Dio e l'Uomo nell'ordine naturale divino (Giovanni Eriugena)

 Giovanni Scoto Eriugena, noto teologo di origini irlandesi del IX secolo durante la Rinascenza carolingia, compose alla corte carolingia un grande trattato noto come Divisionae Natuarae, nel quale affronta la teologia cristiana strutturandola come un dialogo fra un discepolo e un maestro. Dopo aver analizzato la natura e le sue forme dal punto di vista scientifico e filosofico, passa al rapporto fra Uomo e Dio, spiegando come l'Uomo è caduto dal suo stato di grazia originale, nel quale aveva un preciso ordine cosmico


A quanto ci è dato comprendere, l'Uomo è stato creato fra le cause primordiali ad immagine di Dio, e questo perché in lui ogni cosa intelligibile e sensibile - dalle quali è composto come da diverse estremità - divenisse una cosa sola e inseparabile e fosse il punto di mezzo e la riunificazione di tutte le creature. Infatti non v'è alcuna creatura che non possa essere compresa dall'Uomo, e per questo nella Scrittura viene anche chiamato "intera creazione". Nel Vangelo è scritto: predicate il Vangelo ad ogni creatura. Con il medesimo senso l'Apostolo dice: l'intera Creazione soffre e geme fino ad oggi. E se non avesse peccato, non ci sarebbe in esso la divisione dei sessi, ma sarebbe semplicemente creatura umana; non sarebbero divisi il Paradiso e il mondo, e tutta la sua natura terrena sarebbe paradiso, ovvero vita spirituale; esisterebbe e si moltiplicherebbe secondo numero determinato dal Creatore, così come si sono moltiplicati gli Angeli. Nell'Uomo la natura sensibile non differirebbe in alcun modo da quella dell'intelletto, e sarebbe completamente unito al suo Creatore in modo immutabile e non si separerebbe mai dalle cause primordiali per le quali fu creato. Ma poiché l'essere umano disprezzò tale felice condizione e a causa di questa superbia l'Uomo si separò in infinite divisioni e varietà, e la clemenza divina dispose la sua discesa nel mondo di un Uomo nuovo, nel quale la natura primordiale fosse chiamata alla sua unità originaria (il Cristo, n.d.r.). 

Dice san Massimo il Confessore: poiché dunque appena creato l'uomo non si mosse attorno al proprio immutabile principio, cioè Iddio, ma si mosse attorno ad enti i quali sono al di sotto di lui, verso i quali Dio aveva disposto che l'Uomo avesse una preminenza e un comando, ma questi abusò del potere contro la natura... [...]

Occorre ricordare che il Signore Gesù Cristo, con la sua resurrezione, unificò se stesso col mondo e il mondo col Paradiso. Infatti dimostrò come il Paradiso non è altro che la gloria della Resurrezione, e dimostrò la terra è inseparabile dai Cieli. Il Paradiso non si distingue dalla Terra per spazi o per grandezza, ma per la diversità del modo di soggiornarvi e la beatitudine. Infatti il primo uomo, se non avesse peccato, avrebbe felicemente vissuto sulla Terra, poiché uno solo è il fondamento della terra e del paradiso nelle cause primordiali, cosa che il Signore manifestò in modo evidentissimo dopo la Resurrezione: contemporaneamente infatti si trovava negli Ecclesi e sulla terra, conversando coi discepoli. 

Non bisogna credere che la divina Clemenza del Creatore abbia spinto in questo mondo l'uomo peccatore con una vendetta o mosso da sdegno, ma secondo la sua sapienza ineffabile e un disegno di redenzione, affinché l'Uomo, correttosi nella penitenza e obbedendo ai precetti divini che per superbia aveva rigettato all'inizio, non vi cadesse di nuovo. 

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TRATTO DA

Eriugena Giovanni, Divisionae Naturae, libro II, 535A-540C, pagg. 431-443, ed. Bompiani  anno 2013

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