Perché la Bibbia dei Settanta è la vera Bibbia - I° parte

Il servo di Dio, Giustino Ottazzi, in un saggio diviso in tre parti, ci parla dell'importanza della Septuaginta nella Cristianità ortodossa

La Bibbia è uno strumento nato in seno alla Chiesa e per la Chiesa. Una confessione, dunque, non può nascere a partire dalle Scritture, sarebbe illegittimo. La Bibbia nasce a partire dalla Tradizione, come parola scritta di quella parte del deposito affidato alla Chiesa.
Dando un veloce sguardo ai libri della Bibbia, salta subito all'occhio la presenza di un numero minore di libri adottati dai protestanti per via di un canone differente del Vecchio testamento: Sessantasei libri (AT+NT) rispetto ai settantatré del canone adottato dalla Chiesa Romana e i settantotto di quello della Chiesa Ortodossa (considerando Susanna e Bel il drago come Daniele 13 e 14, capitoli assenti nelle versioni protestanti, e la lettera di Geremia come Baruc 6).

La motivazione risiede nella decisione di Lutero di escludere i libri rifiutati dal canone ebraico (inclusi invece nella versione dei “Settanta”), basandosi sull'autorità ebraica in merito ai testi sacri dell'Antico Testamento. Questo è un errore piuttosto grossolano e facilmente smascherabile, infatti l'autorità in materia biblica e l'assistenza dello Spirito Santo passarono ai Cristiani, il nuovo Israele.
Gli Ebrei istigavano i Romani a perseguitare i Cristiani, decretarono i Vangeli come eretici e misero mano al canone biblico per screditare la versione utilizzata dai Cristiani. Questa versione, fino a quel momento, godeva della massima considerazione presso tutto il popolo ebraico, era letta abitualmente nelle sinagoghe e non vi erano dubbi circa la completa ispirazione di tutti i libri.
Come fa notare la Società Biblica di Ginevra (che è protestante) le citazioni presenti nel Nuovo Testamento sono fatte quasi esclusivamente a partire dal testo greco della Settanta, ciò a riprova dell'effettivo utilizzo di tale versione da parte dei Cristiani.
Che la Settanta sia una traduzione in greco del testo ebraico non ne fa una versione meno autorevole, infatti la Tradizione cristiana riconosce l'ispirazione dei traduttori, i quali scelsero sotto ispirazione la versione da tradurre, e svelarono di molti passi il significato spirituale più profondo. Ciò è facilmente dimostrabile analizzando questa celebre citazione di Matteo:


Mt. 2,22-23 << Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele”, che significa Dio con noi >>.


Una antica Bibbia russa miniata

Matteo cita il testo greco, mentre il testo ebraico recita:

Is. 7,14 << Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele >>.

La Settanta svela così il senso pieno della Scrittura, probabilmente sconosciuto al redattore. Se il lavoro di traduzione avesse portato ad un deterioramento del messaggio rivelato, il Vangelo sarebbe ingannatore a riportare la profezia che, considerando la versione greca, è da riferirsi a Gesù Cristo.
S. Agostino spiega molto accuratamente la questione, riporto un estratto del suo discorso in merito alle versioni della Scrittura.

<< Dato che in loro apparve un segno così manifesto dell'intervento divino, è fedele quel traduttore dei libri della sacra Scrittura dall'ebraico a qualsiasi altra lingua che conviene con i Settanta, o se non conviene, si deve avvertire in quel passo un profondo significato profetico. Lo Spirito, che agiva nei Profeti quando hanno parlato, agiva anche nei Settanta quando hanno tradotto. È possibile che lo Spirito, con autorità divina, abbia suggerito un altro significato nella versione come se il Profeta avesse inteso l'uno e l'altro, poiché era il medesimo Spirito a parlare in ambedue i sensi, o meglio il medesimo significato diversamente cosicché, se non le medesime parole, almeno ai buoni intenditori apparisse il medesimo significato. Ha potuto far tralasciare qualcosa e qualcosa aggiungere affinché anche da questo fatto si mostrasse che in quell'attività non prevaleva l'umana soggezione, che il traduttore subiva dalle parole, ma un divino potere che riempiva e guidava l'intelligenza del traduttore >> (Città di Dio XVIII, 43).


