Storia della Medaglia di san Benedetto (parte I) - Latinita' Ortodossa

La prima parte di un lungo saggio del servo di Dio Aloisio Alessio Gullo, che ci racconta l'iter storico della medaglia di san Benedetto da Norcia.

La Croce di San Benedetto, o medaglia di San Benedetto, sicuramente affonda le sue radici nell’alto medioevo, ma risalire con certezza alla sua effettiva origine è molto arduo.
Intorno ad essa, in conseguenza del vastissimo arco temporale trascorso, si è creato un notevole alone di notizie, tradizioni ed elaborazioni di natura devozionale,  tramandate nel corso dei secoli che se da un lato ci aiutano a farcene cogliere la presenza in determinati  momenti storici, dall’altro lato finiscono per offuscare il cammino che ci porta all’effettiva origine del suo uso e ciò per effetto del rilevante potere centralizzante degli stessi episodi tramandatici, che attraggono l’attenzione, imprimendosi nella memoria, come fatti fondamentali ed esclusivi, facendo cadere nell’oblio altri elementi possibilmente più databili. Certamente siamo abituati al lavoro di “scrostamento” dalle figure e dalle tradizioni,  da tutto ciò che di postumo le circonda, sempre  nel tentativo di risalire ai personaggi e alle varie realtà originarie, per ottenere una visione più rispettosa della verità storica.  Tuttavia, questo è un lavoro molto complesso ed in ogni caso non deve comportare lo scarto sistematico o, peggio, l’affermazione del metodo come pratica assoluta e incontestabile, qualunque ne siano i risultati, come spesso avviene negli studi esegetici che riguardano la Sacra Scrittura, ove ora più che mai è necessaria quella che potremmo definire la mediazione o, meglio, il lavoro teologico che, pur aprendosi alle varie interpretazioni esegetiche, mantiene un profondo equilibrio, per garantire che la ricerca e i risultati non siano fuorvianti e restino nel solco della verità dogmatica e della Tradizione. In ogni caso, checché se ne possa dire, pur se si tratta di un lavoro limitato a quanto abbiamo in possesso, resta pur sempre aperto a nuove intuizioni che soggiacciono quasi nascoste a quanto, ad oggi, si è in grado di conoscere. Questa piccola premessa, in genere attualissima per i lavori  agiografici, è valida anche per la Croce di San Benedetto.

 Chiariamo subito che da un primo contatto, si asseconda quello che è  “nel comune sentire” i termini croce e medaglia di San Benedetto, adoperati indistintamente, indicano entrambi l’oggetto che riproduce nella sua forma attuale una croce circondata da alcune lettere incise e l’immagine del santo.
Ma, ovviamente, i due termini si differenziano quanto meno nella loro contestualizzazione storica, pur fondendosi nella ultima visione “finalistica”. Comprendiamo subito che uno di essi è all’origine dell’altro, parlo evidentemente del termine croce o, meglio, del segno della croce , sottostante alla realizzazione della medaglia. Proprio per questo si può affermare che le origini della riproduzione sono strettamente legate, in quanto vi si riportano,  alla vita di san Benedetto, ed in particolare agli episodi narrati da papa Gregorio Magno, in cui il santo abate operò dei veri prodigi col segno della croce. 

Questa innegabile dipendenza originaria mette subito in risalto l’errore di farla risalire al XVI o XVII secolo, come generalmente e in maniera superficiale, troviamo nei comuni mezzi di divulgazione, in quanto la raffigurazione della croce di san Benedetto risulta documentata già in epoca molto più antica.

