Omelia sulla condizione dei defunti (san Marco d'Efeso)

 Presentiamo in occasione del Sabato degli Antenati una Omelia sulla condizione dei defunti, nota anche come "discorso contro il Purgatorio", composta da san Marco Eugenico, metropolita di Efeso (+1444). Traduzione dall'inglese,St. Mark of Ephesus and the Council of Florence, Jordanville , NY, 1963, pp. 58-73. In questa discettazione il santo confessore ortodosso confronta il purgatorio cattolico con la visione patristica della vita dopo la morte e della condizione dei defunti. 



Vino rosso e coliva per l'ufficio della parastasi

Considerando che, mantenendo la nostra vera fede ortodossa e i dogmi della Chiesa trasmessi dai Padri, dobbiamo rispondere con amore a quanto da voi detto, come regola generale nostra, citeremo innanzitutto ogni prova e testimonianza che ci avrete portato per iscritto, affinché ogni risposta e ogni chiarimento segua in modo breve e chiaro.

E perciò, all'inizio del tuo racconto, dici così: "Se coloro che si pentono veramente, si sono separati da questa vita nell'amore (verso Dio), prima di poter espiare i loro peccati con l'aiuto delle opere buone o per le ingiustizie fatte in vita, le loro anime vengono purificate dopo la morte con l'aiuto delle sofferenze del purgatorio. Ma per il loro sollievo (o 'liberazione') da queste sofferenze, vengono aiutati dai credenti vivi, attraverso preghiere, liturgie, elemosine e altre cose di pietà."

A questo rispondiamo quanto segue:

 Del fatto che i defunti nella fede sono indubbiamente aiutati dalle liturgie e dalle preghiere e dalle elemosine fatte per loro, e che questa consuetudine è comune fin dai tempi antichi, vi sono testimonianze di molti e diversi resoconti dei maestri della Chiesa, sia romani che greci, detti e scritti in tempi e luoghi diversi. Ma non troviamo nelle Scritture, né nelle preghiere e nei canti per i defunti, né nelle parole dei maestri, il fatto che le anime siano liberate per alcune sofferenze dal purgatorio e per un fuoco transitorio che ha tale potere (di espiazione) e il carattere di un aiutante. Ma ho considerato che anche le anime che sono nell'inferno e che sono già state date ai tormenti eterni, o nella verità e nella vera vita, o nell'attesa senza speranza, possono essere aiutate e ricevere qualche piccolo sostegno, anche se non nel senso della loro completa liberazione. dal tormento, né che sia data loro la speranza di un'eventuale salvezza. E questi sono mostrati nelle parole del grande eremita egiziano Macario, che lo insegnò da un teschio trovato nel deserto per opera del potere divino. [1] Oppure, San Basilio Magno, nella preghiera letta durante la festa della Discesa dello Spirito Santo, scrive quanto segue: Signore onnipotente, Dio dei padri... Il quale in questa festa, tutto perfetto e salvatore, si è compiaciuto di ricevere preghiere di intercessione per quelli tenuti nell'inferno, dandoci grandi speranze che invierai sollievo e consolazione a coloro che sono attanagliati da dolori opprimenti, ascoltaci, tuoi umili servitori, che ti preghiamo, e riposa le anime dei tuoi servi addormentati in un luogo luminoso, in un luogo verdeggiante, di riposo, da dove sono fuggiti tutti i dolori, le tristezze e i sospiri (Terza preghiera dell'ufficio di Pentecoste).

 Ma quando le anime lasciano questa vita nella fede e nell'amore, sebbene portino con sé alcuni errori, sia piccoli, dei quali non si sono affatto pentite, sia peccati gravi dei quali - anche se si sono pentite - non hanno mostrato i loro frutti di pentimento, ecco che crediamo che tali anime debbano essere mondate da questo genere di peccati ma non con l'aiuto di alcun fuoco purificatore o di alcuna condanna in alcun luogo (come abbiamo detto, per questo non ci è stato detto nulla). Ma alcuni devono purificarsi anche dopo aver lasciato il corpo, solo per paura, come mostra senza battere ciglio san Gregorio nel Dialogo: mentre altri devono essere purificati dopo aver lasciato il corpo, o mentre sono ancora nello stesso luogo terreno, prima di venire ad adorare Dio e essere onorati della sorte di beati, oppure - se i loro peccati erano più gravi e li hanno accecati per molto tempo - sono tenuti all'inferno, ma non per rimanere per sempre nel fuoco e nel tormento, ma come in prigione e nella tribolazione ogni volta che si prendono i peccati di coloro che sono nei tormenti e si prega per loro, essi provano un leggero sollievo. Conoscevano Dio, e coloro che hanno conosciuto Dio e lo hanno rifiutato, e per questo sono all'inferno. [2].

