La Glossolalia e la Chiesa Ortodossa

Nel mondo protestante e specialmente neo-protestante, in particolare presso gli Evangelici e i Pentecostali, la glossolalia (il "parlare in lingue") è diventata una cosa fondamentale nelle loro assemblee, tant'è che i neo-protestanti dichiarano di essere i veri cristiani perché continuano - o riprendono - l'antico dono delle lingue che fu dato alla Chiesa Apostolica. Ma come vede l'Ortodossia il fenomeno della glossolalia?


E vennero su di loro come lingue di fuoco (Atti 2:3)

Dagli Atti degli Apostoli veniamo subito a conoscenza di un dono straordinario dato dallo Spirito Santo ai discepoli di Cristo: 

 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? [Atti 2:1-8]

Tuttavia spesso i protestanti non pensano che questo dono fosse un evento momentaneo e specifico per quel momento, come riteniamo noi ortodossi, ovvero che  il potere di parlare qualsiasi lingua umana ed essere compresi fosse per i fini missionari del collegio apostolico. Tant'è che, a differenza della glossolalia pentecostale, le lingue erano specifici idiomi parlati dai presenti, e non linguaggi incomprensibili. Alcuni fra i presenti tuttavia non comprendevano le lingue straniere e si domandavano se gli apostoli fossero per caso ubriachi. Sicuramente erano gli abitanti della zona, che parlavano solo aramaico, e infatti san Pietro deve difendere gli apostoli dicendo l'ovvio: è l'ora terza del giorno, come possiamo noi essere ubriachi? E cita poi la profezia del profeta Gioele. Mentre i Gentili giudaizzati erano evangelizzati dagli altri apostoli nelle loro lingue, san Pietro affronta gli ebrei nel loro linguaggio, e come si evince dal capitolo degli Atti, riesce a battezzarli. 

Il problema della comprensione della profezia basata sul "parlare in lingue" fu presto affrontato dall'Apostolo Paolo quando a Corinto, nella comunità da poco formata, si presentò il fenomeno della glossolalia. Nella prima lettera ai Corinzi, l'apostolo scrive: 

Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito;  vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.  E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune:  a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza;  a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito;  a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue.  Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.  [1Corinzi 12:4-11.]

La glossolalia dei Corinzi è molto diversa dalla glossolalia apostolica avvenuta a Pentecoste. Entrambe erano una azione della grazia dello Spirito Santo, ma mentre la glossolalia di Pentecoste era comprensibile, quella corinzia no. La glossolalia corinzia era un complesso sistema di parole, frasi, espressioni mandate da Dio al profeta della chiesa, ma che egli non poteva comprendere e poteva solamente ripetere: si trovava in uno stato estatico che rendeva la sua anima ricettiva, ma passiva nell'espletazione del suo carisma. San Paolo non combatte la glossolalia, ma non ne esalta la necessità: insegna ai suoi fedeli in Corinto che non devono bandire coloro che ne sono preclusi, non deve diventare un idolo, in quanto è solo uno strumento per l'evangelizzazione, un carisma. Può esserci o no, questo non ci fa meno cristiani. 

Ma perché la glossolalia si manifestò così prepotentemente a Corinto e non nelle altre Chiese d'età apostolica? Occorre sapere che, al tempo, la città di Corinto era dedicata al dio Dioniso e quindi la comunità di convertiti era per forza di cose influenzata dal background culturale nel quale erano cresciuti. Oltre ai conosciuti riti orgiastici, il culto di Dioniso (Bacco) comprendeva anche rituali pubblici di carattere estatico. I greci pagani credevano che il corpo fosse la prigione dello spirito e quindi l'estasi dovrebbe portare alla fuoriuscita dal corpo e alla comunione con le divinità. Spesso, quando i sacerdoti o i fedeli pagani si trovavano dinnanzi ad uno dei loro idoli, compivano rituali in modo tale da ottenere uno stato di eccitazione corporea, movimenti sconclusionati, urla, e infine un tremore complessivo del corpo. Questo stato ci ricorda un po' i demonizzati che leggiamo nella Scrittura e dei quali facciamo esperienza quando li incontriamo in chiesa per la pratica degli esorcismi (se qualcuno ha visitato un monastero ortodosso che si occupa di esorcismi, sa di cosa parliamo). Questo perché - citando a memoria san Giustino il Filosofo - gli idoli pagani sono demoni, i pagani che veneravano questi idoli ottenevano un effetto estatico simile. Quando san Paolo giunse a Corinto e convertì i primi pagani, questi ultimi vivevano ancora secondo i codici religiosi dei culti dionisiaci. E' naturale e ragionevole ritenere che i primi cristiani trovassero questo modo di comportarsi confacente alla religiosità e avessero confuso la glossolalia con alcuni lasciti dei loro precedenti culti. San Paolo infatti dice alla comunità: 

Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa ... chi profetizza non è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, perché la chiesa ne riceva edificazione. Dunque, fratelli, se io venissi a voi parlando in altre lingue, che vi servirebbe se la mia parola non vi recasse qualche rivelazione, o qualche conoscenza, o qualche profezia, o qualche insegnamento? [1Cor 14:4-6]

