Storia dell'Episcopato nella Chiesa Ortodossa

 Dopo l'articolo sulla Storia del Sacerdozio nella Chiesa Ortodossa, giungiamo alla vetta della piramide gerarchica della santa Chiesa di Dio, ovvero l'episcopato. Negli articoli precedenti abbiamo analizzato l'aspetto liturgico, sacramentale e storico dei vari ruoli clericali all'interno della Chiesa. Il primo autore che analizza la vita sacrale della Chiesa è sant'Ignazio di Antiochia (+117 circa), e riguardo al Vescovo - riflettendo anche su se stesso - parla in questi termini: 

Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa Universale. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro.[1]



La parola vescovo deriva dal greco επίσκοπος, traducibile con guardiano, supervisore, attendente. Tutti questi significati collimano nella sua funzione che, come spiega senza mezzi termini sant'Ignazio di Antiochia, è quella di rappresentare Cristo nella Chiesa Locale. La sua autorità è chiara: Nessuno, di conseguenza, prenderà iniziativa, in ciò che riguarda la Chiesa, indipendentemente dal vescovo (Cfr. Ad Philad. 3,2).. Già Clemente Romano, alla fine del I secolo, parlava di successione apostolica: Non è lecito privare del loro servizio sacro quelli che furono stabiliti dagli apostoli, e neanche i loro successori. (1Clem 44,3). Ancora Ignazio: Nulla, dunque, si faccia senza o contro di lui. Dove sta lui, là sia tutta la comunità, così come dove Gesù Cristo è, là è la Chiesa Universale. (Ad Smyr. 8,1-2.). Sant'Ireneo di Lione, nel II secolo, è il testimone indiscusso riguardo alla successione apostolica, poiché egli professa esplicitamente che la successione dei vescovi si fonda nella tradizione apostolica (cfr. Adversus Haereses 111,1.).  San Dionigi Areopagita, nel suo libro La Gerarchia Ecclesiastica, ci introduce invece nel mistico ministero episcopale con queste parole: 

Il Vescovo, in conformità alla sua essenza, ruolo e vita, è iniziato alle cose più alte e ottiene la deificazione e la passa ai suoi sottoposti, tramandandola secondo il merito di ciascuno, e i suoi sottoposti passano a loro volta le divine realtà agli altri secondo ciascuno il suo servizio. Le sostanze degli ordini cui abbiamo accennato hanno una trascendenza e sono incorporei, così la gerarchia è intellettuale e sovraumana, resa molteplice dalla moltitudine dei simboli dei quali è investita. E ciascuno nel suo grado gerarchico in armonia con gli altri si rende servitore e ricevente e partecipante di ciò che è Bello, Buono e Sapiente. Il divino vescovo è dunque partecipante di tutte le cose più sacre e divine in accordo alla funzione; l'origine della Gerarchia è la semplice, divina Trinità. (...) E questo è il fine della Gerarchia, ovvero il dare l'amore divino e delle cose divine, l'unione con Dio, la partecipazione alla divinità unificante, il banchetto della contemplazione, il quale deifica coloro che vi partecipano. (...) Le iniziazioni ci sono date dai nostri vescovi santi, figli degli uomini illuminati che che per primi ricevettero gli oracoli della salvezza, ricevendo e donando a loro volta una iniziazione immateriale, e i nostri vescovi tramandano questi insegnamenti al popolo di Dio non con pensieri scoperti ma piuttosto con simboli sacri, infatti non tutti possono intendere, dice la Scrittura, e non tutti sono santi. [2]

Gli apostoli dunque formarono dei successori affinché si perpetuasse l'esperienza della Pentecoste nella Chiesa, e si potesse dare fermezza e continuità all'insegnamento di Cristo e della sua scuola. Nei primi secoli i sacerdoti erano molto pochi e il vescovo aveva un contatto diretto con la sua comunità, che amministrava senza intermediari. Ogni vescovo si ritrova sostanzialmente con una grande autonomia, e l'unico vero vincolo - oltre alla successione apostolica - è quello di mantenere intatta la Fede della Chiesa universale contro le derive gnostiche ed eretiche. L'episcopato, con la riforma di san Costantino imperatore nel IV secolo, guadagna anche un peso politico. Il sesto canone del Concilio di Nicea del 325 d.C. stabilisce "che si osservino le antiche consuetudini" nei riguardi dei poteri episcopali delle città di Roma, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia, dando loro una grande preminenza su ampie aree dell'Impero. Gerusalemme fu innalzata al rango di patriarcato solamente nel IV Concilio Ecumenico. Da quando Roma si è separata ufficialmente dall'Ortodossia, nel 1054, Costantinopoli ha preso posto come seggio primaziale a titolo onorifico. Altre Chiese Locali lungo la Storia hanno guadagnato poi il titolo di patriarcato: Bulgaria, Serbia, Russia, Romania hanno ricevuto l'innalzamento a sede patriarcale. 

