A che ora la Pasqua? Riflessioni storico-liturgiche sulla Sinassi Pasquale nella cultura ortodossa

 Chi si interessa di liturgica si è sempre fatto questa domanda: a che ora celebrare la Pasqua? La domenica mattina, alla notte fra sabato e domenica, al primo albeggiare della domenica? Come percepivano gli antichi gli orari liturgici? 


Iniziamo col dire che l'ufficiatura della Settimana Santa e della Pasqua si è uniformizzata nel mondo ortodosso solo dopo il XIII secolo. Prima di quel periodo storico, era avvenuta nei secoli precedenti una grande proliferazione di prassi differenti. Non solo possiamo individuare due differenti rituali pasquali nel Rito Monastico e nel Rito Cattedrale, ma anche all'interno di questi macro-gruppi possiamo distinguere diversi Typika che vengono preferiti ora in un secolo, ora in un altro. 

Mentre in Occidente si sviluppa ben presto la nozione di Triduo Pasquale, che comprende le funzioni degli ultimi giorni della Settimana Santa e la Pasqua, in Oriente la distinzione rituale è più puntigliosa, mantenendo il Giovedì e il Venerdì Santo nel netto della Passione, mentre si confonde un po' fra quel che è il Sabato Santo e la Santa Pasqua. Tant'è che nei Tipici più antichi, la "vera" Pasqua era la funzione Vesperale del Sabato Santo e la domenica era già chiamata "prima di Pasqua", col risultato che la Domenica di Tommaso è la "seconda dopo Pasqua", la Domenica delle Mirofore è la terza dopo Pasqua, e così via. 

La Liturgia del Sabato Santo, celebrata immediatamente dopo i Vespri pasquali (da non confondere coi vespri della domenica sera, che sono quelli del Lunedì Luminoso!), era in antichità il principale momento dell'anno: venivano battezzati i catecumeni durante la lettura delle 15 lezioni vetero-testamentarie del Vespro e per questo si osserva la presenza dell'Apostolo, dell'Evangelo e dell'esortazione "quanti in Cristo vi siete battezzati in Cristo vi siete rivestititi, Alleluia" alla sinassi liturgica, forse in un tentativo storico di preservare la memoria del battessimo collettivo della Chiesa; infatti dal IX secolo in poi si può dire che l'esperienza dei battesimi di massa degli adulti - con accezione delle terre di missione - è ufficialmente conclusa. Tuttavia, un millennio di pratica liturgica non è ancora bastato a riformulare o comprendere questi rituali in un modo più pratico. E' vero che ormai molti leggono solo 3 delle paremie offerte dal Tipico, ma l'accento si è spostato su una considerazione diversa dell'esperienza liturgica di queste letture: il clero tende a far intendere queste paremie come una sorta di "pentimento" e di esperienza catartica collettiva, una sorta di "memoria del proprio battesimo".  La liturgia, in questo, non ha ancora trovato una via convincente né per modificare il Tipico, né per abbandonare le vecchie pratiche - sentite come troppo fondamentali - né per proporre una soluzione alternativa. 

Detto questo, la nozione di giorno e notte cambia molto in ogni cultura e in ogni esperienza collettiva. Al tempo in cui furono compilati gli uffici, non esisteva l'orologio analitico e la misurazione dipendeva dal sole. Quindi, non solo da luogo a luogo cambiava notevolmente, ma anche in base alla stagione. Un vespro non aveva una ora fissa, ma si basava sul tramonto del sole. D'estate si celebrava sicuramente alle nostre 18.00 o anche alle 19.00, mentre d'inverno sicuramente alle 15.00. La nozione di "giorno astronomico", ovvero quella convenzionale di oggi, è un vero disastro per il culto, perché fa intendere degli orari che non sono affatto utili né per la tempistica del Tipico, né per la veritas horarum degli eventi che la liturgia intende commemorare. Detto questo, vediamo di capire come le ore "astronomiche" si dovrebbero adattare agli orari "tradizionali" secondo il Tipico di oggi, che si basa su quello stampato a Venezia nel 1577. 

Secondo il Tipico "di san Sava" la Veglia delle Mirofore (Il Canto delle Lamentazioni) andrebbe celebrata alla settima ora della notte fra venerdì e sabato - ovvero verso le 1-2 di notte secondo i nostri sistemi attuali. Già nel passato, tuttavia, per le parrocchie era prevista una pratica di anticipazione alla ora undicesima-dodicesima del venerdì (ovvero, le nostre 6-7 di sera). Questa prassi, pensata per la partecipazione dei laici al culto, è poi entrata in vigore ovunque e ha prodotto le altre "anticipazioni".  Secondo il Tipico del 1577, a qualche ora dalla Veglia - per far riposare i monaci - si leggono le Ore piccole e i Salmi Tipici, senza mangiare. Questo è l'unico Sabato dell'anno nel quale si digiuna secondo i Canoni 64 Apostolici e 55 di Trullo. Alla ora nona del giorno (ovvero alle 3 del pomeriggio di oggi) si celebra il Vespro pasquale con la Liturgia di san Basilio (la "prima Pasqua" erroneamente chiamata oggi). E' importante notare come al giorno d'oggi, la Luce Santa a Gerusalemme scende ancora mantenendo l'antico orario, a dispetto delle anticipazioni che vedono la Liturgia fatta al mattino del Sabato Santo e non alla sera. Secondo il Tipico "vecchio", i monaci dopo la Liturgia possono mangiare pane e vino. Alla quinta ora della notte (23.00 di oggi) si prevede il notturno pasquale, seguito a ruota dal mattutino e dalla liturgia di san Giovanni Crisostomo. 