Riteniamo che tutti loro siano aiutati dalle preghiere e dalle liturgie fatte per loro, con la cooperazione della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini. Questa comune opera di Dio non imputa più alcuni peccati, ma perdona subito quelli commessi per debolezza umana, come dice Dionigi il Grande (l'Areopagita) in "Pensieri sul mistero compiuto per coloro che dormono nella vera fede" [3]; mentre gli altri peccati, dopo qualche tempo, mediante giusti giudizi, o vengono anch'essi lasciati e perdonati - e ciò in toto - oppure la colpa per questi peccati viene alleggerita fino al Giudizio Universale. E per questo pensiamo che non sia necessaria alcuna altra condanna, né alcun fuoco di purificazione. Alcuni infatti si purificano mediante il timore, altri invece vengono schiacciati dai rimproveri della coscienza con tormenti più grandi di qualsiasi fuoco, ed altri ancora si purificano solo mediante il tormento davanti alla gloria divina e il timore di ciò che porterà il futuro. E che questa verità sia ben più dolorosa e schiacciante di ogni altra cosa è confermato dall'esperienza stessa, e San Giovanni Crisostomo ce lo testimonia in quasi tutte le sue omelie morali, che dicono la stessa cosa, come l'eremita Doroteo nella sua omelia  "Sulla coscienza..." [4].

Pertanto, preghiamo con insistenza Dio e speriamo che salvi (dal tormento eterno) coloro che se ne sono andati, e non da nessun altro tormento o fuoco oltre a quei tormenti e quel fuoco che erano ordinati per l'eternità. E, più ancora, che le anime dei defunti vengono liberate mediante la preghiera dalla permanenza nell'inferno, come da una prigione, è testimoniato, tra molti altri, da Teofane il Confessore, detto il Segnato (poiché suggellò le parole della testimonianza col sangue sua per l'icona di Cristo, scritta sulla sua fronte). In uno dei canoni liturgici per i defunti, si prega per loro come segue: "Dalle lacrime e dai sospiri dell'inferno, salva i tuoi servi, o Salvatore", (Canone del sabato per i defunti, Ode 6, in Gloria).  Ha detto "lacrime" e "singhiozzi", e nessun tipo di giudizio o fuoco purificatore. E se in queste lodi e preghiere si deve menzionare il fuoco, non si tratta di fuoco temporale, che abbia il potere di purificare, ma si tratta di fuoco eterno e di dannazione senza fine. I santi, animati dall'amore per le persone e dalla misericordia verso il prossimo, desiderando e osando coloro che sono vicini all'impotenza, pregano per la salvezza di coloro che dormono nella retta fede. Per questo san Teodoro Studita, sacerdote e confessore della Verità, dice all'inizio del suo canone dei dormienti: «Preghiamo tutti Cristo, facendo memoria oggi dei morti nei secoli, affinché  liberi dal fuoco eterno coloro che dormono nella fede e nella speranza della vita eterna» ( Triodio, Sabato del Carnevale, canone, Ode 1, versetto 1). E poi, in un altro tropario, nell'Ode 5 del canone, strofa 4, si dice: "Del fuoco sempre ardente e delle tenebre che non illuminano, e dello stridore di denti, e del verme che tormenta incessantemente e da ogni punizione, o nostro Salvatore, salva tutti coloro che si sono addormentati nella fede."