 Pertanto, certe affermazioni circa la sua origine risalente a questi secoli o addirittura al XVIII secolo si riferiscono esclusivamente a determinati atti del papato che ne ufficializzano le diverse caratteristiche  nel corso dei secoli;  uno per tutti il breve di papa Benedetto XIV, di cui avremo modo di parlare, che ne ideò personalmente il disegno e che nel  1742 approvò la medaglia, inserendola nel rituale romano e  concedendo delle indulgenze anche plenarie, secondo la dottrina cattolico-romana sulle Indulgenze, da fruire più volte nel corso dell’anno da coloro che la portano con “giusta” fede. 
Come soventemente avviene, il Magistero interviene stimolato da movimenti o forze culturali che “spingono”, recependo qualcosa di già esistente. Infatti sono proprio le cronache dell’epoca che hanno determinato il “breve” del 1742 e ci fanno  comprendere che lo stesso è stato deciso a seguito delle pressanti esigenze devozionali ed anche in reazione alle critiche da parte di alcuni eruditi francesi dell’epoca, circa la lettura delle parole contenute nella medaglia.
Tutto ciò ci riporta ancora più indietro nel tempo e ci fa affermare che la devozione alla croce di San Benedetto ha conosciuto un fortissimo incremento da un fatto storico davvero particolare, un processo contro alcune streghe a Nattemberg in Baviera nel 1647.  Nel processo per stregoneria le incolpate rivelarono che la loro azione e il potere del maligno non conoscevano ostacoli, nessuna chiesa o luogo costituiva un vero impedimento, tranne l’abbazia benedettina di Metten, perché era protetta dal segno di croce. 
Incuriositi da quanto detto da queste donne, molti studiosi -in prima linea i benedettini- incominciarono  a fare ricerche negli archivi e nella biblioteca di Metten e trovarono alcuni dipinti raffiguranti  una croce contenente  le  iscrizioni che ancora oggi sono riportate nella croce di san Benedetto e che sono state approvate nel “breve” del 1742.
Questa scoperta diede un fortissimo impulso alla diffusione della croce, che venne  riprodotta in medaglie, nonostante non si comprendesse il significato delle lettere che vi erano incise. 
L’incertezza interpretativa venne superata grazie al ritrovamento nella stessa abbazia di Metten di un prezioso manoscritto risalente al 1414, in cui si dava l’esatta interpretazione delle lettere. 
Il manoscritto conteneva l’immagine di san Benedetto con attorno il significato delle parole abbreviate dalle lettere. All’origine di questo manoscritto un precedente manoscritto austriaco risalente al XIV secolo. Si tratta di ritrovamenti davvero importanti perché riportano indietro di almeno quattro secoli le origini della “croce”, anche rispetto alla Croce di San Benedetto collocata all’inizio della “Scala Santa” di Subiaco, che risale alla fine del XV secolo.
I miracoli che seguirono al ritrovamento del manoscritto furono di tale portata e così numerosi che a papa Benedetto XIV parve che fosse lo stesso san Benedetto a volere la diffusione della “croce” e così con il Breve del 12 marzo 1742, Coeleslibus Ecclesiae thesauris , rassicurò la fede dei devoti, e tolse via le incertezze poste in essere dai razionalisti di quel tempo.
Ma non ci fermiamo qui, infatti vediamo che ancora più indietro nel tempo la devozione e l’uso della croce di san Benedetto è presente intorno all’anno 1000. Sono tempi di grande risveglio religioso per l’Occidente monastico, è il momento delle grandi riforme all’interno del mondo benedettino,  che hanno cambiato il volto dell’Europa occidentale.
Infatti, si usciva dalla crisi millenarista e subito si entrava in altri critici e difficili momenti e la chiesa cattolica si appoggia totalmente e rinasce principalmente attorno alle grandi abbazie e ai nuovi fermenti del grande albero benedettino, che ne accompagnano l’arduo percorso storico e le assicurano la necessaria nuova vitalità. 
L’episodio che ci interessa riguarda il benedettino papa san Leone IX, cugino dell’imperatore di Germania Corrado II il Salico ed è stato riportato alla luce  da uno degli uomini più eruditi dell’Europa del XVII secolo, il benedettino dom J.Mabillon, monaco della Congregazione maurina francese (una vera fucina di benedettini dall’impareggiabile erudizione che rappresentavano la punta di diamante della cultura cattolica) e viene ripreso nel XIX secolo da un altro grande benedettino, l’abate G.Gueranger, padre della riforma liturgica cattolica con a centro l’abbazia di Solesmes.  
Stiamo parlando di uno dei papi più battaglieri che abbia conosciuto il cattolicesimo, che iniziò il suo pontificato con un atto davvero originale e unico nella storia della Chiesa romana. Designato alla sede romana dall’imperatore Enrico III, che si arrogava il diritto di nominare il papa, consigliato dal benedettino Ildebrando di Soana (futuro papa Gregorio VII)  dichiarò apertamente che non avrebbe ritenuta valida la sua elezione se non avesse avuto l’unanime consenso del clero e del popolo di Roma. Intraprese il viaggio verso Roma vestito da pellegrino a piedi scalzi, suscitando l’ammirazione dei romani che lo accompagnarono processionalmente in San Pietro  dove acclamato pontefice prese il nome di Leone IX.

