
Bouyer,
Cit. op., р. 241.
21 J.
Jungmann, Missarum sollemnia, I. Wien,
р. 72-73.
22 I.
Karabinov, Preghiera eucaristica ..., p. 148-149.
23 J.
Jungmann, Missarum sollemnia, I. Wien,
р. 70.
24 Ibidem,
р. 71.
25 Ibidem.
Prof.
I. Karabinov ha suggerito che questa tirata apparsa in connessione
con le successive, simile nel contenuto all’anafora di san
Ambrogio, e il suo scopo era quello di sottolineare che il sacramento
non viene fatto per le preghiere elvate dell’officiante ma grazie a
ciò che è stato detto dal Signore durante l'Ultima Cena, sul fatto
che il pane e il vino sono Suo corpo e il Suo sangue.26
"Come
questo pane può essere il corpo di Cristo? Tramite quali parole e
discorsi di chi avviene la consacrazione ? "- chiede e risponde
Ambrogio: "Qelli del Signore Gesù! Tutto il resto che che vi è
di elevato e che viene detto dal chierico è una lode a Dio, una
preghiera elevata, un’intercessione per il popolo, per i re, per
altro - tutto è fatto per essere degni del sacramento che viene
svolto, ma il sacerdote non lo svolge con le sue parole, ma con le
parole del Signore. Soltanto la parola del Signore compie il
sacramento
"27 La
Prefazione, che è sorta sulla base della dossologia del tefillah,
non rifletteva ciò che dice S. Ambrogio sull'Eucaristia. Era
necessario sottolineare la differenza tra la teologia eucaristica del
periodo successivo al Concilio di Nicea dalla teologia
giudaico-cristiana. La tirata "Hanc igitur" segna una sorta
di limite nella preghiera eucaristica dando la possibilità ai
teologi occidentali di considerare successivamente la prima metà
della tirata "Te igitur" come "pre-
epiklesis".
Non posso dire se fossero inserite nell’anafora romana le tirate
«Quam oblationem», «Qui pridie», «Unde et memores», «Supra
quae», «Supplicites Te rogamus» sotto l'influenza di quella
milanese o, al contrario, Ambrogio ha commentato l’anafora sotto
l'influenza dell’Eucaristia romana. Non ho letteratura necessaria
per approfondire la questione. Ambrogio pronuncò gli insegnamenti
catechetici nell'anno 390, mentre “Quam oblationem »,« Qui
pridie» e « Unde et Memores » diventato
noti nell'anafora romana all'inizio del V secolo.28 D'altra parte, la
misteriosa immagine di Melchisedek, di cui al «Supra quae», fu
commentata in un trattato anonimo del 375.29 Circa la tirata
«Supplices Quei rogamus» è noto che il Papa Leone Magno vi bbia
aggiunto le parole «sanctum sacrificium, immaculatam hostiam» 30.
E’ possibile che queste tirate, il cui scopo era quello di
approfondire la teologia eucaristica ed il rafforzamento di
espressività di preghiera dell’anafora, sono state introdotte
gradualmente con il noto processo letterario nell'antico stile della
prefazione, che rimase nella sua forma originale.
Sul
significato di tirate «Memento etiam», «Nobis quoque» si è
parlato sopra. Si noti che esistevano nell'anafora prima dell’epoca
del Papa Leone, cioè prima del 440. 31
L’anaphora
Romano-Cattolica è autenticamente romana. E' stata creata nei primi
secoli della vita della Chiesa dai cristiani locali di origine
ebraica, e Roma del IV - V secolo l’aveva completata man mano con
l'approfondimento della teologia, senza toccare il testo originale.
Questo, naturalmente, non significa l'esclusione della vita liturgica
romana dalla vita di altre Chiese e l’assenza di prestiti parziali
da parte di Roma delle tradizioni liturgiche di queste Chiese, in
particolare, da quella di Alessandria.
Inoltre,
l'origine romana di questa anafora è confermata dalla sua
esposizione letteraria che spesso usa le "doppie"
espressioni linguistiche, per esempio: «rogamus al petimus»;
«Accepta habeas et benedicas»; «Catholicae et Apostolicae fidei»;
«Sanctas ac venerabiles manus»; «De tuis Donis ac Datis»; nonché
le caratteristiche delle accezioni triple, quadruple e perfino
quintuple, ad esempio: «hostiam puram, hostiam Sanctam, hostiam
immaculatam» (si tratta del significato sacramentale dei doni
eucaristici); «Pacificare, custodire, adunare et regere digneris
toto orbe terrarum» (stiamo parlando dell’opera della Chiesa nel
mondo); «Benedictam, adscriptam, ratam, rationabilem,
acceptabilemque» (stiamo parlando dell'offerta eucaristica). È lo
stile del latino classico della Roma antica. Nonostante la
pleonasticità delle caratteristiche delle accezioni esso conserva
la sua precisione e concisione legale, anche se l'oggetto del
discorso è l’anafora cristiana e immagini bibliche.
