I sogni e l'immaginazione umana nel processo di metanoia (padre Pavel Florenskij)

 Offriamo uno spezzone dal libro del sacerdote e martire Pavel Florenskij (+1937) "Le Porte Regali - Saggio sull'Icona" ed. Adelphi, pag. 23-33. Riflessioni profonde sull'immaginazione, sul sogno, e sullo stato dell'anima in contemplazione.

Una persona a me vicina, che sentiva la mancanza dei suoi cari defunti, aveva sognato una volta di passeggiare in un cimitero. Dell'altro mondo si era fatto l'idea che fosse buio e lugubre; i morti però gli avevano spiegato - o magari in qualche modo se n'era reso conto da solo, anche se non ricordo esattamente come - quanto quell'idea fosse sbagliata: appena sotto la superficie del suolo cresce, ma in direzione contraria, con le radici in alto e le foglie in basso, la stessa erba verde e grassa del cimitero, anzi ancor più verde e grassa; crescono gli stessi alberi, anch'essi con le fronde in basso e le radici in alto; cantano gli stessi uccelli; si dispiegano lo stesso azzurro e risplende lo stesso sole, ed è tutto ancor più radioso e meraviglioso che da noi, da questa parte.

È forse possibile non riconoscere in questo mondo al contrario, in questo riflesso ontologicamente speculare del mondo, il dominio dell'𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘢𝘳𝘪𝘰, benché per coloro che si sono capovolti, che si sono girati su sé stessi e hanno raggiunto il centro spirituale del mondo, questo immaginario sia autenticamente reale quanto lo sono loro? Sì, è per sua essenza reale, non è in alcun modo qualcosa di diverso rispetto alla realtà di questo mondo, del nostro mondo, perché una sola è la creazione divina, opera della grazia: è lo stesso essere, ma contemplato dall'altra parte, da coloro che all'altra parte sono passati. Sono i 𝘴𝘦𝘮𝘣𝘪𝘢𝘯𝘵𝘪 e gli 𝘢𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘪 𝘴𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘶𝘢𝘭𝘪 delle cose, visibili in quanti hanno in sé stessi manifestato il proprio sembiante primigenio - l'immagine di Dio -, che in greco è detto 𝘪𝘥𝘦𝘢: coloro che dall'idea sono stati illuminati, che con sé stessi e attraverso sé stessi manifestano al mondo - a questo mondo, al nostro mondo - le idee del mondo superno, guardano le idee dell'essere.

Dunque i sogni sono anche quelle immagini che separano il mondo visibile dal mondo invisibile, che questi mondi separano e al contempo uniscono. La posizione di frontiera delle immagini oniriche determina il loro rapporto sia con 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 mondo sia con 𝘲𝘶𝘦𝘭 mondo. Rispetto alle consuete immagini del mondo visibile, rispetto a ciò che noi chiamiamo « realtà », il sogno è « soltanto un sogno », un niente, un 𝘯𝘪𝘩𝘪𝘭 𝘷𝘪𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦, sì, un 𝘯𝘪𝘩𝘪𝘭, eppure 𝘷𝘪𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦, un niente che tuttavia si può vedere, contemplare, e che pertanto si avvicina alle immagini di 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 « realtà ». Il suo tempo e quindi anche la sua caratteristica fondante sono però strutturati 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 di quanto vale per il mondo visibile. E perciò, seppur visibile, il sogno è in tutto e per tutto 𝘵𝘦𝘭𝘦𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘤𝘰, o simbolico. È saturo di senso di un altro mondo, è quasi puro senso di un altro mondo, è invisibile, immateriale, immutabile, sebbene possa manifestarsi sia visivamente sia, per così dire, materialmente. È quasi puro senso racchiuso in un involucro sottilissimo, ed è perciò quasi interamente manifestazione di un altro mondo, di 𝘲𝘶𝘦𝘭 mondo. Il sogno è il limite comune di tutta una serie di situazioni di quaggiù e di esperienze di lassù, il confine dove il di qua si assottiglia e il di là si addensa. Nel momento in cui si sprofonda nel sonno, nel sogno trovano simbolizzazione le esperienze più basse del mondo in alto e quelle più alte del mondo più basso: gli ultimi sprazzi di esperienze di un'altra realtà, anche se già si predelineano le impressioni della realtà di qui. Ecco perché i sogni che si fanno la sera prima di addormentarsi, hanno per lo più una portata 𝘱𝘴𝘪𝘤𝘰𝘧𝘪𝘴𝘪𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘤𝘢, quale manifestazione di ciò che dalle impressioni del giorno si è accumulato nell'anima, mentre i sogni che si fanno prima dell'alba sono per lo più 𝘮𝘪𝘴𝘵𝘪𝘤𝘪, poiché l'anima è ricolma della coscienza notturna, e l'esperienza della notte l'ha oltremodo purificata e mondata da tutto ciò che è empirico - pur nei limiti in cui l'anima individuale, per la sua data condizione, è capace di essere libera dalle passioni del mondo sensibile.