Dov'è qui il "fuoco del purgatorio"? E se esistesse davvero, dove sarebbe più opportuno che il Santo ne parlasse, se non qui? Se i santi vengono ascoltati da Dio quando pregano per questo, non è nostro compito indagare su questo. Ma essi sapevano, come lo sapeva lo Spirito che abitava in loro e che li portava, e con questa conoscenza parlavano e scrivevano; e questo lo sapeva anche il Signore Cristo, che ci ha comandato di pregare per i nostri nemici, e che ha pregato per coloro che lo crocifissero sulla croce e resuscitarono il primo martire Stefano quando fu lapidato, affinché facessero lo stesso. E anche se si potrebbe dire che quando preghiamo per i defunti.  E vedi, alcuni santi che pregarono non solo per i fedeli, ma anche per gli empi, furono esauditi, e con la loro preghiera li salvarono dal tormento eterno, come la prima martire Tecla salvò Falconilla, e san Gregorio il Dialogo salvò l'imperatore Traiano, come si dice. [5]

Ma da ciò non emerge in alcun modo l’idea del fuoco del purgatorio, che sarebbe più chiaro della luce del sole. Che rapporto c'è infatti tra il perdono dei peccati da un lato e la purificazione mediante il fuoco e la condanna dall'altro? Perché se il perdono dei peccati avviene attraverso le preghiere o solo attraverso l'amore di Dio per le persone, non è necessario alcun tipo di condanna e purificazione (mediante il fuoco). Ma se la condanna e la purificazione sono ordinate (da Dio)... allora sembrerebbe che le preghiere (per i morti) siano fatte nel deserto e nel deserto lodiamo l'amore di Dio per le persone. Pertanto, queste citazioni non sono una testimonianza dell'esistenza del fuoco del purgatorio, ma piuttosto un suo rifiuto: perché in esse si mostra il perdono dei peccati di coloro che hanno violato i comandamenti, in conseguenza di un certo potere regale e amore per le persone, e non come fuga dalla condanna o dalla purificazione.

 In terzo luogo prendiamo il brano della prima Lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi:

Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. [1Corinzi 3,11-15]

Sembrerebbe che questa citazione, più di ogni altra, riporti l'idea del fuoco del purgatorio; ma in verità, più di ogni altro, vi si oppone.

Soprattutto sant'apostolo Paolo non lo definì un fuoco del purgatorio, ma una prova. Poi ha detto che anche le cose buone e oneste devono passare attraverso il fuoco, e quindi è chiaro che non hanno bisogno di alcuna purificazione. Poi dice anche che coloro che portano cattive azioni, dopo che queste azioni vengono bruciate, verranno danneggiati, mentre coloro che vengono purificati, non solo non hanno alcun danno, ma ne acquisiscono ancora di più. Poi dice che ciò deve accadere "in un certo giorno", nel giorno del Giudizio e nel tempo a venire, mentre l'apparente esistenza di un fuoco del purgatorio dopo l'avvento del terribile Giudizio e del giudizio finale - non è completa? senza senso ? Poiché la Scrittura non ci dice niente di simile, ma che sarà Lui stesso a giudicarci, dice: E questi andranno alla dannazione eterna, e i giusti alla vita eterna ( Matteo 25 , 46); e ancora: E quelli che hanno fatto il bene usciranno dai sepolcri in risurrezione di vita , e quelli che hanno fatto il male in risurrezione di condanna (Giovanni 5, 29). Pertanto, non esiste alcuna via di mezzo; ma dopo aver diviso in due tutti coloro che verranno in giudizio, ponendo gli alcuni a destra e gli altri a sinistra, e chiamando le prime "pecore" e le seconde "capri", non fece menzione di nulla del fatto che lì ci sarebbero alcuni che sarebbero stati purificati da quel fuoco. Sembrerebbe che il fuoco di cui parla il santo apostolo Paolo sia lo stesso di cui parla il profeta Davide: davanti a lui arderà il fuoco e intorno a lui vivacità (Salmo 49, 4); e ancora: Il fuoco andrà davanti a Lui e brucerà intorno ai suoi nemici (Salmo 96, 3). Di questo fuoco parla anche il profeta Daniele: Da esso sgorga un fiume di fuoco ( Daniele 7, 10 ). Poiché i santi non portano con sé alcuna cosa o azione malvagia, questo fuoco li mostra con ancor maggiore splendore, proprio come si prova l'oro nel fuoco, o come si prova l'amianto, che, come si suol dire, messo nel fuoco annerisce come il carbone, ma quando viene tolto diventa ancora più pulito, come se fosse lavato con acqua, come lo furono i corpi dei tre giovani nella fornace di Babilonia. Ma i peccatori che portano con sé il male vengono usati come materia adatta per questo fuoco, che li consuma immediatamente, e la loro "opera", cioè il loro stato o azione malvagia, viene completamente bruciata e distrutta, ed essi vengono privati ​​di ciò che portati con sé, cioè vengono privati ​​del loro male ardente, mentre vengono "salvati" - cioè saranno protetti e onorati per sempre, così che non periranno più con le loro azioni. San Giovanni Crisostomo scrisse un trattato a parte su questo passo [6], affinché gli Origenisti non citassero queste parole dell'Apostolo per rafforzare il loro modo di pensare (che, sembrerebbe, è più adatto a loro che a te), e che riteneva che non avrebbe danneggiato la Chiesa introducendo la fine dei tormenti dell'inferno e una restaurazione finale (apocatastasi). Infatti l'affermazione che il peccatore viene salvato come attraverso il fuoco significa che rimarrà tormentato nel fuoco e non perirà insieme alle sue cattive azioni e al cattivo stato della sua anima.