Ora, al giorno d'oggi occorre subito pensare che non si può imporre una pratica monastica ad una parrocchia che ha ritmi molto diversi. Tuttavia, la Chiesa Ortodossa ha un po' mancato il bersaglio riguardo l'adattamento parrocchiale, con risultati un po' sgradevoli. Spesso, per il gioco delle anticipazioni, il vespro pasquale viene fatto di prima mattina e seguito dalla liturgia di san Basilio, che mantiene la benedizione del pane e del vino (che in linea teorica non ha senso, perché è un sostituto del pasto del mezzogiorno). Dal punto di vista tipiconale è utile ricordare che la liturgia di san Basilio era la norma per tutte le domeniche e le feste fino al X secolo, quindi di fatto si conferma l'ufficio vesperale come il "cuore" della Pasqua; la liturgia di s. Giovanni Crisostomo, più leggera, doveva essere stata concepita come un "post-festa" che andava sulla domenica. Visto che poi nella coscienza popolare il vespro della domenica sera è chiamato "seconda resurrezione" conferma il fatto che il "primo vespro", quello del sabato, è la festa! E infatti il mattutino e la liturgia domenicali non sono preceduti da un altro vespro. Questo sembra andare contro l'idea del "una sola liturgia al giorno". In realtà questo è un concetto moderno. Oramai la coscienza collettiva percepisce l'ufficio notturno come "la vera Pasqua" a causa di una solennità più gioiosa e meno penitenziale. 

Se vogliamo fare un piccolo passo indietro, fino al IV-V secolo non abbiamo fonti certe di come si celebrasse la liturgia pasquale. E' interessante la testimonianza della pellegrina Egeria che scrive: la Pasqua qui a Gerusalemme la si fa come da noi [in Gallia], solo che qui aggiungono alcune cose come le seguenti... [cfr. Itinerarium, § 38]. Egeria descrive la solenne liturgia del Sabato Santo col battesimo dei catecumeni alla chiesa detta Martyrum, con il vescovo che celebra la divina liturgia e poi si sposta, a sera, alla chiesa della Resurrezione "per onorare il Santo Sepolcro" celebrando una liturgia più corta. Al mattino della domenica, una solenne liturgia viene celebrata di nuovo al Santo Sepolcro ma senza la partecipazione del vescovo di Gerusalemme, "stanco delle fatiche notturne". Alla sera, si celebrava un vespro con processione fino a Eleon, celebrato dal patriarca. Alcuni testi del VIII secolo suggeriscono che a Gerusalemme si celebrasse, per il Sabato Santo e la domenica di Pasqua, la liturgia di san Giacomo. Per quanto riguarda Costantinopoli non abbiamo fonti di quel periodo se non delle omelie, ovvero l'omelia XXVII di san Proclo patriarca (+446) e "Discorso sull'Eucarestia e la santa Pasqua" di san Eutichio (+582), sempre patriarca di Costantinopoli. In questi testi si evince che il modello liturgico fosse quello gerosolimitano. 

Dal X secolo i lezionari parrocchiali come il Tipico di Santa Sofia vedono la Liturgia del Sabato Sera come la liturgia pasquale principale, mentre i tipici monastici (Studion del 1034, aghiorita georgiano del 1042, il Tipico Everghetinos) iniziano già a identificare l'ufficio notturno come "pasquale". Dal X al XIII secolo, con la monachizzazione del Tipico, i testi iniziano a chiamare "pasquale" la liturgia notturna, ma mantengono la nozione antica del Sabato Santo. 

Con le edizioni rinascimentali dei libri liturgici, si è definito il Sabato Santo come ancora facente parte del Triodio, mentre i servizi notturni di Pasqua già come Pentecostario: forse una influenza romano-cattolica col "Triduo di Passione" (Giovedì, Venerdì e Sabato) in luogo del più antico "Triduo Pasquale" (Venerdì, Sabato e Domenica). Dal XI secolo la Pasqua scavalca la tradizionale festività con ottava (la "Settimana Luminosa) e arriva ad avere una speciale apodosi di 39 giorni.  

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NOTE

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