Il "Congresso teologico" di Atene nel 1936: come la Chiesa Ortodossa perse l'unità (parte seconda)

 Dopo aver conosciuto i retroscena del Concilio Pan-Ortodosso del 1923, possiamo studiare un altro momento grigio della recente Storia ecclesiastica, ovvero il congresso di teologia del 1936 avvento ad Atene, nel quale i teologi del Patriarca ecumenico Melezio poterono agevolmente iniziare la loro revisione dei canoni della Chiesa.

Prima di procedere con la lettura dei fatti del congresso, è bene ribadire il concetto di canone ecclesiastico. Fra i tanti usi di questa parola nel contesto ortodosso, "canone" significa anche "legge della Chiesa", la cui applicazione si basa sui principi di economia (applicazione blanda) o akrivia (applicazione integrale). I Canoni sono parte integrante della disciplina ecclesiastica, in quanto hanno contribuito anche a formare l'ortoprassi, la liturgia, il modus vivendi et operandi della Chiesa Ortodossa. I Canoni sono stati composti e compilati dal III al X secolo circa, e con alcune eccezioni (come il Concilio di Gerusalemme del 1672), sono rimasti invariati da allora. 

Ora, il discorso introduttivo degli intellettuali del Congresso inizia con delle premesse oltremodo dubbie:

Una codificazione delle norme ecclesiastiche in vigore, senza una loro revisione, farebbe solo metà del lavoro (C. Dron, Il valore attuale dei canoni, Bucarest 1928, p. 171 s, 174 s) perché sono in vigore tutte le norme che non sono state abrogate dal legislatore competente o non sono state ancora sostituite da altre. Così, tutti i canoni dei Concili ecumenici, così come tutti i canoni da essi confermati, specialmente il Sinodo di Trullo, sono ancora oggi in vigore, cioè perché non furono né abrogati né modificati da alcun sinodo successivo di pari competenza. Una semplice codificazione di queste norme ecclesiastiche non porterebbe alcun beneficio pratico, se non si compie una ricerca approfondita sul loro valore pratico oggi, per abrogare o modificare secondo le esigenze odierne quelle norme che non vengono applicate, o meglio, esse non possono più essere applicati, oppure sono applicati solo in parte.

Nelle premesse del congresso arriva subito una stangata:

Poiché la grazia è stata riconosciuta del battesimo nelle Chiese cattolica e protestanti, la loro presenza marcherebbe indubbiamente una certa ecumenicità al sinodo in quanto membri pienamente aventi diritto

Non si capisce bene quando e dove sia stato dichiarato universalmente da tutta la Chiesa Ortodossa che il battesimo degli eterodossi sia valido, quando abbiamo, fino a tempi molto recenti, opinioni opposte. Questa frase viene proposta in una premessa in quanto si rifletteva, al congresso, della possibilità di chiamare un "concilio ecumenico" nel prossimo futuro. Del resto, siamo negli anni Trenta, il mondo era tutto rose e fiori.

Il prete dottor teologo Valerian Şesan, uno dei teologi presenti, ebbe a dichiarare i seguenti passaggi che evidenzieremo:

 E infatti, nuovi canoni sono sempre stati necessari nel corso del tempo e infatti sono stati emanati, osservando il consiglio divino del Salvatore, il quale disseNon metti vino nuovo in otri vecchi, cioè non puoi versare le forme della nuova vita  in vecchi schemi, altrimenti si rompono; ma il vino nuovo si mette in otri nuovi ed entrambi si conservano (Mt 9, 17).Tenendo conto di questa verità, dobbiamo anche pensare molto seriamente alla revisione dei canoni e di altre vecchie norme ecclesiastiche per determinare se e poiché sono ancora applicabili nella pratica e se non dovrebbero essere emessi nuovi canoni, ovviamente nel senso della principi fondamentali, immutabili, ricevuti dallo stesso Salvatore. Questa revisione è tanto più necessaria, perché le nuove esigenze della vita si sono tradotte, in tutta la Chiesa, nella creazione di norme consuetudinarie (consuetudini locali e terrene umane) che devono assumere la forma di canoni, cioè la forma di legislazione sinodale unitaria per tutta la Chiesa.

