I frutti di mare sono permessi o no in Quaresima?

 Ecco una domanda che causa sempre dibattito nei circoli tradizionalisti ortodossi ogni anno a ridosso della Quaresima. Possiamo mangiare o no i cosìdetti "frutti di mare"? Per frutti di mare si intende una categoria di alimenti che comprende molluschi e crostacei come gamberetti, cozze, granchi, vongole e, alcuni dicono, perfino i calamari. Nella pratica della Chiesa di Grecia - incluse le comunità di vecchio calendario, notoriamente più "dure" sul digiuno - si consumano frutti di mare ogni domenica di Quaresima, e talora perfino il sabato, quando il Tipico indica di "svincolare dal digiuno di olio e vino". Vediamo dunque di sfatare un mito e di scoprire cosa dice la Tradizione vera (e non certe elucubrazioni posteriori basate sul pietismo) in merito a questo fatto di ortoprassi. 


Gli incriminati del giorno, i temibili "frutti di mare"

Ricordiamo che per tutta la durata della Quaresima si consuma il pesce propriamente detto solo due volte: per l'Annunciazione e per la Domenica delle Palme. 

Ora, in alcune Chiese locali, come per esempio quella romena e quella russa, i frutti di mare non vengono sempre permessi, con l'accusa di "mangiar pesce". I santi Padri indicavano per "pesce" gli animali marini con ossa, mentre "frutti di mare" tutte quelle creature che non hanno ossa propriamente dette. Al netto di questa distinzione scientifica, vediamo cosa dicono i Santi Padri.

Nel Pidalion pubblicato nel 1844, la raccolta per eccellenza di Diritto Canonico ortodosso, leggiamo un commento di san Nicodemo dell'Athos, compilatore del testo, al canone 64 apostolico:

Una cosa è il digiuno, una cosa è lo svincolo del digiuno, un'altra ancora la rottura del digiuno. Il primo è la regola di non mangiare nulla fino all'Ora Nona, e poi pane e acqua solamente. Lo svincolo del digiuno è se si mangia qualcosa prima o dopo dell'Ora Nona, come ad esempio acqua, frutta, verdure, olio, vino, gamberi, vongole e simili. La rottura del digiuno è invece consumare carne, uova, formaggio, pesce, e tutto il resto. 

C'è un'altra nota al canone 56 del VI Concilio Ecumenico, sempre di san Nicodemo, in mertito ai sabati e alle domeniche di Quaresima, che dice:

Per i giorni suddetti, si svincola all'olio, al vino, e agli alimenti rinchiusi nelle conchiglie (ostracoderma). 

Nel Grande Tipico, edizione 1816, così da evitare ogni possibile accusa di modernismo, leggiamo alla pagina 720:

Epistola ad Anastasio, abate del Monastero del Sinai: 

(...) Guarda cosa fa la maggior parte del popolo, specialmente i poveri, nella Grande Settimana Divina [Prima settimana di Quaresima]. Come insegna il grande padre Teodoro Studita, mangia ogni giorno un po' di pane nei cinque giorni di veglia, mentre al sabato e alla domenica svincola l'olio e il vino, e gli alimenti racchiusi nella pelle d'osso, quando si trovano.  (...)

Per pelle d'osso si intende sicuramente le conchiglie, quindi i frutti di mare. 

I frutti di mare si possono consumare durante i giorni feriali solamente se cade una festa o un santo con croce nera o croce rossa, ovvero se è grandemente venerato, affinché sia glorificato il santo o la festa con la gioia di un cibo più ricco. In tutti gli altri giorni si mantiene il digiuno così come lo pratica la Chiesa Ortodossa da sempre, ovvero in regime di xerofagia o, per chi riesce, solo pane e acqua. 

Nulla vieta al pio cristiano di non consumare mai pesce e mai frutti di mare, se lo desidera, come sforzo ascetico. Del resto, chi vuole, può digiunare tutto l'anno - peccando indubbiamente di superbia. Ma assolutamente non si può impedire di consumare i frutti di mare nel sabato e nella domenica, così come indicato dal Grande Tipico. 

Ci dia il Signore un digiuno profittevole per l'anima, e occasione di ammenda e di purificazione. 

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BIBLIOGRAFIA

Pidalion (Mănăstirea Neamț, 1844)

Tipicul Mare (Iași, 1816, p. 720)

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