I traduttori, nel loro lavoro, hanno portato ad un'attualizzazione ispirata del messaggio rivelato, attraverso il processo del midrash e l'utilizzo dei termini greci, permettendo una precisazione dei significati e persino un loro sviluppo.
Un esempio è la traduzione del termine “speranza”, reso in greco con due termini differenti a seconda della sfumatura, “elpizein” che è la speranza riposta in Dio, oppure “pepoithenai”, la vana speranza .
Con la traduzione dei Settanta si attua la necessaria preparazione all'avvento del Cristianesimo; se la Legge era il pedagogo che doveva portare gli Ebrei al Cristo, la Settanta era il pedagogo che preparava la successiva missione universale della Chiesa. L'utilizzo del greco preannuncia la promessa ai pagani, permette al Cristianesimo di affacciarsi più preparato al confronto con la filosofia greca, e di cogliere le sfumature necessarie ai successivi sviluppi teologici. Non volgare commistione, ma profetico arricchimento.
Si pensi solamente ad un fatto: le nazioni che non potevano comprendere l'ebraico come avrebbero potuto accostarsi alle Scritture, se queste non fossero state tradotte per volontà divina? E in tutto questo, forse Dio non avrebbe guidato i traduttori affinché riportassero veracemente il Suo messaggio?
Se le profezie sul Cristo sono meglio intellegibili e corrispondono maggiormente, non è indice questo che tale versione è sorta per ispirazione divina? Non dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che questa è la versione di cui i Cristiani dovrebbero servirsi? Adottare il Testo Masoretico (sorto, come vedremo dopo, a discredito della Settanta, poiché profetizzava con incredibile chiarezza il Messia professato dai Cristiani) significa impoverire la nostra fede e il valore profetico dell'Antico Testamento.
I Padri della Chiesa non considerarono la Settanta come una copia, ma come originale parola divina, la Scrittura che per volere di Dio volge in sé stessa lo sguardo, interrogandosi e scoprendosi, aprendosi e proiettandosi, da parola per il popolo di Israele a parola per il nuovo Israele: il mondo intero che anela a Dio.

La teologia evangelica e la conoscenza della Sacra Scrittura da parte dei primi Cristiani si basavano sulla Settanta: è dunque essa la versione autenticamente cristiana dell'Antico Testamento.
San Giustino Martire (100 - 165) è un testimone della diatriba in merito alle Scritture, e vedeva – a ragione – l'utilizzo di versioni differenti dalla Settanta come un attentato all'autentica parola di Dio: nel II secolo, infatti, le traduzioni in greco di Aquila e Teodozione erano viziate dalla vena polemica.

<< Se infatti colui del quale parlava Isaia non avesse dovuto nascere da una vergine, di chi mai lo Spirito Santo esclama: Ecco il Signore stesso vi darà un segno; ecco la vergine concepirà a partorirà un figlio? E se, al pari di tutti gli altri primogeniti, anche questo doveva nascere da un rapporto carnale, perché mai Dio avrebbe detto di voler porre un segno, che non è cosa da tutti i primogeniti? (…) Ma anche in questo caso voi osate manipolare la traduzione fatta dai vostri settanta anziani presso Tolomeo, re d'Egitto, e dite che la Scrittura non ha il testo da loro reso bensì questo: Ecco, la fanciulla concepirà, come se fosse segno di chissà quali prodigi il fatto che una donna dopo una relazione sessuale partorisca, cosa che capita a tutte le giovani donne salvo alle sterili >> (Giustino - Dialogo con Trifone 84,1 e 3).

Il discorso, al di là della questione sulla manipolazione (che personalmente condivido), concettualmente non fa una grinza.

Dopo di lui, anche Ireneo di Lione (130- 202) tratta in merito alla citazione di Isaia.

<< Non è perciò vera l'interpretazione di alcuni che usano tradurre la Scrittura così: “ecco, una giovane porterà nel seno e partorirà un figlio” come fecero Teodozione di Efeso e Aquila del Ponto, entrambi proseliti giudei >> (Contro le eresie III 21,1)


Ma i passi messianici svelati dalla Settanta e attestati dal Nuovo Testamento sono svariati. Eccone alcuni:
At 2,27 << perché tu non abbandonerai l'anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione >>.
Il Testo Masoretico del Salmo 16 (15),10 riporta: << ...né lascerai che il tuo fedele veda il sepolcro >>.
Pietro, nel suo discorso di Pentecoste, ha inteso il passo in senso messianico, messo in luce dal termine “corruzione”. In effetti, dal punto di vista simbolico, il termine sepolcro è da intendersi nel significato di corruzione, dato che imprescindibilmente ogni uomo – giusto o ingiusto, fedele o infedele – andrà a finire nella tomba. Non è un caso se proprio la Settanta, sotto speciale assistenza da parte dello Spirito Santo, è riuscita a rendere il significato spirituale che si cela dietro i termini, dei quali spesso anche gli agiografi stessi ne erano all'oscuro.

At 8,33 << La sua generazione chi potrà raccontarla? >>
Testo masoretico Is 53,8 << chi si affligge per la sua posterità? >>.
Filippo, ripieno di Spirito Santo, intende quel passo di Isaia come profetico. Ora, ci si domanda per quale motivo ci si dovrebbe affliggere per coloro che sono il popolo predestinato alla gloria (Rm 8,29-30). Inoltre, la patristica dei primi secoli ha sempre inteso la generazione in relazione alla nascita verginale di Cristo, non alla posterità.

Queste discrepanze costringono la Conferenza Episcopale Italiana a delle acrobazie. Ecco come viene tradotto il versetto di At: << La sua discendenza chi potrà descriverla? >>. Probabilmente alle menti forbite dei traduttori sfugge un po' di patristica.

Eb 10,5 << Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato >>
Testo masoretico Sal 40 (39), 7 << Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto >>.


Qui, col Testo Masoretico, si perde il senso dell'incarnazione.

Commenti