Il sogno è significazione del passaggio da un dominio all'altro, ed è simbolo. Di cosa? Dall'alto è simbolo del basso, e dal basso è simbolo dell'alto. È ora chiaro che il sogno ha facoltà di emergere quando 𝘦𝘯𝘵𝘳𝘢𝘮𝘣𝘦 le rive della vita si danno alla coscienza contemporaneamente, seppur con vario grado di chiarezza. È quanto in generale succede durante il guado da una riva all'altra; e forse anche quando la coscienza si tiene 𝘷𝘪𝘤𝘪𝘯𝘰 al confine di passaggio e non è del tutto estranea alla duplice percezione, quando cioè si trova in un condizione di sonno superficiale o di veglia sonnolenta. Tutto ciò che porta significazione per lo più si verifica o attraverso il sogno o in un « sonno leggero » o, infine, in distacchi repentini dalla coscienza della realtà esterna. Sono possibili, a dire il vero, anche altre manifestazioni del mondo invisibile, per le quali tuttavia occorre un colpo poderoso al nostro essere che ci strappi repentinamente da noi stessi; oppure un indebolimento, una « crepuscolarità » della coscienza, che continua quindi a vagare al confine tra i due mondi senza avere però la facoltà e la forza di inoltrarsi di propria iniziativa nell'uno o nell'altro.

Quanto finora detto del sonno si applica, con variazioni minime, anche a qualsiasi passaggio da un dominio all'altro. Così, nella creazione artistica, l'anima in estasi si stacca dal mondo in basso e ascende al mondo in alto. Qui, senza immagini, si pasce della contemplazione dell'essere del mondo superiore, saggia i 𝘯𝘰𝘶𝘮𝘦𝘯𝘪 eterni delle cose e, una volta sazia, gravida di conoscenza, ridiscende nel mondo inferiore6. Ed è allora, al momento della sua ridiscesa, sulla soglia d'ingresso al mondo inferiore, che quel suo bottino spirituale si veste di immagini simboliche, le stesse che una volta fissate daranno l'opera artistica. Perché l'arte è un sogno che ha preso corpo.

Qui però, nel distacco creativo della coscienza diurna, si presentano 𝘥𝘶𝘦 momenti, accompagnati da 𝘥𝘶𝘦 tipi di immagini: il passaggio del confine tra i due mondi che corrisponde all'ascesa, o all'ingresso nel mondo superno, e il passaggio che corrisponde alla discesa verso il basso. Le immagini del primo momento sono le spoglie della vanità del giorno, incrostazioni dell'anima per le quali non c'è posto nell'altro mondo, e in genere sono elementi spiritualmente disordinati del nostro essere; le immagini della discesa sono invece l'esperienza della vita mistica che si è cristallizzata sul confine tra i due mondi. L'artista è in errore, e induce in errore, quando sotto forma di arte ci offre 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 ciò che sorge in lui al momento dell'ispirazione che lo eleva, perché quelle sono soltanto immagini dell'ascesa: a noi servono i suoi sogni antelucani, che portano con sé la frescura dell'azzurro eterno, mentre tutto il resto è psicologismo e materia bruta, per quanto forte sia il loro effetto, e per quanto con arte e gusto siano elaborati. Riflettendoci, però, non è difficile distinguere tra loro le une e le altre immagini, se si prende come indizio il 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰: l'arte della discesa, per quanto incoerentemente motivata sia, è oltremodo 𝘵𝘦𝘭𝘦𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘤𝘢, è 𝘶𝘯 𝘤𝘳𝘪𝘴𝘵𝘢𝘭𝘭𝘰 𝘥𝘪 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 𝘪𝘯 𝘶𝘯𝘰 𝘴𝘱𝘢𝘻𝘪𝘰 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘢𝘳𝘪𝘰; al contrario, nonostante la grande coerenza delle motivazioni, l'arte dell'ascesa è costruita 𝘮𝘦𝘤𝘤𝘢𝘯𝘪𝘤𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦, in conformità al tempo da cui ha preso le mosse. Procedendo dal reale all'immaginario, il naturalismo offre una rappresentazione illusoria della realtà, una vuota parvenza della vita quotidiana; l'arte inversa, il simbolismo, dà invece corpo in immagini effettive a un'esperienza 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘢, e ciò che offre si fa in tal modo sublime realtà. Così è anche nella mistica. La legge generale è ovunque la stessa. L'anima in estasi si stacca dal visibile e, perdendolo di vista, si eleva nel dominio dell'invisibile: è lo 𝘴𝘤𝘪𝘰𝘨𝘭𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘥𝘪𝘰𝘯𝘪𝘴𝘪𝘢𝘤𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘷𝘪𝘯𝘤𝘰𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘭 𝘷𝘪𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦. E dopo essersi innalzata fin nel superno, nell'invisibile, l'anima ridiscende nel visibile, ed è allora che le si parano dinanzi le immagini simboliche del mondo invisibile, ossia i sembianti delle cose, le idee: è la 𝘷𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘢𝘱𝘰𝘭𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘶𝘢𝘭𝘦. 