26 I.
Karabinov, Preghiera eucaristica ..., p. 152.
27
De
sacramentis, IV, 14.
28
J.
Jungmann, Missarum sollemnia, p.70
29 Ibidem,
р. 66.
30 Ibidem.
31 Ibidem,
р. 71.
Pp.
136-139.
Il
secondo punto di differenza tra l’Est e l’Ovest è la dottrina
sul tempo della consacrazione dei doni eucaristici. Storia della
formazione dell’anafora, l'esistenza dell’anafora senza le parole
di istituzione, alle quali la Chiesa cattolica attribuisce
l’importanza delle parole di compimento, le varie forme di
epiklesis
- ascendente e discendente - e la presentazione testuale diversa di
epiklesis
esclude l'esistenza nella Chiesa antica delle parole di compimento di
validità universale. Non vi è alcuna indicazione sulla validità
universale nemmeno nella letteratura patristica. Se Ambrogio di
Milano pensava che il potere creativo del sacramento dell'Eucaristia
è nelle parole di Gesù Cristo che possono "cambiare la natura
degli elementi", proprio come la parola di Elia abbia fatto
scendere fuoco dal cielo 32, un certo numero di Padri orientali
attribuiscono ciò alla intuizione dello Spirito Santo. Quindi,
Cirillo di Gerusalemme, descrivendo l’ Eucaristia a lui
contemporanea, dice: "Allora noi essendoci consacrati per
tramite di queste canzoni spirituali, chiediamo a Dio che ama il
genere umano di far scendere lo Spirito Santo sui dono qui stanti,
che trasformi il pane nel corpo di Cristo, e il vino - nel sangue di
Cristo. Per, senza ombra di dubbio, ciò che toccherà lo Spirito
Santo, è santificato e trasformato. "33
Basilio
Magno dice: "Chi dei santi ci ha lasciato le parole scritte
della convocazione nel momento della presentazione del pane di
ringraziamento e del calice di benedizione? Perché noi non ci
acconcontentiamo di quelle parole, menzionate dagli apostoli o dal
Vangelo, ma come prima così anche dopo ne pronunciamo altre, che
dovrebbero avere un grande potere per il compumento dei sacramenti,
prendendoli presi dalla dottrina non esposta nelle Scritture"34
Giovanni
Crisostomo afferma: "Il sacerdote sta davanti alla mensa con le mani alzate al cielo, invocando lo Spirito Santo di venire a
toccare i Doni." 35 Altrove egli dice che "il sacerdote si
erge, facendo scendere non il fuoco, ma lo Spirito Santo; continua
una lunga preghiera non per far scendere il fuoco e infiammare
l'offerta, ma affinché la grazia scenda sulla vittima, infiammando
per mezzo suo le anime di tutti e li compia per mezzo dell'argento
serenissimo purificato dal fuoco. "36
Da
ciò possiamo trarre una sola conclusione, che nel tempo della chiesa
patristica è stata data importanza alla preghiera, in quanto tale e
non alle sue singole parole, e il concetto delle parole di compimento
non esisteva. La parte Orientale e quella Romana della Chiesa
universale, con anafore che differivano significativamente nella
forma, avevano mantenuto il contatto eucaristico e non rimproverano
l’un l'altra della non ortodossia. Inoltre, durante l'esacerbazione
dei rapporti tra Costantinopoli e Roma ne i Patriarchi Fozio e
Michele Cerulario, né i loro avversari romani, pur polemizzando
l’uno con l'altro, non avevano mai toccato
la consecratio.