Di questo parla anche san Basilio Magno in Discorsi Ascetici, nell'interpretazione del brano della Scrittura, la voce del Signore che sprigiona fuoco ( Sal 28,7): Il fuoco preparato per i tormenti del diavolo insieme ai suoi angeli viene ordinato dalla voce al Signore, affinché dopo ciò si trovassero in lui due potenze: una potenza che arde e un'altra che illumina. Il potere di tormentare e condannare quel fuoco è assegnato a coloro che sono degni di tormento. 

Perciò, come si vede, questa divisione e separazione di quel fuoco avverrà quando tutti lo attraverseranno: le opere luminose e brillanti appariranno ancora più luminose, e coloro che le porteranno saranno gli eredi della luce e riceveranno la ricompensa. quello eterno. Coloro che compiono azioni riprovevoli saranno mandati all’inferno, rimarranno eternamente nel fuoco ed erediteranno una “salvezza” che è peggiore della perdizione, poiché in senso stretto la parola “salvato” significa che il potere distruttivo del fuoco non agirà su coloro che non saranno completamente bruciati. Dopo questi Padri, anche molti altri nostri insegnanti hanno interpretato questo passaggio nello stesso senso. E se qualcuno ha interpretato diversamente e ha inteso la "salvezza" come "fuga dalla condanna" e il "passaggio attraverso il fuoco" come "purgatorio", ha interpretato questo passaggio in modo del tutto sbagliato. E non c'è da stupirsi che anche lui sia umano, e si possono vedere anche molti maestri che interpretano le parti della Scrittura in modi diversi, e non tutti hanno acquisito il vero significato nella stessa misura. Non è possibile che lo stesso testo possa essere interpretato in modi diversi e adattarsi ugualmente a tutte le interpretazioni. Ma noi, scegliendo quelle più importanti e quelle che più si adattano ai dogmi della Chiesa, dovremmo lasciare da parte le altre interpretazioni. Pertanto non ci allontaneremo dall'interpretazione di cui abbiamo parlato sopra, delle parole del Santo Apostolo, anche se Agostino o San Gregorio il Dialogo o un altro dei vostri maestri apportassero un'altra interpretazione; perché tale interpretazione corrisponde meno all'idea di un fuoco del purgatorio temporale, che alla teoria di Origene, il quale, parlando di un perdono finale delle anime mediante quel fuoco e di una liberazione dal tormento, fu fermato e anatematizzato alla Quinta Il Concilio Ecumenico e la sua teoria furono completamente rimossi come disobbedienza generale alla Chiesa.