"Edificare se stessi" in questo caso è un modo elegante di indicare la superbia, di indicare chi, tronfio del proprio dono, non lo condivide con gli altri, ma si arrocca nella sua presunta spiritualità. E questo, ovviamente, non è cristiano. San Paolo chiede a chi possiede questo dono di renderlo comprensibile, affinché porti frutto. E del resto, come dice il Signore, i veri cristiani si riconoscono dai frutti che portano (cfr. Mt 7:16) e quindi un vero cristiano non può profetizzare o parlare contro la dottrina della Chiesa.  San Paolo sembra demolire addirittura la glossolalia sconclusionata dei corinzi, quando nella stessa epistola continua dicendo: 

Così anche voi, se con la lingua non proferite un discorso comprensibile, come si capirà quello che dite? Parlerete al vento. Ci sono nel mondo non so quante specie di linguaggi e nessun linguaggio è senza significato.  Se quindi non comprendo il significato del linguaggio sarò uno straniero per chi parla, e chi parla sarà uno straniero per me. Così anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di abbondarne per l'edificazione della chiesa. (...)  nella chiesa preferisco dire cinque parole comprensibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua. [1Cor 14:9-12 ; 19]

San Paolo ribadisce più volte l'assurdità della glossolalia priva di significato, mentre conclude il suo sermone dicendo: perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace. (1Cor. 14:33). Questo ci porta a dover riflettere su un fatto in particolare: la glossolalia è utile? Dio non fa nulla che non abbia un senso. La glossolalia è stato un momento specifico della Storia della Chiesa degli albori, quando servivano segni per i pagani e per i giudei affinché credessero nel potere dello Spirito Santo e si convertissero. Esaurito quel bisogno contingente, Dio ha trovato altri carismi per sostituire la glossolalia. E infatti non si è più ripresentata nella vita della Chiesa, nemmeno ai santi. San Paolo, con la lettera ai Galati, ci istruisce sui frutti veri dello Spirito Santo nella nostra vita:  Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo. (Galati 5:22) Il dono della glossolalia, concentrato su numeri esigui, non è un frutto specifico della vita spirituale, ma un carisma temporaneo, dono di pochi e transeunte (cfr. 1Cor. 12:10).  Non possiamo dunque considerare la glossolalia una presenza indispensabile fra i carismi della Chiesa nel tempo. La Chiesa Ortodossa non nega la possibilità di ricevere questo dono, ma semplicemente non lo annovera fra i carismi dello Spirito Santo nella vita quotidiana del cristiano. La glossolalia sparì dopo la morte degli Apostoli, mentre fu reclamata da eretici gnostici e dai Montanisti nel II secolo dopo Cristo. I Cristiani, generalmente, guardavano a questi fenomeni come non conformi alla vita spirituale. Quando l'eresia gnostica scomparve - o meglio, si nascose - non si sentì parlare di glossolalia se non in alcune frange estreme dell'eresia catara e bogomila, che sono appunto scuole gnostiche. Dal 1900, con la creazione della "Chiesa Pentecostale", abbiamo un vero e proprio revival del fenomeno, con milioni di praticanti in tutto il mondo dagli anni 60 del Novecento. 

L'accettazione supina della "lingua celeste" urlata dai pentecostali, incomprensibile, non è la stessa accettazione del dono glossolalico dei corinzi. I secondi, infatti, dovevano poi ricevere un interprete per l'edificazione della comunità (cfr. 1Cor. 14:22-30) mentre i pentecostali dichiarano che le lingue incomprensibili non devono essere tradotte, perché non serve. Secondo i pentecostali, la manifestazione dello Spirito non deve per forza avere una traduzione. E questa è esattamente la negazione del principio biblico espresso dall'Apostolo Paolo. I carismatici di oggi sono delusi dal battesimo tradizionale e dichiarano che il battesimo nello Spirito è "un'altra cosa". Ma san Paolo ancora una volta nega questa visione della vita spirituale dicendo: un solo battesimo, una sola fede, un solo Dio (Efesini 4:5). Nell'esperienza della Chiesa primitiva, san Pietro battezza nell'acqua coloro che già avevano ricevuto lo Spirito Santo (cfr. Atti 11:1-17) in quanto non si può negare la forma che Cristo Dio ha dato alla Chiesa per l'illuminazione e l'ingresso dei non cristiani nel corpo mistico della Chiesa. Il battesimo nel fuoco (Luca 3:16) non è altro che il Battesimo della Chiesa, che si compie con la discesa dello Spirito Santo (Mt 3:11, Atti 1:5), non il battesimo solamente tramite acqua come quello di Giovanni, ma il battesimo in acqua e spirito (Giovanni 3:5). Il Cristo stesso ha insegnato che il battesimo, l'immersione, è necessario per entrare nella Chiesa: andate e battezzate tutte le genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Matteo 28:19). Dopo il battesimo nell'acqua, tramite l'imposizione delle mani, gli Apostoli passarono il dono dello Spirito Santo ai presenti (cfr. Atti 8:17). E questo potere di passare lo Spirito Santo fu dato dai santi Apostoli ai loro successori, che noi chiamiamo vescovi, i quali possono a loro volta darlo come dono ad altri che sono i sacerdoti, i quali compiono le loro veci. 

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