La Ventitreesima Domenica dopo Pentecoste - "del crapulone e del povero Lazzaro"

 Siamo giunti alla ventitreesima domenica di Pentecoste, dedicata al ricco crapulone e al povero Lazzaro. Si legge l'Evangelo secondo Luca 16:19-31.

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.   Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.  Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre,  perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi. [Luca 16,19-31].



Dal Vangelo apprendiamo che Lazzaro non solo era povero, «volendosi saziare di ciò che cadeva dalla tavola del ricco», ma anche malato, era «pieno di foruncoli», e i cani «gli leccavano i foruncoli». Ma né la povertà né la sofferenza causata dalla malattia lo portarono a ribellarsi a Dio o a odiare i suoi simili. Non invidiava il ricco. Dal Vangelo apprendiamo che «fu portato dagli angeli nel seno di Abramo», ma non perché fosse povero o malato, bensì perché sopportò con pazienza sia la povertà che la malattia. Il ricco viveva con noncuranza nei confronti di chi lo circondava, rallegrandosi "ogni giorno". Indossava abiti costosi e viveva come ospite tutto il giorno. Ma non è finito all'inferno nemmeno perché era ricco, ma a causa della sua indifferenza verso chi lo circondava. Non fu la ricchezza a privarlo del regno di Dio, ma il suo cuore si indurì. Anche il fatto che non abbia fatto il bene che poteva fare è espressione del male. Invano l'uomo dice di non aver fatto del male a nessuno, se non fa il bene che è in suo potere di farlo. Non dimentichiamo che dove non c’è il bene subentra il male.

Se siamo poveri, non portiamo rancore ai ricchi, perché allora la nostra caduta potrebbe essere maggiore di quella dei ricchi senza carità. Tutte le fatiche della vita ci sono consentite non per cadere, ma per elevarci, per raggiungere la somiglianza di Dio.

Se siamo ricchi materialmente, cerchiamo di esserlo spiritualmente, altrimenti la ricchezza dominerà il nostro cuore e ne diventeremo schiavi.

Purtroppo questo è anche l’ideale della civiltà in cui viviamo, che celebra i ricchi. In un modo o nell'altro, siamo tutti come l'uomo ricco del Vangelo di oggi, tentati di accontentarci della nostra vita quotidiana, dei nostri successi terreni, del relativo benessere in cui viviamo.


Questo dovrebbe farci riflettere seriamente e aiutarci a tenerci lontani da numerose illusioni. Sicuramente ci sono molti cristiani che credono di poter vivere (da cristiani) come tutti gli altri, solo un po' più pratici, più pii, andando a messa la domenica e che tutto questo basti. altrimenti posso vivere come tutti gli altri, cercando di avere, qui sulla terra, una vita quanto più comoda e piacevole possibile. Oppure, nella situazione in cui sono privati ​​dei beni di questo mondo, se fanno parte di coloro che si considerano poveri, ritengono di poter vivere con l'animo pieno di gelosie e invidie. Da un punto di vista spirituale invidiare i ricchi significa essere come loro. Ripeto, se la povertà, le difficoltà e le fatiche non rappresentano per noi qualcosa che ci fa riscoprire nel nostro cuore altri beni e l'attaccamento ad un altro tipo di ricchezze, come quelle del regno di Dio, se per quanto ci riguarda, la mancanza di beni di questo mondo significa solo rimpiangerli ed invidiare chi li possiede, oltre ad una mentalità piena di rancore, di malizia, ecco allora siamo come i ricchi spietati o forse anche peggio di loro.

Possa il buon Dio concederci questa vera comprensione della povertà, la comprensione della vera ricchezza, che significherebbe se vivessimo in un mondo di benessere e anche pieno di ricchezze a differenza del modo in cui la maggior parte dell’umanità vive al di fuori dei nostri paesi ricchi, un distacco da queste condizioni di benessere e di ricchezza, che non ci schiavizzano e non si impadroniscono del nostro cuore. Facciamo il nostro tesoro nel cielo e lasciamo che anche i nostri cuori siano lì, dimorando nei beni del regno di Dio, nell'amore misericordioso e vero per il prossimo e, naturalmente, nell'amore di Dio.

Sì, il Signore ci aiuti affinché, qualunque sia la nostra situazione materiale esterna, possiamo avere un'anima come quella del povero Lazzaro. Nella settimana che precede la Settimana della Santa Passione di Cristo Redentore e prima del Sabato di Lazzaro, di Lazzaro risorto dai morti, i testi liturgici insisteranno nuovamente sul povero Lazzaro. Tra lui e Lazzaro risorto c'è solo una somiglianza di nome, ma il nome dell'amico del Signore risorto dai morti ricorda il povero Lazzaro. Ciò ci mostra l'importanza data alla Tradizione della Chiesa che leggiamo oggi.


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