Quale nuova vita? Quale "vino nuovo"? La vita del cristiano è la stessa, perché gli stessi peccati lo stritolano, le stesse passioni lo combattono dall'espulsione di Adamo fino ad oggi. . Niente è nuovo sotto il sole (Ecclesiaste 1, 9).Come sempre quando si affronta il modernismo, alcune premesse sono vere e buone, come ad esempio il fatto che, alle volte, è necessario un "canone nuovo" e l'adattamento di alcune regole e principi minori in vista di mutamenti sociali o di bisogni del popolo di Dio, magari per riaffermare una Verità dogmatica minacciata da un nuovo tipo di eresia. Eppure, questo non significa avere il permesso di modificare i canoni già esistenti! Se parliamo di disciplina liturgica o di ortoprassi, a maggior ragione un canone dovrebbe essere toccato il meno possibile. Il dottore continua:

In ogni caso, bisogna prima studiare attentamente tutte le novità per vedere se non possono ancora essere regolate dai vecchi canoni. Solo se ciò non fosse possibile, i vecchi canoni potrebbero essere modificati a seconda dei tempi, o addirittura potrebbero essere emanati nuovi canoni, ma "tutto nel Signore".


La cattedrale ortodossa di Atene 

Dopo alcuni discorsi tutto sommato grigi ma non ancora terribili, arriva il cuore inquietante di questo congresso modernista:

Poiché un sinodo ecumenico, nel senso dei sette antichi sinodi ecumenici, non è per il momento possibile, il sinodo pan-ortodosso occupa la stessa posizione giuridica del corpo legislativo supremo per la Chiesa ortodossa. Se Roma e la Chiesa Cattolica riconosceranno le disposizioni di questo sinodo pan-ortodosso, allora le sue disposizioni acquisiranno l'agilità di quelle ecumeniche del passato.

I teologi modernisti chiamano in causa l'eretica Roma, asserendo che, se i papisti riconosceranno il nostro concilio, allora avrà un vero valore universale. Abbiamo in evidenza il problema dell'ecumenismo. Come può un corpo estraneo alla Chiesa avere un valore vincolante per la determinazione di un processo interno alla Chiesa stessa? Riconoscere a Roma non solo la grazia sacramentale (che già è una questione MOLTO delicata) ma anche una dignità e un potere decisionale che non gli sono più di diritto dal 1054. 

Il congresso teologico di Atene si tenne in lingua tedesca dal 29 novembre al 6 dicembre 1936. Questa riunione di "menti illuminate" ortodossa segna un punto importante nello sviluppo della nuova teologia costantinopolitana degli ultimi decenni, la quale si pone come testa di ponte per una rivoluzione progressiva, lenta e inesorabile, in seno alla Chiesa Ortodossa. In particolare, il padre Şesan ha chiamato in causa una presunta presenza di "sinodi costantinopolitani endemici" che erano "l'unico organo direttivo della Chiesa Ortodossa nella sua interezza". Questa idea, seppur con parole diverse, fa parte del bagaglio ecclesiologico di Bartolomeo ed Elpidoforo ai nostri giorni. Ovvero, una preminenza (storicamente non confermata) di potere reale della sede di Costantinopoli sulle altre. Il dottore propone infatti un sinodo "trasversale perenne" costantinopolitano cui partecipino, di volta in volta, esarchi inviati dalle Chiese Locali. Insomma, propone un papismo in salsa bizantina.  Fra i punti più interessanti delle proposte del congresso, abbiamo:

- Adozione universale del calendario nuovo in luogo di quello giuliano. Abbiamo già difeso il Calendario Patristico qui

- Secondo matrimonio per il clero (questo canone nuovo è stato approvato nella giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli nel 2018). 

- Riduzione del numero delle feste e delle solennità.

- riforma liturgica "per la salute spirituale dei fedeli nel giorno d'oggi". 

- riformulazione del concetto di digiuno in accordo alla salute fisica, al clima, all'economia locale.

- riforma monastica "per una nuova luce all'insegna delle necessità odierne". 