Leone è il papa che superò l’eresia di Berengario, che negava la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, che affrontò i potentissimi normanni, comprendendo, a sue spese, l’importanza strategica e politica del loro ricco Sud Italia (che diventava fondamentale nella visione anti costantinopolitana che la curia romana andava maturando, preludio alla rottura con Costantinopoli e alla conquista cattolica/latina del Sud), il papa che subì anni di arresto, deportato dai normanni a Benevento e che ritornato a Roma in gravissime condizioni vi morì poco tempo dopo. 
Leone IX è anche il papa dello scontro con Costantinopoli, dove inviò nel 1054 la delegazione composta dal Cardinale arcivescovo di Palermo Umberto da Silvacandida (un arcivescovo che non ha mai messo piede a Palermo, perché i normanni non lo accettavano), dal cancelliere del papa, il futuro Abate di Montecassino Federico di Lorena, di origini tedesche (che divenne papa col nome di Stefano IX, subito dopo la morte di papa Vittore II, e che scelse il motto “Ipse est pax nostra” tratto dalla Lettera dell’Apostolo Paolo agli Efesini, un segno di speranza nel dolore della divisione tra Roma e Costantinopoli, molto vivo in Federico. Questo il suo messaggio: In Cristo i fratelli lontani sono stati avvicinati per il Suo sangue.  Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace. Ma Stefano IX non riuscì a ricomporre la frattura per la prematura morte ) e Pietro di Amalfi. 
La delegazione, intenzionata a risolvere i problemi insorti già da tempo e che toccavano anche spinose questioni teologiche(tra le quali la modifica del Filioque operata dall’Occidente) impiegò un intero mese per arrivare a Costantinopoli e nel frattempo le condizioni di salute di Leone IX si aggravarono ed egli morì senza conoscere l’esito dell’ambasciata. 
La delegazione, che molto inopportunamente, portava con sé l’atto il preconfezionato atto di scomunica, in previsione del mancato accordo, venne ricevuta con ogni onore dall’imperatore romano d’oriente, ma non ebbe fortuna davanti al patriarca Michele Cerulario, al quale Roma tra le altre cose contestava persino l’antico titolo di Patriarca ecumenico e al fermo rifiuto del patriarca di ricevere la delegazione latina, il 16 luglio 1054, il cardinale Umberto depositò sull'altare di Santa Sofia la bolla di scomunica di Cerulario e dei suoi sostenitori. 
Il 24 luglio Cerulario rispose in modo analogo, scomunicando Umberto di Silvacandida e gli altri legati papali. Al momento delle reciproche scomuniche, come già accennato, papa Leone era già morto a Roma e pertanto, l'autorità del Cardinale Umberto, legato pontificio, era di fatto venuta meno. Tuttavia le due Chiese rimasero ferme nella separazione. 
Certamente una separazione maturatasi per una serie di diversi interessi che spaziano da quelli più squisitamente politici e di supremazia territoriale a quelli di natura teologica e che affonda le sue radici già nel Concilio di Calcedonia.
In effetti il 1054 segna una rottura che oggi gli storici tendono a definire convenzionale, in quanto la scomunica depositata da Umberto da Silvacandida giuridicamente è da ritenersi decaduta e peraltro le scomuniche erano di natura personale e non coinvolgevano le comunità, tanto è vero che la stessa delegazione romana si rivolge all’imperatore romano ritenendolo estraneo alla scomunica stessa. Inoltre tra Occidente ed Oriente le relazioni continuarono, per un certo tempo, come se nulla fosse accaduto (inclusa la vita liturgica di chiese e comunità latine a Costantinopoli).
A riprova di ciò, .basti vedere l’aspirazione di ricucire lo strappo manifestata da papa Stefano IX ed anche la consacrazione della chiesa abbaziale di Montecassino, apogeo dell’era desideriana.  Infatti la nuova basilica realizzata per volontà del grande abate Desiderio, futuro papa Vittore III e consacrata dallo stesso abate, (presente papa Gregorio VII, il benedettino Ildebrando di Soana già attivissimo ai tempi di Leone IX, famoso per l’episodio di Canossa), mostrava il suo splendido volto, a iniziare dal portale con formelle lavorate a Costantinopoli e giunte a Monteccassino per volontà dell’abate Desiderio  dopo la separazione tra Oriente ed Occidente.    
