La "Agripnia" o "Veglia di tutta la Notte"

In questo articolo desideriamo offrire una panoramica storica su come si è sviluppata la pratica di celebrare la Agripnia, in italiano nota come Veglia (di tutta la notte). In merito, menzioniamo un lavoro splendido del vescovo Petru Pruteanu (in romeno) sul medesimo soggetto. 


Benedizione dei pani 


Per Agripnia (ἀγρυπνία), o Priveghere (in romeno) o Всенощное бдение ("Veglia di tutta la Notte" in slavo ecclesiastico) la Chiesa Ortodossa intende un ufficio che consiste nella fusione di solenni Vesperi, litia e artoclasia, Mattutino festivo e Ora Prima. In accordo al Tipico Maggiore, essa è preceduta, di qualche ora, dall'ora nona, dal piccolo vespro e dalla compieta. Col termine Veglia, in italiano, intendiamo ogni genere di preghiera comune o privata, solitamente notturna, con la quale ci prepariamo ad un grande evento liturgico. E tale è il senso con cui è nata questa forma di celebrazione nella Chiesa Ortodossa. La Veglia dei primi secoli iniziava dopo cena, a buio inoltrato, e durava fino a notte fonda o financo all'aurora. La stessa origine serale e contemplativa, per i defunti, la aveva la panichida (pannichys, in greco, significa parimenti veglia), che durava assai, essendo composta dal salmo 118, antifone, canone e molte ectenie per gli addormentati nel Signore, con lo scopo di emulare la Agripnia. Nella Chiesa Ortodossa attuale, purtroppo, notiamo una tendenza a tagliare moltissime parti degli uffici maggiori, siano esse Panichide o Agripnie, quando esistono occasioni specifiche in cui si cantano gli uffici solenni o le loro varianti brevi già esistenti, create dai santi Padri, per i giorni comuni (come per esempio il Trisagio ai defunti o un vespro semplice). 

Tornando al soggetto di questa dissertazione, ricordiamo che dal XI-XII secolo il Tipico di san Sava diventa obbligatorio sia per le parrocchie che per i monasteri, imponendo quindi la celebrazione di molte veglie durante l'anno: ogni sabato sera in preparazione alla domenica, per praticamente ogni festa marcata con croce rossa e nera, e per alcuni santi locali molto venerati. Con la creazione di Chiese Nazionali, ogni calendario locale si è arricchito di ulteriori "santi con croce rossa", amplificando ancor di più l'obbligatorietà delle veglie per molti giorni del mese. Dopo le riforme di Violakis del 1888, la totalità delle Chiese ellenofone e alcuni patriarcati moderni - come quello di Serbia, di Romania e nei patriarcati arabofoni - è invalso l'uso di separare di nuovo il vespro e il mattutino anche per le domeniche, riservando l'Agripnia per poche solennità annuali. Invero, questa era la pratica normale per le parrocchie con il Tipico di Cattedrale, diffuso nell'ecumene bizantino fino all'XI secolo. La Chiesa Russa, la Chiesa Georgiana e la Chiesa Bulgara hanno invece mantenuto l'uso delle agripnie frequenti. 

Da noi, in Italia, invalso l'uso di "tipici misti" o del tutto inventati dalle varie parrocchie che si adattano alla disponibilità di sacerdoti e cantori, non è ben chiaro spesso a quale tradizione ci si rifà. Ma questo è un altro argomento. 

Sembra che l'origine delle veglie notturne nei monasteri del deserto egiziano e palestinese, in particolare le lavre di santa Caterina sul Sinai e di san Sava il Santificato, derivino dall'uso di ospitare un gran numero di eremiti del deserto che, accorsi per il vespro domenicale del sabato sera, non avevano tempo di ritirarsi nei loro romitaggi e tornare in tempo al mattino per la liturgia; e quindi nacque così l'idea di unire in un'unica officiature tutte le Lodi che preparano lo spirito per la sinassi liturgica domenicale [vedi  Н. Д. Успенский, Чин всенощного бдения, II, Москва 2004, СС. 155-175]. 