Invece delle idee, c'è la tentazione di considerare spirituali, immagini spirituali, le fantasticherie che accerchiano, turbano e adescano l'anima quando le si apre davanti la strada verso un mondo altro. Sono gli spiriti di questo secolo, che provano a trattenere la coscienza nel 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 mondo. Questi spiriti, che stanno sul confine con il mondo di là e la cui natura è però del di qua, si assimilano agli esseri e alle realtà del mondo spirituale. Per dirla in termini geometrici e fisici, avvicinandosi al limite di questo mondo si entra in nuove condizioni dell'essere che, per quanto non discontinue rispetto a quelle normali della vita di ogni giorno, se ne distaccano molto. Sta proprio qui il maggior pericolo spirituale dell'avvicinamento 𝘢𝘭 𝘭𝘪𝘮𝘪𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰, e ciò può essere per riluttanza, a causa delle passioni terrene o per propria inettitudine, per mancanza di discernimento spirituale, proprio o altrui, oppure di discernimento della guida, o infine per debolezza, qualora l'organismo spirituale non sia ancora pienamente maturo per quel passaggio. Il pericolo sta proprio negli inganni e negli autoinganni che accerchiano il viandante sul limitare di questo mondo. Il mondo si avvinghia al suo schiavo, gli si appiccica addosso, tende le sue reti e lo adesca facendogli credere di aver raggiunto l'uscita verso il dominio spirituale, e gli spiriti e le forze a guardia di queste uscite non sono affatto i « custodi della soglia », ovvero i benevoli protettori di spazi reconditi, non sono esseri del mondo spirituale, bensì sgherri del « principe delle potenze dell'aria », tentatori e ingannatori che trattengo l'anima sul limitare trai due mondi. Il sobrio 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰, quando tiene la nostra anima in suo potere, è fin troppo chiaramente distinto dal dominio spirituale, quello cioè del di là, per avere la pretesa di ingannare, e la sua materialità è percepita come giogo gravoso ma per noi salutare, come benefica trazione della terra che limita il nostro movimento e che al contempo fornisce una base di appoggio; che rettamente trattiene l'impetuosità del nostro atto volitivo di autodeterminazione, sia nel bene che nel male; e che della vita, della nostra vita terrena, fa non tanto un'esistenza vegetativa che passivamente manifesta tutte le potenzialità possedute a priori, quanto un'impresa di vera autocostruzione, un'opera creatrice di scultura e cesellatura del nostro essere. Quanto ci è 𝘥𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘴𝘰𝘳𝘵𝘦 o ci è 𝘥𝘦𝘴𝘵𝘪𝘯𝘢𝘵𝘰 - είμαρμένη, μοῖρα - ovvero quanto su di noi è già stato 𝘱𝘳𝘰𝘧𝘦𝘳𝘪𝘵𝘰 dall'alto, 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘦𝘯𝘻𝘪𝘢𝘵𝘰 o 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘦𝘯𝘻𝘪𝘢𝘵𝘰 - 𝘧𝘢𝘵𝘶𝘮 da 𝘧𝘢𝘳𝘪 - la sorte della nostra inettitudine e della nostra superiorità, il dono della creazione simildivina, è il 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰-𝘴𝘱𝘢𝘻𝘪𝘰. Che non inganna. Come non inganna la spiritualità, il mondo degli angeli, quando l'anima ci si ritrova faccia a faccia. Ma fra l'uno e l'altro, sul limite del mondo di qua, si concentrano le tentazioni e gli inganni: sono quei 𝘧𝘢𝘯𝘵𝘢𝘴𝘮𝘪 che il Tasso ritrae nella descrizione della selva incantata. Se uno possiede fermezza spirituale e passa 𝘪𝘯 𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰 a loro senza avere paura e senza cedere alle loro tentazioni, si riveleranno privi di ogni potere sull'anima, 𝘰𝘮𝘣𝘳𝘦 del mondo sensibile, sue concupiscenze nel sonno, insignificanti nella loro realtà. Ma basta solo che la fede in Dio non sia salda, che l'uomo sia irretito dalle proprie passioni e dai propri attaccamenti, basta solo voltarsi e guardare questi fantasmi perché essi, ricevendo un afflusso di realtà dall'anima che si è voltata, diventino forti e, una volta che le si sono attaccati addosso, quanto più si faranno concreti loro, tanto più si fa debole l'anima che li ha attirati a sé. Ed è allora difficile, difficilissimo, pressoché impossibile senza l'intervento particolare di una forza spirituale estranea, liberarsi da questi pantani e paludi stigie che si estendono alle uscite del mondo. Nel linguaggio degli asceti, quest'insidia porta il nome di 𝘭𝘶𝘴𝘪𝘯𝘨𝘢 𝘴𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘶𝘢𝘭𝘦 ed è riconosciuta da sempre come la più grave tra le condizioni in cui l'uomo può cadere.