La maggioranza di questi punti sono tragicomici, in quanto palesemente dettati da uno spirito sovversivo e anti-ortodosso, specialmente la riforma liturgica (ovviamente non in senso di ripristinare tradizioni antiche, ma di abolire quelle rimaste) e quella del digiuno. Sul secondo matrimonio del clero, occorre dire che all'epoca fosse una proposta inusitata, al giorno d'oggi è largamente praticato in seno al Patriarcato Ecumenico e alle sue diocesi, e nel Patriarcato Romeno, nonché in altre giurisdizioni minori. 

Al congresso, si è anche detto:

Per quanto riguarda le grandi questioni dell'organizzazione ecclesiastica (l'istituzione di nuovi metropoliti, vescovi, ecc.) che riguardano anche la costituzione dello Stato, lo Stato può partecipare alla legislazione ecclesiastica.

Sappiamo bene che l'ingerenza del potere temporale e dello Stato (sopratutto moderno) non porta mai bene. Figuriamoci una Chiesa sottomessa ad uno stato ateo e moralmente dissoluto, i cui membri più importanti (i vescovi) sono...scelti dal governo! Ecco come si corrompe la Chiesa ed ecco perché, seguendo questo principio, molte Chiese nazionali ortodosse versano in concreti tremendi problemi di corruzione e anomalie. 

Noi, professori di diritto canonico, siamo in altre parole solo teorici che ci occupiamo della scienza del diritto canonico, trattando scientificamente le norme ecclesiastiche vigenti; penetriamo ed esponiamo lo sviluppo storico, i principi e lo scopo delle norme ecclesiastiche, ma senza dimostrarne gli effetti nella vita pratica, perché sfuggono al nostro giudizio. Potremmo tutt'al più indicare linee guida per l'applicazione pratica delle norme ecclesiastiche, ma formulare ex cathedra canoni della vita pratica, sarebbe troppo rischioso e quindi troppo pericoloso, perché molte cose che in teoria sembrano molto accettabili a volte non possono essere messe in pratica affatto o solo con grande difficoltà. Durante i Concili ecumenici e particolari dei primi 9 secoli, si è data la classica prova che solo i vescovi erano quelli che proponevano, deliberavano e decidevano i canoni. I teologi di spicco sono stati consultati solo durante la formulazione dei dogmi.

I santi Padri che hanno dato i rispettivi canoni, ai Concili ecumenici, non hanno minimamente considerato le cose come le presenta il "dottore" del congresso. Ad esempio, se si leggono il canone 5 apostolico e i canoni 12 e 48 del Sinodo di Trullo, insieme alle loro interpretazioni, si vede che non si intendeva abrogare il canone 5 apostolico: «Diciamo questo per non rovinare, né per sospendere i canoni legiferati al tempo degli apostoli» (can. 12), ma a completare, ad ampliare quelli legiferati da quel canone.

Parimenti, il canone 11 del VII Sinodo Ecumenico è un complemento, uno sviluppo del canone apostolico 41, e non solo. Non abroga l'idea di base del canone apostolico, ma la sfuma. Nel caso del canone apostolico 37, le cose sono ancora più chiare.

Il modo in cui l'autore del riassunto congressuale pone il problema è quasi fuori luogo e fa capire che è proprio possibile abrogare anche i canoni apostolici. Riguardo al fatto che i Santi Padri hanno rafforzato i canoni di alcuni sinodi locali o ordini impartiti dai vescovi, elevandoli al rango di canoni ecumenici, non vediamo alcun problema; è solo un gioco dell'autore che suggerisce che un canone può essere abrogato o rafforzato per indebolire il concetto che è sempre esistito nel cuore della Chiesa, cioè che i santi canoni sono inviolabili.

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FONTI

Congresso I - Revisione dei canoni e delle norme ecclesiastiche

Congresso II - codificazione

Entrambi i testi sono in lingua romena.

Il testo integrale della conferenza di Atene in lingua originale (tedesco) è riscontrabile in:

Hans Koch, Panorthodoxer Theologenkongres in Athen (28/XI-5/XII 1936) in Die Christliche Welt, protestantische Halbmonatschrift, Gotha und Leipzig, nr. 4 vom 20 Februar 1937, col. 153 s.

 

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