A cagione di questo, venne ben presto introdotto l'uso dell'Artoclasia, ovvero della benedizione dei pani e del vino, ultimo alimento consumato dopo il Vespro, per dare ai monaci un sollievo corporale alle fatiche della veglia. L'artoclasia oggi viene considerata inseparabile dalla Litia (litania grande) che tuttavia era, in origine, un'altro tassello mobile delle officiature speciali. In Grecia, con le riforme recenti del Tipico, è invalso l'uso di celebrare l'Artoclasia anche fuori dalla sinassi serale, preferendo celebrarla dopo la liturgia o dopo il mattutino. Il pane e il vino consumati dai monaci - in origine con quantità molto generose, non come oggi, il cui consumo è formale e consta, spesso, di una fettina striminzita di pane bagnato nel vino - venivano distribuiti alla comunità in ascolto fra la fine del Vespro e l'Esapsalmo del Mattutino, quando si leggevano i Prologhi (insegnamenti patristici) o Letture speciali legate alla festa. Al giorno d'oggi, le letture sono completamente scomparse. Per esempio nei monasteri del Monte Athos, dove è rimasta questa tradizione, nel Tipico locale si comanda che ogni monaco riceva un pane intero e un bicchiere di vino, per rafforzarli nella veglia. Per questo, come si vede dai numerosi video o foto dell'Athos, la quantità e la forma del pane dell'artoclasia è molto grande. [cfr. Klimenko M. M., Specificul săvârşirii Privegherilor de toată noaptea în Mănăstirile Sfântului Munte, (l. rusă), URL: www.liturgica.sp.ru]. Tra l'altro, sebbene si usi impropiamente il termine "santificazione dei pani", i libri liturgici parlano di "benedizione del pane". Non possiamo quindi equiparare i pani dell'artoclasia con la coliva o con altre forme di offerte che vengono effettivamente santificate. Il pane dell'artoclasia è un pane benedetto che si può consumare anche senza essere in stato di digiuno. 

Occorre ricordare che l'ufficio della Veglia è un rito assai complesso che è pressochè impossibile da celebrare integralmente (e quindi veramente con spirito) senza una serie di importanti presenze come due cori (destro e sinistro), un canonarca, uno o più policandri, candelabri, esperti cantori che sappiano cantare con melodia calofonica (pressoché impossibile nelle parrocchie o nei monasteri piccoli), presenza in chiesa di naos, nartece, e tutta una serie di accoliti, lettori e chierici che sappiano gestire le complesse ufficiature previste con solennità. A detta del vescovo Petru Pruteanu "quel che si celebra oggi col nome di Veglia è una brutta imitazione priva del vero spirito del rito così come concepito dai Padri del Deserto". 

Il "pre-veglia" 

Come abbiamo detto all'inizio, secondo il Tipico, prima della Veglia si celebra l'Ora Nona, il Piccolo Vespro e la Compieta, solitamente verso le 15.00 di oggi. Si serve la cena ai monaci, e, al tramonto, si batte di nuovo il simandro e si chiama alla Agripnia (verso le 18.00 / 19.00 di oggi). In alcune parrocchie, si osserva l'uso di far precedere al Grande Vespro dell'Agripnia l'Ora Nona, ma quest'uso non è nel Tipico ufficiale. 