Ma tutto ciò al momento non ci interessa più di tanto, pertanto, tornando a quanto ci riguarda più direttamente, vediamo che quello che un giorno sarebbe diventato papa Leone IX, di nome Brunone, quando era ragazzo recatosi un giorno a visitare i propri genitori nel castello di Eginsheim, mentre dormiva fu morso al viso da un velenoso rospo. A nulla servirono le migliori cure del tempo e il giovane era giunto all’ultimo momento della sua vita, quando perfettamente sveglio e lucido, vede una scala luminosa che dal cielo terminava ai piedi del suo letto. Da essa discendeva verso di lui un monaco venerando che teneva sulla mano destra un lungo bastone con sopra una croce. Il venerando monaco giunto presso Brunone lo tocca con la croce. Immediatamente attraverso una ferita apertasi vicino all’orecchio esce fuori il veleno e Brunone è salvo. Brunone rimasto senza parole riconosce in quel monaco san Benedetto.
La notizia della miracolosa guarigione si diffonde e cresce il culto della croce di San Benedetto.
Molto opportunamente l’abate Gueranger ha osservato che se Brunone ha potuto riconoscere in quel monaco lo stesso san Benedetto, questo è prova del fatto che già da allora l’immagine di san Benedetto era associata alla croce.
Cosa molto vicina del resto ai miracoli tramandatici da papa san Gregorio,, che ci racconta gli episodi in cui col solo segno della croce san Benedetto sconfisse il maligno. Quindi San Benedetto opera con Brunone come nei dialoghi con la croce, prolungando nel tempo il segno inconfondibile della sua effettiva presenza.
L’episodio della croce è indirettamente confermato da una successiva lettera di papa Gregorio VII in cui intervenendo in una questione sorta tra parenti di Leone IX per la protezione del monastero delle monache benedettine di Wosencheimense vicino ad Eginiskein, loro feudo, il pontefice narra, ch’esso fu fondato da S. Leone IX nella terra sua ereditaria in onore della Santa Croce, il riferimento allìepisodio della croce imposta a Brunone è chiaro e inconfutabile.
Nel ripercorrerne il percorso storico colpisce il fatto che nei secoli successivi all’anno 1000, la diffusione della medaglia sembra di fatto limitata ad alcune abbazie e ai loro vasti territori che, peraltro, contrariamente alla caratteristica dei monaci di custodire e tramandare le vicende e le opere del passato, in questo caso non sembrano interessati a conservarne la memoria. Infatti solo nel XVII secolo il suo uso si diffonde pienamente. 
Ma le origini della croce di san Benedetto affondano ancora di più nel tempo e risalgono e non solo idealmente, allo stesso san Benedetto.
A riguardo, molto affascinanti sono i successivi studi sulle origini della medaglia, fatti soprattutto in ambienti benedettini. Di questi voglio ricordare soltanto la suggestiva lettura fatta dal benedettino abate di San Paolo fuori le mura, poi cardinale di Milano, Ildefonso Schuster. 
Schuster in un breve lavoro, tuttavia davvero rilevante, sulla scia di altri grandi studiosi monastici, intravvede nello stesso san Benedetto, o quanto meno riporta ai suoi tempi, l’origine dell’uso della croce con le lettere incise a noi note. Davvero suggestivo è il raffronto con quelle di una croce ritrovata nel cimitero romano di Ciriaco nell’Agro Verano, risalente all’epoca di san Benedetto e del suo soggiorno romano.
Schuster ci parla del ritrovamento nel sepolcro di un illustre personaggio, probabilmente un vescovo (da parte di Pio IX, che la raccolse con le sue mani), di una croce d'oro, sulla quale vi è la scritta: CRVX EST VITA MIHI MORS INIMICE TIBI (  si tratta di un vero esorcismo in poche lettere).
Ciò attesta senza dubbio che la modalità di incidere una croce con lettere era già conosciuta ai tempi di san Benedetto e pertanto  nota allo stesso santo, ma in ogni caso la croce del cimitero di Ciriaco rappresenta un modello parallelo, ispiratore della medaglia.  
La croce contiene una vera invocazione, tracciata con le lettere disposte in modo da incrociarsi e formare il segno della croce, quindi un modo simile a quello della medaglia
CRUX EST VITA MIHI –MORS INIMICE TIBI (LA CROCE CHE A ME è VITA SIA A TE MORTE O NEMICO)

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