Diciamo che né i giusti hanno ancora ricevuto tutta la sorte e lo stato di felicità al quale si sono qui preparati con opere faticose, né i peccatori, dopo la morte, sono stati condotti alla dannazione eterna nella quale saranno tormentati per sempre. Piuttosto, sia l'uno che l'altro devono attendere il Giudizio Universale e la risurrezione di tutti. Tuttavia ora sia l'uno che l'altro sono al loro posto: i primi riposano e indisturbati nel cielo, insieme con gli angeli e davanti a Dio, come se fossero già nel cielo da cui cadde Adamo (nel quale ladro pentito entrato prima degli altri) e spesso ci visitano nelle chiese dove vengono glorificati, e ascolto quelli che si ricordano di loro e pregano per quelli davanti a Dio, avendo da Lui questo grande dono, e attraverso le loro reliquie operano prodigi e si rallegrano alla vista di Dio, e l'illuminazione inviata da Lui è più perfetta e pura di prima, mentre erano in vita sulla terra; mentre questi, a loro volta, costretti a restare nell'inferno, restano nella fossa più profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte ( Sal 87,6), come dice Davide, e poi Giobbe: verso la terra dove la luce è come le tenebre (Gb 10,21-22). E i primi restano nella gioia e nell'allegria, già aspettando l'avvicinarsi del Regno con tutta la sua indicibile bontà loro promessa. E gli altri, invece, restano in carcere e soffrono senza conforto, come condannati che attendono la decisione del Giudizio e immaginano quei tormenti. Anche i primi non hanno ancora ricevuto l'eredità del Regno insieme a tutti i beni ciò che l'occhio non ha visto e l' orecchio non ha udito e non è entrato nel cuore dell'uomo (1 Corinzi 2, 9); né questi ultimi hanno ancora ricevuto tormenti eterni, né sono stati bruciati nel fuoco inestinguibile. Questo insegnamento lo abbiamo ricevuto dai nostri antichi Padri, e possiamo dirlo facilmente, anche dalle Sacre Scritture.

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NOTE5

1) Nella Raccolta alfabetica delle parole dei Padri del deserto, in "Macario il Grande", si legge: "L'Abba Macario disse: Camminando un giorno per il deserto, trovai un teschio di uomo morto nella terra. L'ho spostato dal suo posto con il bastone e il teschio mi ha parlato. Gli ho chiesto: "Chi sei?" Il capo rispose: 'Ero sommo sacerdote e servivo gli idoli e i pagani che abitano in questo luogo; ma tu sei Macario, il teoforo.

2) San Gregorio Magno, papa di Roma, in Dialoghi, Libro IV

3) Dionigi Areopagita, La Gerarchia Ecclesiastica, cap. VII , 7

4) cfr. Detti dei Padri del deserto , trad. di Benedicta Ward, Londra, AR Mowbray & Co., 1975, pp. 115-116

5)  Si narra che san Gregorio Magno, il vescovo di Roma, battezzò l'anima dell'imperatore Traiano per mezzo delle lacrime. Un giorno mentre visitava il Foro, il pontefice ammirò la costruzione di Traiano e gli fu in quel frangente raccontata una storia in merito all'imperatore che, sebbene pagano, aveva agito da vero cristiano. Mentre difatti l'Augusto si stava muovendo di gran fretta col suo esercito per combattere, fu fermato in strada da una vedova la quale l'appellò dicendo: << mio signore Traiano, fammi giustizia, giacché questi uomini mi hanno ucciso il figlio e non vogliono pagarmi il risarcimento.>> e l'Imperatore rispose: << quando tornerò indietro li costringerò a risarcirti.>> e la donna implorò: << se voi non tornaste indietro, non avrei nessuno a rendermi giustizia.>> Allora, così com'era armato, scese dal cavallo e obbligò i briganti a risarcire la donna in sua presenza. Quando ebbe finito di ascoltare la testimonianza, Gregorio riconobbe in quel gesto il versetto "fai giustizia alla vedova e perora la causa degli orfani" e non sapeva come confortare l'anima di quest'uomo che, da pagano, aveva vissuto come un portatore di Cristo, così si recò alla basilica di san Pietro e pregò versando fiumi di lacrime, com'era sua abitudine, chiedendo a Dio di salvare Traiano dal fuoco eterno, e seppe per divina ispirazione che Iddio l'aveva ascoltato, giacché non aveva mai osato chiedere questo per nessun altro pagano, e mai ne chiese in futuro.

Anche se è un evento raro, la preghiera dei santi può perfino salvare dall'Inferno. Questo dà speranza a tutti. 

Fonte: The earliest life of Gregory the Great, Anonimo di Whitby (VIII secolo), trad. Bertram Colgrave, University Of Kansas Press, 1968, cap. 28, pp.127-129 

6) San Marco d'Efeso allude alla omelia 9 sui Corinzi, di san Giovanni Crisostomo.

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