 Qualunque sia il peccato, l'atto che esso richiede pone necessariamente il peccatore in un determinato rapporto con l'essere esterno, con le sue proprietà e norme oggettive; e andando a cozzare, nel suo intento di violare l'ordine della creazione divina, contro la natura e contro l'umanità, il comune peccatore ha tuttavia a disposizione alcuni punti di sostegno per ravvedersi e fare penitenza; pentirsi - μετανοεῖν - significa anche cambiare il modo di pensare, cambiare il pensiero profondo del nostro essere. Tutt'altra cosa è quando si cade nella lusinga: qui l'autoinganno, che si nutre di questa o di quell'altra passione, ma soprattutto, e con maggior pericolo, della superbia, non cerca per sé un appagamento 𝘦𝘴𝘵𝘦𝘳𝘯𝘰, ma si dirige, o per meglio dire 𝘴𝘪 𝘪𝘭𝘭𝘶𝘥𝘦 di essere diretto, lungo una perpendicolare al mondo sensibile. Non trovando però appagamento alcuno, proprio perché i custodi dei confini di questo mondo, coadiuvati dalle sue stesse passioni, le impediscono di uscire dal sensibile, l'anima che non trova requie e già in vita ha cominciato a bruciare del fuoco della Geenna, è tutta chiusa in sé stessa e non ha così modo di scontrarsi, per quanto dolorosissimo sia, con la sola cosa che potrebbe riportarla alla coscienza, ossia il mondo oggettivo. Nella lusinga le immagini eccitano la passione, ma il pericolo non sta nella passione in quanto tale, bensì nella sua valutazione, nel suo accoglimento come qualcosa che è esattamente l'opposto di ciò che è in realtà. (...) Nel peccare il comune peccatore sa di allontanarsi da Dio e di suscitarne la collera; l'anima che è nella lusinga, invece, si allontana da Dio pensando di avvicinarglisi, e ne suscita la collera credendo di rallegrarlo. Tutto ciò si deve alla confusione delle immagini dell'ascesa con le immagini della discesa. Infatti la visione che sorge al confine tra mondo visibile e mondo invisibile può essere 𝘢𝘴𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 della realtà del mondo di qua, ossia un segno incompreso del nostro vuoto personale, poiché la passione è assenza nell'anima di un essere oggettivo; e così nella casa vuota e assetata prendono dimora maschere della realtà che con la realtà hanno ormai perso ogni legame.

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