Il Concilio Ecumenico II , tramite il canone 2, stabilisce:

I vescovi preposti ad una diocesi non si occupino delle chiese che sono fuori dei confini loro assegnati né le gettino nel disordine; ma, conforme ai canoni, il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l'Egitto, i vescovi dell'Oriente, solo l'oriente, salvi i privilegi della chiesa di Antiochia, contenuti nei canoni di Nicea; i vescovi della diocesi dell'Asia, amministrino solo l'Asia, quelli del Ponto, solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia. A meno che vengano chiamati, i vescovi non si rechino oltre i confini della propria diocesi, per qualche ordinazione e per qualche altro atto del loro ministero. Secondo le norme relative all'amministrazione delle diocesi, è chiaro che questioni riguardanti una provincia dovrà regolarle il sinodo della stessa provincia, secondo le direttive di Nicea. Quanto poi alle chiese di Dio fondate nelle regioni dei barbari, sarà bene che vengano governate secondo le consuetudini introdotte ai tempi dei nostri padri.

Il Sistema Pentarchico [3] basato sulla partizione delle regioni dell'Impero in cinque grandi zone d'influenza fu presto minato dalla morte dell'unità imperiale e poi dalla definitiva influenza del potere politico tanto in Oriente quanto nei giovani regni romano-germanici. Storicamente, in Occidente nascono dei tentativi di emulare il patriarcato orientale a Ravenna, Aquileia, Braga, a Worchester in Inghilterra e in Francia, ma sempre senza risultati di completa autocefalia. Roma si è dimostrata capace di mantenere un equilibrio di potere fra la sede italica e le sue propaggini più lontane. Senza voler adesso andare troppo profondamente nella Storia della Chiesa, soffermandoci invece più sulla figura del vescovo in quanto tale, continuiamo la nostra indagine. I vescovi, specialmente nelle grandi città e nelle capitali regionali dell'Impero, diventano importanti figure pubbliche di riferimento per politici e uomini di scienza e cultura. I vescovi, spesso provenienti dalle famiglie senatorie o feudali, sono uomini istruiti capaci di curare ogni aspetto della diocesi, non solo quello liturgico e pastorale - dal quale si allontanano progressivamente - ma anche dal punto di vista economico. 


L'Arcivescovo Anastasio di Tirana, pontefice della Chiesa Autocefala d'Albania, con le sue insegne episcopali

Il Canone VIII del IV Concilio Ecumenico stabilisce di nuovo che il Vescovo ha totale capacità di intervento e autorità su tutta la sua giurisdizione: 

I chierici degli ospizi per i poveri, dei monasteri, dei santuari dei martiri siano soggetti all'autorità dei vescovi di ciascuna città, secondo l'uso tramandato dai santi padri, e non ricusino per superbia di essere sottoposti al proprio vescovo. Chi tenterà di trasgredire questa disposizione, in qualsiasi modo, e non si sottometterà al proprio vescovo, se chierico sia punito secondo i sacri canoni, se invece monaco o laico sia privato della comunione.