E dopo la separazione delle Chiese alcuni vescovi occidentali non
avevano ancora condiviso la dottrina scolastica riguardo alla materia
e alla forma dei sacramenti, ed erano estranei alla nozione di parole
di compimento. Uno dei vescovi più autorevoli - William Durand (†
1296), interpretando la tirata
«Supplices te rogamus»,
aveva scritto: "Dio onnipotente, comando che queste cose, cioè
il pane e il vino, siano trasportati , cioè, spostati sull'altare
Tuo celeste, vale a dire il Corpo e il Sangue del Tuo Figlio, sia
innalzato al di sopra dei cori angelici ... che sia così ... che
cos’ avvenga ... per grazia dello Spirito Santo".37
Solo
nel XIV secolo sotto l'influenza della dottrina scolastica riguardo
alla materia e sulla forma dei sacramenti in Occidente si solleva la
questione del momento della transustanziazione dei doni e sul
rapporto di questo atto Divino con la pronuncia di certe parole. In
questo caso, è stato dimenticato il percorso storico dell’anafora
e alla teologia dei Padri della Chiesa, in molti modi espressa in
diversi modi di dire, è stato contrapposta una singola formula di
consacrazione, che escludeva tutte le altre forme di preghiera su
questo.
32
De mysteriis, IX, 52; срав. De sacramentis, IV, 14.
33 (Тайноводственные
слова)
Parole di mistero, V, 7.
34 Sullo
Spirito Santo, cap. 27. Creazione, h. III, M 1891, p. 269-270.
35
Conversazione sul cimitero e la croce. Creazione, vol. 2, p. 436.
36
La parola del 2 ° sacerdozio. Creazione, vol. 1, p. 417.
37 Racionale
Divinorum officium, IV, 44.
Il
Concilio di Firenze nel 1439 per volere del Papa Eugenio IV nel
decreto
«Exultate Deo»
sull'Eucaristia dice: "La forma di questo sacramento è
costituita dalle parole del Salvatore, attraverso le quali Egli ha
compiuto questo sacramento. E il sacerdote, parlando a nome di
Cristo, compie questo sacramento. Perché in virtù delle parole
stesse la sostanza del pane si trasforma nel Corpo di Cristo e la
sostanza del vino - nel sangue di Cristo, tuttavia, in modo che tutto
il Cristo è contenuto sotto l’asptetto del pane e tutto - sotto
l’asptetto del vino ". 38
Si
è detto sopra che i dibattiti scolastici sul tempo della
transustanziazione delle offerte si riflettono anche nella liturgia
orientale, dove ci sono stati tentativi di introdurre parole di
compimento comuni ad entrambe le anafore (di Basilio Magno e di San
Giovanni Crisostomo). Un tentativo del genere - le parole di San
Giovanni Crisostomo "Offrendo per mezzo del Tuo Spirito Santo"
- fino ad ora è disponibile nei Messali russi nella Liturgia di
Basilio Magno. Inoltre nell'Ordine del giuramento dei vescovi si afferma che la Chiesa "crede e
pensa che la transustanziazione nella Divina Liturgia si compie nel
Corpo e del Sangue di Cristo per l'ispirazione e l'azione dello
Spirito Santo attraverso l'invocazione vescovile o sacerdotale nelle
parole di preghiera rivolte a Dio Padre: trasforma questo pane nel
prezioso Corpo del tuo Cristo e in questo calice il prezioso Sangue
del Tuo Cristo, offrendo il Tuo Spirito Santo. "
Da
qui il Metropolita Macario fa questa citazione nella "Teologia
ortodossa-dogmatica", e aggiunge: "Così ha sempre creduto
la Chiesa di Cristo secondo la tradizione degli stessi Santi
Apostoli".39 Tutto questo può essere inteso solo come polemica
contro la definizione del Concilio di Firenze del 1439, ma non come
l'insegnamento della Chiesa ortodossa, perché non esiste alcuna
definizione conciliare, come esiste nessuna dichiarazione patristica
che afferma che la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e
Sangue del Signore avviene in presenza di alcune parole dell’anafora
che agiscono come una formula di compimento. La transustanziazione
delle offerte eucaristiche è un evento soprannaturale, metafisico,
inconcepibile e accennabile solo per fede. Pertanto, i Padri della
Chiesa non hanno mai collegato la consacrazione con una particolare
frase dell’anafora. A questo proposito, di particolare interesse è
l'interpretazione eucaristica di Nicola Kabasilas, arcivescovo di
Tessalonica vissuto a metà del XIV secolo, proprio nel periodo del
dibattito sul tempo della transustanziazione. Egli scrive: "A
