Il peccato e gli uomini: ereditiamo la colpa o la corruzione? (Giustino Ottazzi)

Un articolo del servo di Dio Giustino Ottazzi, che analizza brevemente il senso della colpa e della trasgressione nella visione patristica. 

La morte entra nel mondo a causa del peccato.
Gc 1,15 “le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte”.
Rm 5,12 “Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così la morte raggiunse tutti gli uomini, perché tutti peccarono”.
Rm. 6,23 “Perchè il salario del peccato è la morte”.

Questo concetto (come una legge di causa ed effetto) è essenziale per comprendere l’eredità del peccato adamitico e per evidenziare l’imprecisione della visione attualmente dominante nell’Ortodossia a causa di un’eccessiva distanza – in merito alla questione - dalla teologia latina, in particolar modo da S. Agostino. Tale pregiudizio può portare a pericolose derive, come accade per alcuni teologi ortodossi contemporanei (non faccio nomi per evitare polemiche - tanto sono noti a tutti) che arrivano quasi a relegare la Croce a mero instrumentum mortis in vista della risurrezione. 

In breve, si tende a considerare la sola eredità della corruzione.

Usando la logica, è corretto affermare che se ereditiamo la corruzione e la morte, ereditiamo anche la causa, che è il peccato, da non intendersi - in questo caso - come trasgressione (commessa da Adamo, e non dai suoi discendenti), ma come macchia. In effetti non avrebbe senso ereditare la conseguenza di qualcosa che – a sua volta – non venga in qualche misura ereditata.  Dunque, ribadendo, se si eredita la conseguenza, si eredita anche la causa per cui sussiste. D’altronde non può neppure esistere conseguenza senza causa; quest’ultima ha certamente origine in Adamo, come trasgressione, ma passa di generazione in generazione come macchia indelebile che produce morte in tutto il genere umano.

Usando un’affermazione antitetica: l’uomo nasce morto, sia perché il corpo morirà, sia perché l’anima è fin dal primo istante separata da Dio (“La morte dell'anima avviene quando Dio l'abbandona” - Agostino, La città di Dio XIII 2,2-3) a causa del peccato originale.

Sinodo di Orange, Canone II: “Coloro che asseriscono che il peccato di Adamo non ha inficiato i suoi discendenti, ma soltanto lui, e dichiarano che la morte fisica solamente e non il peccato, il quale è la morte dell'anima, sia passata quale eredità all'intera razza umana, essi commetteranno ingiustizia contro Dio”.

Se l’uomo è generato morto - cioè corrotto nel corpo e nell’anima - è stato concepito nel peccato:
Sal. 50,7 “Ecco, nel disordine (corruzione N.d.A) sono stato concepito, nel peccato mi ha concepito mia madre”.

Tali non si accede al Regno dei Cieli fintanto che non si è liberati dal peccato e, morto l’uomo vecchio, non sorga l’uomo nuovo vivificato dallo Spirito.

Tutto ciò non è distante dal pensiero di Agostino ma, anzi, è una sintesi tra la patristica Ortodossa orientale e latina.

Infatti ecco alcune citazioni di padri orientali ampiamente accreditati dall’Ortodossia:

San Simeone il Nuovo Teologo, Omelia XXXVII, 3 “Come Adamo, il primo creato, perse l'ornamento della santità, non da altro peccato che dall'orgoglio, divenendo mortale e corruttibile, così tutti coloro che nascono dal seme di Adamo sono partecipi del peccato ancestrale di Adamo fin dalla nascita. Colui che nasce in questa via, dunque, anche se non ha ancora commesso peccato, è già peccatore a causa del peccato originale”.

San Basilio [1] : “il peccato di Adamo è in realtà il peccato degli uomini, ed esiste in noi per necessità”.

Sant'Atanasio di Alessandria [2] “Quando Adamo peccò, esso passò a tutti gli uomini”.

Con onestà intellettuale, alla luce della patristica antica, quanti sarebbero disposti ad ammettere l’ereditarietà della sola corruzione?

I romano-cattolici (da non confondere coi Latini in senso lato) avrebbero ragione?

No. Il problema, infatti, si presenta qualora si voglia introdurre il concetto di “colpa ereditaria”.
D’altronde, il sinodo d’Orange precedentemente citato, quello che ha direttamente trattato la questione, evita di esprimersi in tal senso e risulta perfettamente in linea anche con l’idea che attualmente sposa una buona parte degli ortodossi (infatti sembra equiparare il peccato alla morte dell’anima, ma è da intendersi in senso precisivo, non esclusivo, altrimenti contrasterebbe la Scrittura, la quale afferma che l’uno è causa, e l’altra conseguenza).

“Colpa” risulta un termine impreciso utilizzato da una parte della teologia Latina (specialmente quella agostiniana) per spiegare il medesimo concetto qui riportato, ovvero l’ereditarietà non solo della morte, ma anche del peccato. Il colpevole è l’agente della trasgressione. Se tale trasgressione non si verifica, la colpa non si presenta. La trasgressione è stata commessa da Adamo, mentre i discendenti commettono solo le proprie trasgressioni. E’ dunque evidente che il concetto di “colpa ereditaria”, inteso come tale, non sussiste neppure sul piano logico, ed è da rigettare. Inteso però alla luce di tutta la patristica, assume un altro respiro.
Consideriamo che se non c’è la colpa non può esserci nemmeno punizione. In questo nodo si inserisce la necessità di salvaguardare l’universalità del Sacrificio di Cristo (difficile supporre peccati personali nei bambini appena nati, o mai nati, anche se non è da escludere vedi confessioni Libro I - Sant’Agostino). Ecco districato il nodo: l’anima, morta fin dal principio, è di per sé stessa separata da Dio e bisognosa di salvezza; inoltre, il battesimo è la rinascita come figli di Dio, e se non si è figli non si è neppure eredi. Da qui l’impellenza del battesimo, ed ecco ciò che - ai padri che difesero la pratica Ortodossa del battesimo dei fanciulli - premeva dimostrare.

In questo contesto, e in ottica anti-pelagiana, anche una certa estremizzazione della visione latina diviene comprensibile; è sufficiente stemperarla immergendola nel refrigerante mare della patristica.

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1)  Potrologia tou M. Vasileiu, Demetrios Tzami, Thessaloniki 1970
2) Quattro discorsi contro gli Ariani, I, 12

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