La Ventesima Domenica dopo Pentecoste - "La resurrezione del figlio della vedova di Nain"

 Siamo giunti alla ventesima domenica di Pentecoste, il cui evangelo Luca 7,11-16 narra della vedova di Nain e di suo figlio, risorto per opera del Salvatore nostro Gesù Cristo.

 In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla.  Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: Giovinetto, dico a te, alzati! Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo. [Luca 7,11-16]


Il Signore è all'inizio della sua vita di predicazione: ha pronunciato il "Discorso della Montagna", la sua prima parola agli uomini, in cui mostra loro la legge nuova, la scala spirituale attraverso i cui otto gradini si raggiunge la perfezione e il Regno della Paradiso. Non appena portò la Buona Novella attraverso la Sua Parola, il Verbo di Dio iniziò la sua opera di guarigione, (cioè i suoi miracoli) per mostrare la potenza divina che abita in Lui e per rafforzare la sua Parola.

Uno dei suoi primi miracoli è proprio la resurrezione del fanciullo, figlio della vedova della cittadella di Nain. Nain significa "felicità" in ebraico. Davanti alle porte di questa "città della felicità", non casualmente, si incontrano due cortei, due folle, entrambe con a capo un giovane: il corteo di Cristo e quello di un giovane morto. Queste due “processioni”  vanno in direzioni opposte: una verso la vita e l'altra verso la morte.  Cristo, che ha circa 30 anni e che è quindi un giovane nel pieno degli anni, guida coloro che vogliono seguirlo (i suoi discepoli e la folla di coloro che hanno ascoltato il Discorso della Montagna) alla felicità eterna, alla cielo che si apre nuovamente all’uomo, il Regno di Dio. La città di Nain si trova sul fianco della montagna ove Cristo ha predicato poc'anzi. Ed ecco una vedova che piange il suo figlio defunto nell'adolescenza, circondata dalle prefiche e dai parenti e amici del defunto. Il metropolita Jean Kovalevski di Saint Denis (ECOF, +1970)  ha voluto vedere in questa immagine l'Eva dell'Eden che, vedova dal marito della sua anima (Dio), piange ora la sua immortalità perduta e la sua caduta. L'umanità, nella vedova, incontra il Cristo discendente dalla vetta della montagna, che simboleggia gli Eccelsi, il Cristo che si è incarnato ed è sceso nelle nostre città, nella realtà della nostra esistenza, per incontrarci e guarirci, e per resuscitare la nostra anima defunta a causa del peccato.  (Jean Kovalevski, Homélies, pubblicato anche sul periodico Présence orthodoxe, 1971, pp. 74-77). 

Emozionante l'incontro tra i due cortei. Qui il simbolo è in piena armonia con la realtà storica. Questo evento, infatti, è storico: Cristo è realmente presente e risusciterà davvero il giovane: tutti i presenti hanno un nome ed sono realmente esistiti. Ma allo stesso tempo questa scena rappresenta simbolicamente la caduta dell'uomo e la sua resurrezione ad opera di Cristo.

Il Vangelo ci mostra un miracolo: vedendo il dolore di questa vedova, che perdeva tutto, il Signore ha avuto pietà di lei. Misericordia - compassione - significa soffrire con qualcuno, cioè sopportare la sua sofferenza, alleviarlo. Un'emozione è un sentimento che si esprime fisicamente, cioè viene vissuto corporalmente, permettendoci così di entrare in comunione con i Prossimi. Nell'antichità la donna era prima soggetta al padre, poi al marito e infine, se lo perdeva, al figlio (se aveva un figlio). Una vedova che perdeva il figlio non era niente, non aveva posto nella società. Cristo ha pietà di lei: le sue lacrime gli toccano il cuore. Allora il Signore consola la vedova: "Non piangere più". Che conforto quando una prova ci fa piangere e un amico ci dice: "Smettete di piangere"! Vediamo già l'alba di un rinnovamento: sentiamo che si sta manifestando la luce della speranza. La prima parola di Cristo è sempre confortante, rassicurante e utile, in ogni circostanza. I due cortei avrebbero dovuto incrociarsi senza fermarsi. Ma in realtà l'incontro avviene davvero. 

La mano di Dio che tutto ha costruito tocca la morte per trasformarla in vita. Cristo cambia il corso irreversibile della storia: attraverso la sua Incarnazione, Egli arresta la vertiginosa discesa dell'umanità nel nulla, la discesa agli inferi.La Vita tocca il corpo esanime di un giovanotto, e il Verbo del Padre, tramite il quale furono formati i Cieli, la Terra e tutto l'universo, comanda al morto di tornare in vita.

Ma questa meravigliosa storia non si ferma qui. Il Vangelo aggiunge una frase che può sembrare insignificante, ma che ha un significato teologico speciale: «Gesù lo diede a sua madre». Cristo dona ad Eva l'umanità che ella aveva concepito fino alla morte: risuscita Eva. Per questo il personaggio della vedova può simboleggiare anche la Chiesa, come dice sant'Ambrogio di Milano [in Chrétiennes n° 45 bis, p. 214-215].

Le due processioni sono ormai una sola: sono tutte unite, accomunate da Cristo che le guida alla felicità eterna, alla vita divina. Tutto il popolo si meravigliava, perché «un grande profeta sorse in mezzo a noi e Dio esaminò il suo popolo».


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