imitazione del primo sacerdote, il quale, prima di riportare il
sacramento della Santa Comunione, rese grazie a Dio e Padre, il
sacerdote prima della preghiera di compimento che santifica le
offerte, rende grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo:
"Ringraziamo il Signore "; e quando tutti si dichiarano
d'accordo con questo e cantano: "E’ cosa buona e giusta",
innalza anche lui grazie a Dio, dando a Lui lode, lodandolo con gli
angeli, confessando lo ringrazia per tutte le benedizioni che Egli ci
ha dato fin dall'inizio, e, infine, ricordando la stessa ineffabile e
costante cura di noi del nostro Salvatore". 40 Avendo così
descritto la prefazione e citano il canto dell’inno
dei serafini,Nicola Kabasilas continua e
dice che il sacerdote"quindi
ufficia il rito sui doni giusti e compie tutto il
sacrificio." "Come?" - Chiede a se stesso e risponde:
"annunciando la quella cena terribile, come il Salvatore prima
delle sue sofferenze, ha insegnato ai Suoi santi discepoli, come ha
preso il calice, come ha preso il pane e, dopo aver reso grazie,
santificato e pronunciato quelle parole che hanno dimostrato che si
tratta di un sacramento. Pronunciato proprio quelle parole, il
sacerdote poi si prostra a terra, pregando e chiedendo, applicando
alle offerte presentate le parole divine del Figlio Unigenito di Dio,
nostro Salvatore, affinché il Santo e Onnipotente Spirito di Dio
scendendo su di essi, compia la transustanziazione di essi nel Corpo
santissimo di Cristo, e il vino - nel Suo santissimo Sangue.
38
H.
Denzinger, C. L. Banwart, Enchiridio Symbolicum, Brisgoviae, 1922, p.
220, n. 544.
39 Teologia
ortodosso- Dogmatica. T. 2. SPb. 1895 p. 380-381.
40 Le
spiegazioni della Divina Liturgia, cap. 27. Sacra Scrittura dei padri
e dottori della Chiesa riguardanti l'interpretazione di culto
ortodosso, t. 3. SPb. 1857.
Dopo
queste parole il rito è finito e compiuto, le offerte sono
completamente santificate, la vittima è pronta ... ".41 Così
Nicola Kabasilas inserisce nella preghiera di compimento non una
qualche frase ma l'intera anamnesi e tutto l’Epiklesis.
Inoltre,
egli ritiene efficace anche l’anafora cattolica romana con la sua
epiklesis crescente. Egli dice che i Latini "sulla
santificazione e transustanziazione nel Corpo del Signore non
chiedono in modo chiaro e utilizzare altre denominazioni al riguardo,
ch però hanno lo stesso effetto." 42 Per quanto riguarda il
contenuto dell’epiklesis Cattolico romano e, in particolare, le
parole "Comanda che si innalzino queste offerte per mano del
angelo sul Tuo altare celeste" Kabasilas dice che "questa
preghiera in relazione alle offerte non produce nulla di dissimile da
ciò che trasforma le stesse offerte nel Corpo e sangue del Signore
... che su questo altare celeste il sacerdote prega di innalzare le
offerte, cioè, prega di santificarli, di trasformarli nel corpo
celestissimo del Signore ... Così i vostri sacerdoti, contemplando
Cristo come santificante, pregano per le offerte in altre parole ed
espressioni "43
Perché
il sacramento non è compiuto da una formula particolare, ma da
diverse preghiere, Kabasilas spiega questo sulla base della sostanza
della preghiera. La preghiera è un’invocazione a Dio, in cui le
persone "non confidano in noi stessi, ma in Dio, che ha promesso
di dare attraverso la preghiera." La preghiera viene eseguita
non per amore della preghiera, in modo che Dio si compiace dei
fedeli. "Ecco perché crediamo nella consacrazione dei misteri
grazie alla preghiera del sacerdote - prosegue Nikola Kabasilas -
perché crediamo in essa, non come in una preghiera umana, ma come si
crede nella potenza di Dio, e non perché sia l'uomo a pregare, ma
perché è Dio che ascolta; e non perché lo supplicano, ma perché
la Verità ha promesso di elargire secondo la preghiera. E che Cristo
ha dimostrato di essere sempre pronto a dare questa grazia, va da sé
"
42 Ibidem,
cap. 30.
43 Ibidem.
44
Le
spiegazioni della Divina Liturgia, cap. 29.
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FONTE
(In russo) OPERE
TEOLOGICHE TREDICESIMA
RACCOLTA, dedicata
al prof. N. D. Uspensky MOSCA
• 1975Professore
Nikolay Dmitriyevich USPENSKY
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