Il Canone II del VIII Concilio Ecumenico invece stabilisce ufficialmente quali sono i requisiti per l'episcopato, ovvero la capacità di esporre la dottrina e la conoscenza della fede: 

Poiché cantando i salmi promettiamo a Dio: Mediterò i tuoi comandamenti; non dimenticherò le tue parole , è certamente salutare che ogni cristiano osservi tutto ciò; ma in modo particolare coloro che hanno conseguito la dignità sacerdotale. Stabiliamo, perciò, che chiunque sia promosso all'episcopato, debba conoscere a memoria il Salterio, sicché possa ammonire tutto il clero, che da lui dipende, a istruirsi allo stesso modo. Il metropolita indaghi diligentemente l'ordinando se egli legge volentieri, e non di corsa, ma con attenzione sia i sacri canoni e il santo Vangelo, sia il libro del divino apostolo, e tutta la sacra Scrittura; se si comporta secondo i divini precetti, e istruisce cosi il suo popolo. Le parole divine, ossia la vera conoscenza delle sacre Scritture, sono sostanza, infatti, del nostro sacerdozio, come afferma il grande Dionigi. Che se egli non fosse d'accordo, e non fosse disposto a comportarsi e ad insegnare cosi, non sia ordinato. Dice, infatti, Dio per mezzo dei profeti: Tu hai respinto la scienza, io respingerò te, perché tu non sia mio sacerdote.

Ricordiamo che già dall'VIII secolo in Oriente i vescovi sono scelti fra i monaci, mentre in Occidente l'ultimo vescovo sposato di cui si abbia memoria è Guido da Velate, metropolita di Milano (+1055 circa). Mentre nei primi secoli l'elezione all'episcopato avveniva per mezzo del collegio presbiteriale della città, nel Basso Medioevo i vescovi sono spesso scelti direttamente dall'Imperatore o dai Patriarchi presso importanti centri monastici o dai pupilli delle famiglie patrizie del Regno. Con la caduta delle monarchie ortodosse nel Novecento e la rinascita della Chiesa dopo il crollo del Comunismo, l'episcopato ortodosso ha trovato un nuovo modo di concepire se stesso, avvicinandosi alla mentalità, purtroppo, papista contemporanea. Speriamo invece che si rinnovi l'antica concezione di vescovo come maestro, padre della comunità, iniziatore ai misteri di Cristo, e non come un semplice amministratore delegato di una grande compagnia. 

In epoca medievale si lega sempre di più il concetto di episcopato con quello di rettore di una eparchia, o diocesi, andando a morire così anche i cosiddetti "vescovi rurali" o corepiscopi, difesi da Alcuino di York ancora nel IX secolo la cui esistenza è attesta dal sinodo di Laodicea nel IV secolo. Il vescovo amministra i territori e le finanze della diocesi, forma il clero e mantiene i contatti con le autorità politiche del territorio. La sua funzione liturgica è delegata sempre più ai presbiteri, ai diaconi, già in epoca imperiale post-costantiniana. Gli attributi liturgici del vescovo cambiano: nel Basso Medioevo entrano nell'uso cerimoniale la mitria e il sakkos, mentre fin dai primi secoli il vescovo teneva in mano il pastorale, simbolo della sua autorità paterna sul gregge di Cristo, emule del Signore, il Buon Pastore.  Possiamo dire che il vescovo, pur rimanendo idealmente il centro della comunità locale, l'iniziatore spirituale della diocesi, è sempre più una figura lontana dalla vita dei parrocchiani, specialmente in diocesi grandi con chiese molto lontane. Il sacerdote prende il suo posto nella vita dei credenti. I vescovi oggi tentano di ripristinare questo legame con le parrocchie, anche se non sempre con ottimi risultati.  

Il vescovo è e rimane colui per mezzo del quale lo Spirito Santo vivifica e nutre la comunità locale, ordina i sacerdoti, concede linfa vitale al popolo di Dio, per la cui benedizione si compiono i sacramenti e i Misteri della Chiesa. Preghiamo per i nostri vescovi, che siano santi, affinché anche noi possiamo esserne santificati. 

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FONTI E NOTE

Per i Canoni, vedasi Pidalion, ed. Credința strămoșească, 2007, in lingua romena basato sulla versione greca del 1844. 

The rise of the Monarchical Episcopate, Kenneth A. Strand, Andrews University, Berrien Springs, Michigan, 1966

K. E. Kirk, The Apostolic Ministry: Essays on the Histmy and the Doctrine of Episcopacy New York, 1946.

1) Ignazio di Antiochia, Lettera di Ignazio agli Smirnesi, VIII, 1

2) Dionigi Areopagita, La Gerarchia Ecclesiastica, in Opera Omnia, Bompiani, 2010, pag. 199-204, estratti.

3) Sulla Pentarchia e il suo precario equilibrio, un vecchio articolo per chi volesse approfondire. 

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