L'Agripnia

All'Agripnia, dopo aver cantato con tono solenne l'Invitatorio (Venite, adoriamo e prostriamoci dinnanzi al Signore nostro Dio etc.), il salmo 103 (integrale) è intercalato dalle Anixandare, che sono degli stichi o versetti aggiuntivi, spesso dedicati alla festa o al Tempo liturgico in corso. La pratica delle Annexe è caduta dal secolo XVI nella maggioranza delle Chiese Locali, ma è stata recentemente reintrodotta in alcune diocesi a titolo sperimentale. Si canta dopo l'Ectenia di Pace, secondo gli usi più antichi, il primo catisma del salterio (salmi 1-8) con versetti ripetuti come un ritornello. Oggigiorno o si cantano solo alcuni versetti, o si legge il catisma senza melodia. In questo articolo non daremo una lettura approfondita di tutte le rubriche, ma giusto per far comprendere quanto complessa sia una "vera" Veglia, la processione di ingresso al Vespro è previsto venga fatta con due accoliti lampadari, un suddiacono con cruce, un diacono con "una candela alta", un altro diacono con l'incenso, e infine col sacerdote. In altri Tipici moderni, come per esempio quello romeno, è pratica accettata che sia il prete a portare il turibolo. Al momento del prochimeno, nell'uso attuale o si lascia tutto il prochimeno al coro (come in Grecia e Romania) o il prete / diacono canta alcuni versetti, mentre il coro ne canta altri (uso russo). In antichità, era il canonarca (il "lettore dei canoni poetici del mattutino") che intonava i versetti, corrisposto dal coro. Il ruolo di canonarca, ormai decaduto, è stato quindi distrubuito fra il clero e il coro. Per la Litia, l'ufficiatura tipiconale prevede che si porti l'icona della festa (per la domenica, della Resurrezione) nel nartece, e lì venga posta su un leggio, e poi incensata e si proceda solo allora, dopo che è stata venerata dal popolo mentre si canta un calofonico doxastico, alla Litia propriamente detta. Oggi, purtroppo, molti non escono né con l'icona né celebrano la Litia nel nartece, ma nel centro della navata. Quest'uso è contrario all'idea stessa della Litia, magistralmente spiegata da san Simeone di Tessalonica (+1429) il quale nelle sue Istruzioni Liturgiche ci spiega che la Litia si fa nel nartece perché è un ufficio penitenziale, che dobrebbe essere ascoltato anche dai catecumeni, dai penitenti scomunicati (che non possono stare in navata, ma solo nel nartece) e dai non ortodossi. Come abbiamo detto, mentre si consumava il pane e il vino benedetti, si leggevano dagli Atti degli Apostoli (periodo pasquale) o brani scelti dalla Scrittura, dai Padri o dai libri di dogmatica. In antichità, dopo i prochimeni vesperali si leggevano ogni giorno delle pericopi dalla Scrittura. Dal secolo XIV invece, si è ridotto il numero di letture quotidiane e si è riservato alcune pericope fisse (per categorie di santi) solo per le grandi feste. Dopo che si è terminato di leggere i Prologhi, uno degli accoliti corre a suonare le campane mentre il Lettore prosegue con l'Esapsalmo. Secondo il Tipico di Messina (XII secolo), gli stichi del Signore è Dio sono cantati dal prete, come è ancora oggi osservato nella pratica russa, mentre nel mondo ellenofono si preferisce lasciare tutti gli stichi al coro. Dopo i primi tropari, si osserva come per la domenica è previsto il salmo 118, considerato dalla Chiesa uno dei più importanti, tant'è che viene ordinato per le panichide, per i mattutini festivi, per le domeniche, e per altri uffici. Secondo il Tipico di santa Sofia e il Tipico di Studion alcuni stichi erano addirittura cantati con melodia ornata. Oggidì, la stragrande maggioranza delle Chiese lo elimina del tutto. Seguono il Polieleo, con melodia ornata, e poi gli Evloghitaria Anastasima - di domenica - anch'essi con diverse varianti melodiche. Oggidì è diffusa la variante "veloce" in tono V. Dopo l'Evangelo e il canto dell'inno di resurrezione (domenica), si legge il salmo 50 e al versetto: la verità hai amato e mi hai mostrato la tua sapienza, il sacerdote esce con il Vangelo affinché venga venerato. E' significativo questo versetto per quest'azione liturgica, ma spesso, a causa del clima generale dell'ufficio (cantato rapido, tagliato, e con l'intenzione di finire il prima possibile), non si rispetta la solennità dei momenti climax del rito. Durante la lettura dei molteplici canoni poetici (dal Mineo, dall'Ottoico, dal Triodio o dal Pentecostario) si dovrebbero leggere anche le 9 odi vetero-testamentarie, oggi del tutto omesse - tranne sull'Athos - mentre rimane l'uso di cantare l'Ode del Magnificat intervallata dal tropario mariano più venerabile dei cherubini. Le luminande, un tempo cantate dal primo cantore sotto il policandro e con melodia ornata, oggi sono generalmente lette. Dopo le Lodi e la Dossologia, si legge uno o l'altro tropario secondo i toni pari o dispari, ma in antichità ogni tono aveva il suo tropario (cfr. Juan Mateos, Utrenia bizantină, p. 68). Dopo le litanie finali e il licenziamento solenne del Mattutino, in accordo al Tipico si dovrebbe leggere "con pace e lentezza" una delle omelie di san Teodoro Studita. Questa pratica è uscita abbastanza presto dall'uso comune, già dal XI-XII secolo.

Ora Prima

Dopo gli insegnamenti del beato padre Teodoro Studita, si dovrebbe leggere l'Ora Prima. Negli eucologi romeni e slavi, si trova come ultimo cantico il celebre tropario: Invitta Signora (Aparatoare Doamna) ma quest'uso non si trova in altre tradizioni locali. Probabilmente, l'uso esicasta nella tradizione slavo-carpatica prevedeva il canto dell'Acatisto dell'Annunciazione - che principia col suddetto tropario - dopo l'Ora Prima, per cui è invalso l'uso di far coincidere il licenziamento dell'Ora Prima con questo tropario. 

Conclusioni

Come si nota, la Veglia diventava davvero un rituale... di tutta la notte! Iniziando dopo il tramonto, allungata con numerose letture, canti diluiti (alcune melodie per i Polielei medievali durano fino a 35 minuti!) e presenza di salterio (fino a 3 catismi, approssimativamente 15-20 salmi) al Mattutino. Come vediamo, una Veglia adeguatamente eseguita può durare da un minimo di 5-6 ore ad un massimo di 12 ore (sebbene tali veglie siano state estremamente rare nella Storia conosciuta). L'ultima Veglia integrale fu cantata nel Seminario di Kiev nel 1912, con una durata di oltre undici ore. Tale esperimento non fu mai più ripetuto. 

Se è pur vero che nei monasteri ci si aspetta una ritualità più profonda e meditativa, tale schema è impossibile per le parrocchie. A mio avviso, si dovrebbe tornare all'antico uso di celebrare i Vespri alla sera e al Mattutino di primo mattino, con delle accortezze per non perdere la profondità dei riti, ma al tempo stesso di permettere alla vita parrocchiale di essere fluida. In parte, le riforme tipiconali del mondo ellenofono hanno tentato di recuperare questa prassi più arcaica, senza tuttavia riuscirci pienamente. Il dibattito è attualmente aperto nei circoli liturgici. 

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